IN ARMENIA, NEL FRATTEMPO

“Noi Armeni abbiamo il terrore che la Turchia vinca la guerra in Ucraina”

Dai droni di Erdogan all'”invasione strisciante” dei villaggi armeni, intervista al giornalista armeno Tigrane Yegavian. “L’Europa pietisce il gas degli azeri che ci radono al suolo chiese e cimiteri”

La mappa della Turchia che vorrebbe Erdogan

“Un nuovo cucciolo di lemure nato allo zoo di Kiev è stato chiamato ‘Bayraktar’. Il lemure prende il nome dal drone turco sotto i riflettori globali per il suo successo nel campo di battaglia”. Il Financial Times racconta un aspetto decisivo della guerra in corso. Bayraktar è il nome della famiglia che produce il micidiale drone turco in dotazione dell’esercito ucraino. Il capo, Selcuk Bayraktar, è il genero del presidente turco Recep Tayyip Erdogan (ha spostato la figlia Sumeyye). “Sebbene il drone abbia spazzato via i carri armati armeni nel 2020, gli esperti avevano dubbi sul fatto che il drone potesse avere successo anche contro un esercito moderno come quello russo”.
La Turchia, scrive il quotidiano israeliano Haaretz, “uscirà come una vincitrice da questa guerra ucraina”. Lo si è visto nei giorni scorsi nel caso della “Convenzione di Montreux” del 1936 che consente ad Ankara, in tempo di guerra, di impedire a tutte le navi da guerra di attraversare i Dardanelli e il Bosforo. Invocare la convenzione compromette la mobilità delle navi da guerra russe tra il Mar Nero e la sua struttura navale sulla costa siriana. Due giorni fa, Erdogan ha aperto un gigantesco ponte sospeso (il più lungo al mondo) sui Dardanelli e che unisce Europa e Asia.

Erdogan presenta la mappa della Turchia con i territori della Russia meridionale

Per la Russia il “panturchismo” – l’ideologia volta all’unità dei popoli turchi è una minaccia all’unità della Federazione Russa. Di etnia turca sono, infatti, le popolazioni che abitano diverse cruciali repubbliche della Russia centrale, dal Tatarstan alla Jacuzia, passando per Tuva e l’Altaj. Il “bacino turco” secondo Erdogan si estenderebbe dal mare Adriatico all’Asia centrale. Nelle scuole, durante il mandato di Erdogan, sono apparse mappe che mostrano il potere turco. Si fa riferimento al “Patrimonio turco dal mare Adriatico alla Grande Muraglia cinese”: “I manufatti culturali turchi sono visibili in una vasta regione, a cominciare dai paesi dell’Asia centrale e orientale, come Cina e Mongolia, e si estende in Erzegovina e in Ungheria…”. “Siamo una grande famiglia di 300 milioni di persone dall’Adriatico alla Grande Muraglia cinese”, ha detto Erdogan in un discorso in Moldavia.
A differenza della Russia, la cui popolazione in una generazione crollerà a 113 milioni, la Turchia si avvia a diventare una potenza da 100 milioni di abitanti.
Approfittando della guerra ucraina, da una settimana l’intero Nagorno Karabakh armeno è stato lasciato senza gas dagli azeri, perché la condotta che arriva dall’Armenia è stata interrotta in un tratto sotto controllo azero e i soldati del regime azero impediscono ai tecnici di ripararlo. Ci sono nuovi scontri militari fra Armeni e Azeri, sostenuti dalla Turchia. “Alla fine dell’ultimo conflitto, che ha causato 5.000 morti da parte armena, l’autoproclamata repubblica dell’Artsakh si è trovata amputata per due terzi del suo territorio e circondata dall’Azerbaigian al 95 per cento” scrive su Le Figaro di questa settimana Jean-Christophe Buisson. “Lungo decine di chilometri, molti borghi e villaggi armeni sono bersaglio quotidiano di vessazioni e attacchi armati. L’obiettivo degli azeri? Svuotarli dei loro abitanti, stanchi di una minaccia costante. I contadini sono minacciati durante il lavoro agricolo, le strade e le comunicazioni sono regolarmente tagliate, i fiumi, che ora hanno la sorgente in territorio azero, sono prosciugati. Una vera tortura cinese nel mezzo del Caucaso. Dall’inizio della guerra in Ucraina, la situazione degli armeni è peggiorata. Dopo aver approfittato della tumultuosa campagna elettorale americana nell’autunno 2020 per lanciare il suo attacco militare su larga scala, Baku ora sembra volerlo rifare: chi si preoccuperà in questo momento degli armeni protetti da un esercito russo emarginato dalla comunità internazionale? La scorsa settimana, postazioni militari e villaggi armeni sono stati presi di mira da granate e colpi di mortaio, provocando diverse vittime (soldati e civili). Ai margini di villaggi come Taghavard, gli azeri trasmettono messaggi tramite altoparlanti esortando i residenti ad andarsene prima di essere costretti a farlo. L’Alto rappresentante europeo Josep Borrell e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel hanno incontrato intanto i ministri e il presidente azero per negoziare ulteriori importazioni di gas. Un gesto visto da Stepanakert, capitale dell’Artsakh, come un incoraggiamento rivolto al dittatore Ilham Aliev nella sua politica di ‘invasione strisciante’ del territorio armeno”.
Già, l’energia… Lo stop al grande gasdotto russo Nord Stream 2 va a vantaggio del famoso “Corridoio meridionale del gas” (conosciuto come Tap Tanap) che attraversa tutto il territorio della Turchia per concludere il suo flusso nel Salento.
Anche Grecia e Cipro (che nella mappa di Erdogan deve diventare tutta turca) sono preoccupate che la Turchia approfitterà del caos ucraino per farà avanzare le sue pedine nel Mediterraneo. E nei Balcani, dove l’Impero Ottomano ha dominato a lungo, la Turchia di Erdogan svolge adesso il ruolo che un tempo aveva la Russia.
Un appello su Le Figaro, a firma dell’etnologo Stéphane Breton, dello storico Hamit Bozarslan, del filosofo Pascal Bruckner e dello storico Jean-François Colosimo, ha denunciato: “Ankara vuole estendere la sua influenza affidandosi a un islamismo conquistatore. Chi ha seminato il caos in Siria, Iraq, Libia? Chi è intervenuto nel Caucaso? Chi cerca di destabilizzare il Libano, l’Egeo, Cipro? Chi punterà domani a sconvolgere i Balcani, l’Asia centrale? La storia ci insegna dolorosamente che una pacificazione non ha mai placato l’appetito di un regime espansionista né fermato la marcia di un’ideologia mortale”. 
La sconfitta della Russia in Ucraina metterebbe sicuramente un freno al violento espansionismo di Mosca, ma sarebbe una manna per l’espansionismo turco che ha l’Europa nel mirino. “Cui bono?”, si domanda l’analista Srda Trifkovic su Chronicles Magazine. Chi vincerebbe in Ucraina? “Certamente la Cina e il mondo musulmano e in particolare Erdogan, per il quale gli infedeli che litigano tra loro creano nuovi e significativi spazi di manovra”.
Intanto, al Parlamento Europeo lo svedese Charlie Weimers denunciava il 10 marzo: “Ho assistito ai risultati del genocidio culturale dello Stato islamico contro cristiani, caldei, assiri e siriaci quando ho visitato l’Iraq e la Siria. Chiese sconsacrate millenarie, statue di Maria decapitate, icone distrutte, pagine carbonizzate di Bibbie sparse per le strade. Distruggere il patrimonio culturale è cancellare un’identità, una storia, una nazione. Il presidente dell’Azerbaigian Aliyev sta seguendo le orme dello Stato islamico. I rapporti nelle immagini satellitari hanno meticolosamente tracciato la distruzione sistematica di 100 chiese armene medievali, migliaia di croci e decine di migliaia di lapidi. Signor Commissario, colleghi, l’UE deve condannare il genocidio culturale commesso dal presidente Aliyev contro i siti del patrimonio cristiano armeno. Lo riterrà responsabile del continuo genocidio culturale contro gli armeni?”.
La risposta non è difficile…

(ma sarà poco figo?!)

Ne parlo per la newsletter con Tigrane Yegavian, giornalista e saggista armeno fra i migliori in Europa.

Gli azeri stanno attaccando di nuovo voi armeni…
Gli azeri stanno cercando di avanzare le loro pedine e di ottenere il massimo dalla debolezza strutturale armena e dalla situazione internazionale. Gli armeni hanno molto da perdere da questa guerra in Ucraina. Se i Russi perdessero, dovrebbero abbandonare il Karabakh, dove l’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, ridotta al minimo indispensabile, sopravvive grazie alla protezione delle forze russe il cui mandato scade nel 2025. Gli azeri e i turchi puntano ora a conquistare la fascia di terra armena che le unirebbe.

Perché l’Europa è così fredda con i cristiani armeni?
Ipocrita Europa, che ha bisogno del gas azero, specie ora che deve fare a meno di quello russo. L’Europa è debole, divisa, è succube della diplomazia del caviale e del gas. L’Europa è in una crisi morale profonda.

Cosa rappresenta l’Armenia per noi occidentali?
Noi armeni siamo vittime del rullo compressore della mondializzazione. E se scomparissimo, saremmo la sentinella dell’Occidente.

Come avete preso voi armeni la guerra in Ucraina?
Questa guerra in Ucraina offre all’Azerbaigian l’opportunità di gonfiare il petto e negoziare le consegne di gas agli europei come alternativa alla Russia. L’Ucraina ha scelto il suo campo, quello della Nato e della Turchia, ma anche quello dell’Azerbaigian. Gli armeni, dal canto loro, non dimenticano che durante la guerra dell’autunno 2020, erano state le bombe al fosforo fabbricate in Ucraina a causare scompiglio tra i soldati e le foreste dell’Artsakh… Non contenti di attaccare i vivi, moltiplicando il fuoco dei cecchini sui contadini e sulle abitazioni isolate, rubando il bestiame, avvelenando le fonti d’acqua, esercitano ogni tipo di abuso e tortura sui prigionieri armeni e sui civili rapiti. Gli azeri perseguono un vero e proprio etnocidio nei territori che hanno conquistato eliminando sistematicamente ogni traccia dell’eredità cristiana armena, radendo al suolo cimiteri, chiese, distruggendo musei, biblioteche….Il futuro del Karabakh armeno è quindi strettamente legato a quello della Russia in quanto l’Armenia, troppo debole, non può più garantirne l’integrità.

Quali sono gli interessi comuni di Turchia e Ucraina?
I turchi hanno interessi in Ucraina, in particolare in Crimea per la minoranza di lingua turca. L’Armenia ha riconosciuto l’annessione della Crimea alla Russia mentre l’Ucraina riconosce l’integrità territoriale dell’Azerbaigian, il caos è stato importato dall’Ucraina. Turchi e ucraini hanno entrambi interesse a unirsi per affrontare l’espansionismo russo nel Mar Nero. Kiev e Ankara sono ora legati da una partnership geostrategica che ha senso, in quanto Erdogan, che vende i suoi droni bayraktar agli ucraini, ha ulteriore influenza sui russi con i quali mantiene una rivalità nel Mediterraneo orientale, nel Caucaso e in Africa. Non dimentichiamo che i russi temono il tentativo di destabilizzazione attraverso la strumentalizzazione delle decine di milioni di musulmani in Russia, oggetto di tutta l’attenzione di Ankara.
Giulio Meotti

Come sempre, guerre di serie A e guerre di serie B, vittime di serie A e vittime di serie B, indignazioni a comando e a corrente alternata, ma se li chiami ipocriti (sepolcri imbiancati, li chiamava un ebreo di una certa notorietà) strillano come vergini violate.
All’Ucraina, visto che avete già avuto abbastanza da leggere, oggi dedicherò solo un po’ di immagini, e per la precisione, a un po’ di sbufalamenti. Il primo riguarda la cosiddetta strage di Mariupol, che finalmente si sono dovuti arrendere e riconoscere che era inventata, ma a qualcuno, a quanto pare, il fatto che quei mille morti non ci sono stati dispiace parecchio

Per i bambini greci, qui per chi non ricordasse.

Poi ci sono i pompieri australiani spacciati per pompieri ucraini, con tanto di photoshop della bandiera ucraina sulla manica

Poi c’è quella che non è mica vero che in Ucraina c’è un po’ di nazismo

E poi c’è questo spettacolare grafico a torta

Notate niente? A parte i contrari in un verde un po’ smorto, che già di per sé sfugge all’occhio e sembra rimpicciolirsi, mentre il settore dei favorevoli è di un rosso brillante e squillante, che si impone all’occhio, anche a riuscire a guardarlo con obiettività, il settore del 55% dei contrari è meno della metà, mentre quello dei favorevoli appare decisamente maggiore di 1/3 del totale. Ora, per fare un grafico si devono solo inserire i dati, e il sistema fa tutto da solo. Io non ne avevo mai fatti, ma ho voluto provare per l’occasione: ho selezionato inserisci grafico, ho selezionato quello a torta, ho inserito le percentuali e il sistema, senza che io dovessi fare nient’altro, mi ha dato questa immagine

Quindi quella pubblicata è stata alterata a mano per dare l’impressione che i contrari non siano la maggioranza assoluta. E questi sono i nostri mass media, a cui quelli intelligenti hanno scelto di credere a occhi chiusi.
Ma la più strepitosa di tutte è questa

in uno stato governato da un fantoccio messo su dalla NATO+Obama+Biden+Soros (dichiaratamente) dopo un colpo di stato piuttosto sanguinoso per il quale sono stati spesi 5 miliardi di dollari, che ha dichiarato fuorilegge tutti i partiti dell’opposizione e imbavagliato le televisioni: servono commenti? E, a parte questo, che cosa significa l’immagine? Quali sarebbero le democrazie supportate con le invasioni elencate a sinistra?
E poi c’è Cicciobello nostro, che parla ai parlamenti e commuove tutti. Convince tutti. Ma, scusate, cosa ci sarebbe di strano? Quale attore, anche non eccelso, non è capace di far piangere? L’attore fa sempre e solo quello che regista e produttore gli ordinano di fare, e diventa ciò che i suddetti padroni gli ordinano di essere. Per dire, questa è Helen Mirren

e questa è sempre Helen Mirren.

E questo è Zelenzky

e questo è sempre Zelensky, la stessa identica persona.

Col parlamento Israeliano, però, che doveva rappresentare l’apoteosi, ha decisamente pisciato fuori dal vaso (dopo avere, per la verità, già pisciato fuori dal vaso rimproverando fortemente Israele per la sua neutralità, ossia per non essersi accodata alla costruzione della terza guerra mondiale). Dopo avere evocato Churchill con gli inglesi, l’11 settembre e Pearl Harbour con gli americani, il muro di Berlino coi tedeschi eccetera, con la Knesset non ha trovato di meglio che paragonarsi alle vittime della Shoah. Dalle mie parti si dice “l’osèo ingordo ghe crepa el gosso”, all’uccello ingordo si rompe il gozzo. E anche agli attori stupidi che obbediscono ai propri padroni senza poter usare un cervello che non hanno. E io sono fiduciosa che prima o poi tutti i nodi verranno al pettine.

barbara

SOLO UN PICCOLO APPUNTO, SIGNOR MAHMUD ABBAS,

nom de guerre Abu Mazen, giusto per ricordare che lei è un uomo di pace.

Dal suo recente fluviale discorso al concilio nazionale palestinese: “Vi sfido a trovare un singolo incidente contro gli ebrei, solo perché erano ebrei, in 1.400 anni, in qualsiasi paese arabo.”

Cronologia delle principali persecuzioni subite dagli ebrei nei paesi arabi

  • 624- tribù ebraiche vengono sterminate da Maometto
  • 628- gli ebrei di Khaibar (Arabia Saudita) devono versare tributi altissimi e ogni ebreo che  compie 15 anni deve pagarlo.
  • 700- intere comunità ebraiche vengono massacrate dal re Idris I del Marocco.
  • 845- vengono promulgati in Iraq decreti per la distruzione delle sinagoghe.
  • 845-861- El Mutawakil ordina che gli ebrei portino un abito giallo, una corda al posto della cintura e delle pezze colorate sul petto e sulla schiena.
  • 900- col Patto di Omar gli ebrei vengono spegiativamente chiamati dhimmi. In base a tale Patto era proibito agli ebrei di costruire case più alte di quelle dei musulmani, salire a cavallo o su un mulo, bere vino, pregare a voce alta, pregare per i propri morti o seppellirli in modo da offendere i sentimenti dei musulmani. Dovevano portare abiti atti a distinguerli dai musulmani. Nasce qui e non in Europa il segno distintivo degli ebrei, e l’obbligo di portare pezze sugli abiti si diffonderà in tutti i paesi arabi
  • 1004- Il Cairo: gli ebrei sono costretti a portare legato al collo un piccolo vitello di legno e in seguito palle di legno del peso di tre chili.
  • 1006- Granada: massacro di ebrei.
  • 1033- Fez, Marocco: proclamata la caccia all’ebreo. 6000 ebrei massacrati.
  • 1147-1212- persecuzioni e massacri in tutto il nord Africa.
  • 1293- Egitto e Siria: distruzione delle sinagoghe.
  • 1301- i Mammelucchi costringono gli ebrei a portare un turbante giallo.
  • 1344- Distruzione delle sinagoghe in Iraq.
  • 6 giugno 1391, pogrom di Siviglia (ndb)
  • 1400- Pogrom in Marocco in seguito al quale si contano a Fez solo undici ebrei sopravvissuti.
  • 1428- vengono creati i ghetti (mellaha) in Marocco.
  • 1535- Gli ebrei della Tunisia vengono espulsi o massacrati.
  • 1650- Anche in Tunisia vengono creati i ghetti, qui si chiamano hara (in arabo significa merda )
  • 1676- distruzione delle sinagoghe nello Yemen.
  • 1776- vengono sterminati gli ebrei di Basra, Iraq.
  • 1785- massacri di ebrei in Libia.
  • 1790-92- distruzione delle comunità ebraiche in Marocco.
  • 1805-15-30- Sterminio degli ebrei di Algeri.
  • 1840- persecuzioni e massacri a Damasco.
  • 1864-1880- continui pogrom a Marrakesh
  • 1869- massacri di ebrei a Tunisi.
  • 1897- massacri di ebrei a Mostganem, Algeria.
  • 1912- pogrom a Fez.
  • 1929- massacro della comunità ebraica a Hebron e distrutta la sinagoga.
  • 1934-il governo iracheno vieta agli ebrei lo studio dell’ebraico.
  • 1936- In Iraq gli ebrei vengono esclusi dagli uffici pubblici e pogrom a Bagdad.
  • 1938-44- Persecuzioni a Damasco; gli assassini diventano cronici.
  • 1941- in concomitanza con la festa di Shavuot pogrom a Bagdad. E poi pogrom a Tripoli, ad Aleppo, ad Aden, al Cairo, ad Alessandria, a Damasco ecc. ecc.
    (da una ricerca di Deborah Fait)

Si prega cortesemente di osservare che quanto sopra esposto è tutto avvenuto rigorosamente PRIMA della nascita di Israele. Si prega di notare che queste sono le principali persecuzioni, non tutte le persecuzioni subite dagli ebrei nei Paesi arabi. Si prega di notare che l’islam, religione di pace, è nata nel 622: il primo massacro di ebrei è del 624.
E ancora una considerazione: quasi tutta l’area invasa e occupata, arabizzata e islamizzata dalle orde di Maometto in espansione dalla penisola araba, era in gran parte cristiana, oltre che ebraica; oggi i cristiani in tutto il Medio Oriente e in tutto il nord Africa sono sparuta minoranza, oppressa, perseguitata, massacrata, in costante diminuzione. Quello che mi chiedo è: come mai a nessun cristiano è venuto in mente di stilare un elenco analogo a questo sulle persecuzioni subite dai cristiani nel mondo arabizzato e islamizzato, sulle stragi, sulle sparizioni di intere comunità? A Betlemme, quando era sotto la spietata occupazione israeliana, fascista razzista colonialista praticante apartheid, i cristiani erano il 60%: oggi sono meno del 12%: perché nessuno ne parla? D’accordo che essere cristiani non è di moda, ma è possibile che i massacri di esseri umani, la sparizione di intere comunità di esseri umani sterminati per l’unica colpa della loro fede religiosa non interessi a nessuno?
Qui un altro po’ di cose.

barbara

UNA DEBORAH FAIT IN GRANDISSIMA FORMA

Signora Mogherini,

 Molti anni fa partecipai, con un banchetto di brochures su Israele, ad un Congresso del Partito Radicale all’Hotel Ergife di Roma, di fronte a me avevano preso posto dei cubani che, al posto dei depliant o delle medagliette, avevano in esposizione una barca. Si, Federica Mogherini, proprio una barca, un’imbarcazione molto insolita, scavata in un enorme blocco di polistirolo. Curiosa e interessata chiesi cosa rappresentasse e la risposta mi fece venire la pelle d’oca. Quel blocco ormai grigio e molto rovinato per l’uso, serviva ai cubani per scappare dall’isola infernale di Castro verso la libertà, verso la Florida. Naturalmente, mi spiegarono, solo pochissime di quelle imbarcazioni arrivavano alla meta, al sogno di una vita senza terrore e morte, la maggior parte si rovesciava dando in pasto ai pescecani il loro carico di umanità disperata. Erano uomini, donne, bambini, vecchi che anelavano ad una vita decente e libera e trovavano la morte nel mar dei Caraibi fuggendo dall’orco che portava il nome di Fidel Castro.
Molti anni prima ero a Boston e ricordo Joan Baez cantare “Comandante Che Guevara” e “Que linda es Cuba” e i giovani che urlavano “Hasta la Victoria siempre! Viva Cuba, Viva Fidel!” Ancora inconsapevoli (erano gli anni 60) di gridare la loro ammirazione a dei criminali assassini, Guevara e Castro. Perché le racconto questo, Federica Mogherini? Semplicemente perché lei, pur essendo giovane, è rimasta a quei tempi, ai tempi in cui la propaganda comunista aveva lavato i cervelli della gioventù americana e mondiale. Ho letto che è andata in visita ufficiale a Cuba “per costruire ponti e aprire le porte al dialogo e alla cooperazione”. Bellissimo, davvero encomiabile, se non fosse per un particolare di grande importanza. Lei, Mogherini ama costruire ponti e aprire porte con le peggiori dittature del mondo, con i paesi più canaglia che esistano con i quali sembra trovarsi completamente a suo agio e lo dimostra snobbando chi contro questi inferni in terra cerca di ribellarsi. A Cuba lei ha snobbato i dissidenti cubani, gli oppositori del regime, quelli i cui genitori, i cui nonni, annegavano tra le acque dell’oceano, ed è andata dire che Cuba e UE “condividono principi come la giustizia, la libertà la solidarietà”.
Ma con quale faccia tosta? Con quale impudenza ha osato dire quelle parole così false? Con quale coraggio lei ha sputato in faccia ai cubani perseguitati perché contro la dittatura, con quale sfacciataggine e crudeltà lei ha offeso la memoria dei loro morti! Cuba non è che l’ultima vergogna di cui lei si è macchiata, Alto Commissario Mogherini. Ha incominciato la sua carriera di ammiratrice di orchi quando, giovane fanciulla, è andata ad abbracciare Yasser Arafat per esprimergli tutto il suo amore e la sua solidarietà. Ammazzava più ebrei che poteva? Particolare di poco conto per lei che odiava Israele, paese che continua a odiare forse perché una democrazia, forse perché pieno di ebrei che, oltre ad essere ebrei, rifiutano persino, guarda un po’ che sfrontatezza, di essere le vittime sacrificali di una società che trasuda odio antisemita e che li vuole morti e annegati nel Mediterraneo. Dopo che il suo primo amore, l’orco egiziano diventato il raiss dei palestinisti, è, per fortuna, defunto, lei ( il lupo perde il pelo ma non il vizio) ha trovato conforto negli ayatollah iraniani. Si è completamente dedicata a quei pretacci schifosi, che hanno trasformato un paese meraviglioso come la Persia in un inferno dove vengono imprigionati e torturati i dissidenti, dove vengono appesi alle forche gli omosessuali e le donne accusate di infedeltà [crimine nel quale rientrano anche le donne stuprate. Ricordo ancora, tanti anni fa, il caso di una bambina di dodici anni stuprata dal fratello. La cosa è emersa quando è rimasta incinta. Condannata a morte, hanno aspettato che partorisse e poi l’hanno lapidata, a tredici anni. Il fratello si è fatto due mesi di galera; se non ricordo male, deve avere preso anche un paio di decine di frustate, ndb] o ribellione ai mariti padroni. Ormai pare che l’Iran dei preti neri sia la sua seconda patria dove si reca sempre tutta velata, intabarrata in palandrane senza forma, ossequiosa, direi untuosa, piena di sorrisi melliflui. C’è stata una rivolta in Iran, sono state ammazzate 30 persone, altre centinaia sono scomparse, la giovane che si è tolta il velo stando in equilibrio su una cassetta è stata arrestata, non se ne sa più niente e lei, Mogherini, che fa? Nulla, è stata solo capace di dire parole offensive, false e ipocrite oltre che crudeli, del tipo «dimostrazioni pacifiche e libertà di espressione sono diritti fondamentali che si applicano a ogni Paese, e l’Iran non fa eccezione».
Una presa in giro e non se ne vergogna? Ricordo perfettamente la sua felicità, la sua soddisfazione al giuramento di Rouhani quando, tutta velata, è andata a rendere omaggio a un regime che calpesta quotidianamente i diritti civili e di vita del popolo iraniano. Lei era raggiante e non la finiva più di farsi selfie su selfie con gli ayatollah. Era l’unica donna in mezzo a un mare di palandrane nere con barba. Uno schifo davvero, Mogherini, lo stesso schifo di quando si è fatta paladina dell’accordo nucleare col paese più pericoloso del mondo, quello, per intenderci, che quotidianamente minaccia di annientare Israele con i suoi missili. Ma a lei che importa? E’ una vita che dimostra il suo odio contro lo stato degli ebrei. Durante il disperato tentativo del popolo e soprattutto delle donne iraniane di manifestare contro il regime, mentre le strade delle città bruciavano, lei non ha detto una sola parola, oltre alle stupidaggini offensive sulla libertà di espressione, per difendere i dimostranti dalle leggi islamiche che li soffocano. Lei ha reso l’Europa un paese di ciarlatani senza spina dorsale ma è in buona compagnia, non c’è che dire, ha dalla sua parte la Boldrini, la Bonino, le deputate svedesi, donne che dovrebbero aiutare altre donne a spezzare le catene che le tengono prigioniere di un sistema arcaico e feroce, di una legge islamica che permette di darle in sposa a 9 anni per essere stuprate e, molte, ridotte in fin di vita dalle lacerazioni, da mariti criminali. Voi donne europee col velo in testa state infamando la civiltà.
Ma lei, Federica Mogherini, Alto commissario per la politica estera europea, lei che, nella sua posizione, avrebbe il dovere di difendere chiunque si batta per la libertà, per i diritti fondamentali degli esseri umani, ha abbandonato senza vergogna le donne musulmane che, ovunque si trovino, sono costrette a sopportare ogni tipo di umiliazioni e violenze. Lei dovrebbe essere la prima ad avere l’orgoglio e il rispetto di sé da gettare via quello straccio che ha in testa quando si presenta agli ayatollah. Lo fece Oriana Fallaci davanti a Khomeini [per la precisione, Oriana Fallaci raccontò di averlo fatto. Pare che l’eroico gesto sia disgraziatamente stato compiuto nell’unico secondo, in tutta l’intervista, in cui non c’erano fotografi né cameramen a immortalare – e documentare – lo storico evento, ndb], Melania Trump in visita ufficiale in Iran non si sognò nemmeno di metterlo quel velo della sottomissione. Ahhh, ma ha ragione, ho appena nominato due vere donne, non delle patetiche marionette che, senza un minimo di decenza, si inchinano a chi opprime e uccide la democrazia e chi la reclama. E’ triste e sconfortante vedere una donna europea che, dopo nazismo e comunismo, in un’ Europa che ha passato due guerre mondiali e una Shoah, dovrebbe sentirsi paladina di libertà, cadere così in basso fino ad essere complice di chi calpesta tutto e tutti, di chi uccide e opprime la vita di quelle che dovrebbero essere “l’altra metà del cielo” e sono invece tristi figure vestite di nero, tre passi dietro all’uomo che le comanda e che, se vuole, le può anche ammazzare.

Davvero niente da aggiungere a questa straordinaria appassionata requisitoria (però magari andate a dare un’occhiata qui).
deborah fait
Ho scelto questa foto perché la trovo bellissima (poi comunque i capelli sono ricresciuti).

Aggiungerò invece una piccola annotazione a margine. Su “Pagine ebraiche”, testata nata per rappresentare l’intero ebraismo italiano, e che ha sistematicamente, puntigliosamente, accuratamente estromesso tutti i collaboratori non aderenti alla più pura ortodossia sinistrorsa, ho letto un articolo (per la precisione, ne ho letto le prime righe: ad andare oltre il mio stomaco si è rifiutato), il cui autore mostrava perplessità nei confronti di questa rivolta in Iran, non riusciva a capirne il senso, lo scopo, non capiva che cosa questi giovani volessero perché, si chiedeva “chi c’è, in Iran, più moderato di Rouhani?” Cioè: avete il meglio che esista, il paradiso in terra, di meglio non potreste trovare a cercarlo col lanternino, come può venirvi in mente di protestare? Quos vult iupiter perdere dementat prius. Peccato che ad andare a fondo saremo tutti noi.

barbara

FORSE ESTHER

“Forse”: perché i figli la chiamavano mamma, i nipoti la chiamavano babuška, e quindi non è del tutto sicura che si chiamasse Esther la bisnonna finita tra i massacrati di Babi Yar.
Anche questa, come Gli scomparsi e Konin, è la storia di una ricerca: ricerca delle proprie radici, ricerca delle tracce di chi non c’è più. Ricerca i cui esiti dipendono dalla tenacia impiegata, e un po’ anche dal destino. Che a volte si presenta del tutto casualmente, e vi si inciampa sopra.

Durante il mio viaggio del 1989 in Polonia visitai anche Varsavia, la città in cui mia nonna Rosa era nata nel 1905, quando il paese apparteneva ancora alla Russia. […]
Così vagabondai per quella città dalla storia ricostruita ex novo e, non lontano dal monumento a Chopin, mi comprai un disco solo perché, nel vederlo, ne ero rimasta sorpresa. Sulla copertina campeggiava infatti un mogendovid, una stella di Davide. Non era passato molto tempo da quando avevo udito per la prima volta la parola mogendovid, a significare la stella a sei punte. Sul disco c’era scritto qualcosa come Żydowskie piosenki wshodniej Europy. Allora trascrissi in russo quelle parole polacche, e adesso le traduco in tedesco, Jüdische Lieder aus Osteuropa, Canti ebraici dall’Europa orientale. Il mogendovid si stirava e allungava sulla copertina, con la stessa naturalezza con cui il nostro paese si estendeva dall’Europa al Pacifico. Lo osservavo come fosse un animale sconosciuto, pronto a muoversi da un momento all’altro, saggiavo ciascuna delle sei punte, seguivo ogni rotazione, ogni angolo. Per tutta la vita avevamo dipinto stelle a cinque punte, quelle che brillavano sulla terra e quelle che brillavano in cielo, le stelle del nostro Cremlino, che eravamo soliti celebrare con un inno, e c’era poi anche quella canzone in cui una stella parla con un’altra stella, la intonavamo quando ci toccava fare la strada da soli – ma nessuna di esse aveva sei punte. Mai prima di allora mi era accaduto di incontrare nella mia patria tanto estesa un mogendovid, né come simbolo né come oggetto.
La stella a sei punte mi aveva stupita, non perché fossi sempre stata ansiosa di vedere un mogendovid, non sapevo nemmeno che si potesse desiderare una cosa simile, il desiderio era defraudato del suo contenuto, divelto con tutte le radici, così come il contenuto delle stanze in quelle case abbandonate. Ero confusa per la sorpresa provata alla vista del mogendovid accuratamente dipinto in blu scuro su fondo bianco, con una colomba colorata nel mezzo.
Di ritorno a Kiev misi il disco sul piatto del grammofono, e mia nonna, che aveva da sempre un leggero accento polacco – ricordo la parolina cacki, un termine di origine polacca per dire «gioielli», usato da Rosa per le mie carabattole, gli oggetti inutili, cacki, come un lecca lecca, un ledenets dalla ts aspra -, mia nonna che, a memoria di mia madre e mia, non aveva mai pronunciato una sola parola in yiddish, si mise d’un tratto a intonare canti baldanzosi in una tonalità minore e vagabonda, dapprima seguendo le parole del disco, andandovi dietro, poi all’unisono e senza incertezze, infine anticipandole di colpo con precipitosa letizia, e io la ascoltavo con la medesima incredulità con cui avevo saggiato il mogendovid sulla custodia del disco. Senza la Perestrojka, senza il mio viaggio in Polonia, senza quel disco, la finestra sigillata della sua lontana infanzia non si sarebbe mai più dischiusa per noi, e io non avrei mai capito che la mia babuška veniva da una Varsavia ormai inesistente, che di lì noi veniamo, mi piaccia o meno, da quel mondo perduto di cui mia nonna si ricordò all’ultimo, sul limitare, mentre già stava per lasciarci, per prendere da noi congedo.
Come sorpreso nel rimemorare, il tempo si dilatò e agguantò Rosa; attraverso il disco giunse a me, e in lei destò ricordi, che – così sembrava – erano del tutto ammutoliti e sepolti, al pari di quella che doveva essere stata un tempo la sua lingua materna: l’idioma da noi e da lei stessa ormai dimenticato.

Altre volte, invece, come in una sinfonia di Beethoven, bussa prepotentemente alla porta.

Quella volta suonò il telefono. Era la notte di San Silvestro del 2011 a Kiev. Mia madre andò a rispondere.

Mi chiamo Dina, disse una vecchia signora, ho sentito che lei sta raccogliendo informazioni sulla scuola numero 77 di Kiev, nel 1940 io mi sono diplomata presso quella scuola. Telefono da Gerusalemme.

Era da un pezzo che il 1940 non ci mandava più segnali, di lì giungeva un vento freddo, come una telefonata che arrivasse direttamente dall’Aldilà: la riprova ne era Gerusalemme, una tappa intermedia. Mia madre se ne stava impietrita con il ricevitore in mano e riuscì a dire soltanto, con voce rauca ma ferma: Sì, la ascolto.
Il telefono fu messo in viva voce.
Gli ospiti di Capodanno fecero silenzio.

Abbiamo lasciato Kiev allo scoppiò della guerra, disse Dina in tono deciso. Fummo evacuati nel Dagestan. Di lì emigrammo in Israele negli anni Settanta, io non sono mai più tornata a Kiev. Ho appena ritrovato su facebook una delle mie compagne che frequentò con me l’ultimo anno di scuola, nel 1940. Mi ha detto che lei ci stava cercando. Sì, ho ottantotto anni, con il computer me la cavo, mi aiuta mia figlia. Lei è archivista?
No, sono insegnante di storia, rispose mia madre e raccontò che lavorava in quella scuola da quarant’anni e adesso stava cercando si ricostruirne la storia, anche se io direi piuttosto che mia madre stava reinventando la storia della scuola. Parecchio tempo fa, disse, ho messo in scena con i miei allievi una pièce sulla classe che diede l’esame di maturità nel 1941 e che, il giorno dopo il ballo finale – il primo giorno di guerra -, venne mandata direttamente al fronte: avevamo trovato alcuni compagni e li abbiamo portati sul palcoscenico.
Anziché rispondere, Dina elencò i nomi dell’intera classe, poi di tutti gli insegnanti e infine di alcuni genitori.
Non ne aveva dimenticato uno, a settant’anni dal giorno del diploma.

Dopo la guerra, quando i sopravvissuti rientrarono lentamente a Kiev dal fronte o dai luoghi di sfollamento, nessuno sapeva nulla di Dina. Un quarto della classe era caduto in guerra, e a un certo punto le ricerche s’interruppero. Dina era ebrea, e poteva essere finita a Babij ]ar, ingoiata da quella forra o da qualche altra fossa comune. A volte non si cercava perché si era sicuri. Dina invece era viva.

Dove abitava a Kiev, domandò mia madre.
Non lontano dalla scuola, nella Institutskaja.
Nell’udire il nome di quella strada mia madre si agitò.
Dove esattamente?
All’angolo con via Karl Liebknecht.
Nella casa grigia, lì all’angolo? Di fronte alla farmacia?
Sì, disse Dina, il primo ingresso a sinistra.
Ma anche noi abitavamo lì, gridò mia madre.
Ma non c’erano Petrovskij nel nostro caseggiato, rispose Dina.
Ma io mi chiamo Ovdijenko!
Svetočka! esclamò allora Dina.

I presenti tacquero tutti, come sapessero benissimo di che cosa si trattava. Mio padre fu il primo a lasciarsi sfuggire un breve singhiozzo. Qualcuno aveva appena chiamato mia madre, un’adulta, con il nome che aveva da bambina. Non c’era più nessuno, ormai, di quella generazione.
Dina era stata realmente una vicina di casa di mia madre, e aveva tredici anni più di Svetočka. Si ricordava di ogni mio famigliare e di altri vicini ancora, che avevano abitato in quella casa prima della guerra.
Terminato il lungo elenco di nomi, disse: Grazie, Svetočka.
Grazie di cosa? domandò Svetočka.

Dina ringraziava settant’anni dopo perché mia nonna Rosa, allora direttrice della scuola per sordomuti, le aveva affidato i suoi allievi, quando lei stava cercando lavoro. Così quella si era trasformata nella professione della sua vita: dopo la guerra Dina divenne insegnante per non udenti, come in seguito sua figlia, dapprima nel Dagestan e poi in Israele e anche i figli di sua figlia divennero insegnanti per non udenti e logopedisti, così come alcuni nipoti. Grazie a voi, Svetočka.
Dina disse poi che ricordava quando, nel 1939, era morto il mio bisnonno Ozjel Krzevin. L’ho sentito cadere a terra e sono corsa su, era d’autunno. Io avevo quattro anni, precisò mia madre, e ricordo ancora che gli adulti erano sconcertati perché avevo detto: Lasciatelo stare, è stanco. E Dina confermò: È vero. Hai detto proprio così!

E per fortuna, per la fortuna di tutti noi, ci sono di queste persone dalla volontà implacabile, dalla determinazione indomabile a ritrovare le proprie radici, quelle radici che, a volte, neppure si sospettava di avere. Regalandole, una volta trovate, non solo a se stessi ma anche a tutti noi.

Katja Petrowskaja, Forse Esther, Adelphi
Forse Esther
barbara

IL VERO POSTO DELL’INDIGNAZIONE

David Bouaziz

Lettera ai miei amici di Facebook:

Cari amici di Facebook, solo un piccolo annuncio, ma abbastanza importante:
nei prossimi giorni sarete probabilmente sommersi sotto un mucchio di immagini di guerra, con tutto ciò che comportano di atrocità, provenienti da media in diretta, direttamente da Gaza. Probabilmente vedrete esplodere edifici, i palestinesi insanguinati uscire dalle macerie a volte tenendo bambini nelle loro braccia, ecc, ecc. Immagini che conosciamo tutti, e che non vorremmo vedere. Ascolterete poi il discorso del cosiddetto giornalista che, con voce grave, come un potenziale Charles Enderlin, spiegherà che l’esercito israeliano ha di nuovo massacrato ciecamente dei civili bombardando ‘volontariamente’ una zona densamente abitata… In quel momento potrebbe montare in voi un sentimento di indignazione e i più sensibili di voi forse ne saranno nauseati… Poco importa che queste immagini provengano forse dalla Siria o magari da Gaza, ma vecchie di diversi mesi o più. Poco importa che siano state sì prese a Gaza il giorno stesso, ma tralasciando di specificare che il razzo che ha colpito l’edificio è stato lanciato da Hamas, incapace di prevedere dove atterreranno i propri missili… Poco importa tutto questo perché, qualunque cosa accada poi, il male sarà fatto, vi sentirete già indignati. Questo cade a proposito perché mi piacerebbe cogliere l’occasione per anticiparvi e parlarne, della vostra indignazione.
In questi ultimi mesi ho postato sulla mia pagina di Facebook un sacco di articoli e video dal Medio Oriente, mostrando atrocità spesso di massa e riguardati per lo più dei i civili, donne e bambini, in maggioranza musulmani. Ho continuato a indignarmi ad alta voce, perché è tutto ciò che potevo fare nel mio piccolo. Ho riferito quello che ho visto, con tutta la mia indignazione, sentendomi a volte solo al mondo. Ho visto un numero incalcolabile di esecuzioni sommarie; ho visto jihadisti giocare a calcio con teste che avevano appena tagliato; ho visto donne strangolate dai loro mariti per il solo sospetto di adulterio; altre lapidate in Pakistan per avere posseduto un cellulare; ho visto ribelli siriani che hanno deciso di applicare la sharia, tagliare mani, poco importa cosa ne pensano gli abitanti; ho visto bambini egiziani mitragliati perché erano cristiani; ho visto i fondamentalisti arrivare in una fattoria tenuta dalla stessa famiglia da tre generazioni, mettere in fila tutti i membri per abbatterli uno dopo l’altro in nome di Allah; ho visto un combattente insegnare a un bambino di dodici anni a decapitare un uomo con un coltello e mettersi poi in posa tenendo fieramente la testa della sua vittima col braccio teso; ho visto la popolazione siriana ricevere piogge di proiettili di obice sparati alla cieca dal suo esercito; ho visto chiese bruciare in Egitto; diritti umani violati in maniera orribile ovunque in tutti i paesi della regione…Tutte queste cose ho riferito per mesi, a volte a malincuore, rammaricato di intossicare il cervello degli altri con queste immagini che hanno intossicato il mio. Ma se avessi scelto di distogliere lo sguardo e far finta di niente con la scusa che questo non accade sotto la mia finestra, nel mio paese, che figura avrei fatto? Come mi sarei potuto guardare allo specchio? Sì, quando i musulmani massacrano altri musulmani non riesco a dormire, perché non capisco. Non capisco come gli uomini possano fare cose simili ad altri uomini che non conoscono, solo perché hanno un credo diverso dal loro. Ma non è della loro ferocia che voglio parlare, per quanto…
Il fatto è che su più di 500 amici (ne devono restare un bel po’ di meno ora), quanti hanno mostrato la loro indignazione? Quanti hanno inoltrato questa informazioni nascoste dai nostri media come segno di disaccordo? Quanti hanno almeno cliccato “like” (anche se qui non si tratta di gradire queste immagini, ma solo di sostenere queste vittime denunciando questi atti barbarici)? Quanti si sono almeno presi il tempo di leggere gli articoli o guardare i video? Lo so che c’è la crisi, che la vita quotidiana dei francesi è cupa, che è meglio vedere i video del bambino che ride a crepapelle, o un parrocchetto che balla a ritmo con la musica sul suo trespolo, perché fa bene al morale e fa sorridere ogni volta. Ma, ciononostante, vedo alcuni passare più tempo a inoltrare annunci di cani persi o altri maltrattamenti agli animali, con più convinzione (o compassione) che per gli esseri umani. Cosa devo pensare di quella parte di voi che ha deliberatamente distolto lo sguardo per tutto questo tempo? Sapendo che diffondere informazioni che i media si rifiutano di trattare, o manipolano volontariamente, ha già più volte contribuito a cambiare il corso della storia, come interpretare il vostro silenzio? Solo voi avete la risposta, io non mi azzardo a cercare le parole al vostro posto.
Ma torniamo alla vostra indignazione per ciò che accadrà presto in Gaza e nei territori, perché è il soggetto principale di questa lettera. Se dopo questo lungo silenzio da parte vostra di fronte a tutti questi orrori, vi venisse voglia di essere indignati per le azioni dell’esercito israeliano e di farlo sapere sulla vostra pagina Facebook inviando un commento non solo leggermente ma ciecamente pro palestinese, vi chiedo di porvi le domande giuste. Quale valore dare alla vostra indignazione? Perché la morte di terroristi che lanciano oltre 100 razzi al giorno su dei civili, con lo scopo di ucciderli volontariamente, meriterebbe più indignazione rispetto a quella di persone innocenti massacrate quotidianamente nel resto del mondo? La vostra indignazione per me vale quanto quella delle persone che vegliano con la candela davanti a una prigione federale degli Stati Uniti per impedire l’esecuzione di un criminale condannato a morte, mentre queste stesse persone non levano il mignolo per aiutare le persone innocenti di cui ho parlato. Se non arriva alcuna risposta, guardatevi allo specchio e chiedetevi qual è la vera ragione della vostra indignazione. Perché dal mio punto di vista e in tutta onestà, voi non avete niente a che fare con i palestinesi. Voi non fate niente per loro, in ogni caso molto meno degli israeliani, presso i quali i musulmani sono i meglio trattati del Medio Oriente.
Se, nonostante queste parole, la vostra voglia di pubblicare un articolo o un commento decisamente anti-sionista per denunciare atti secondo voi inammissibili fosse più forte di tutto, ecco la procedura da seguire per quanto mi riguarda:
Andate alla mia pagina su Facebook e cliccate sul quadratino a destra della mia foto, su cui è scritto “Rimuovere dalla lista degli amici”. Perché davvero non vorrei fra i miei amici delle persone che hanno tali paraocchi. I miei amici sono persone intelligenti, riflettono, si informano, sono curiosi. Ma soprattutto non confondono israeliani e coloni per via del lavaggio del cervello che hanno subito per anni da parte dei media francesi. Per favore, risparmiatemi questa azione orribile che non ho il coraggio di fare, questa “selezione”… Anticipatemi e fate clic su questo pulsante. Ma soprattutto, non dimenticate, passando, di prendere con voi la vostra “indignazione”, e di mettervela dove penso io, perché quello è il suo vero posto.

David. B, 9 luglio 2014 (qui, traduzione mia)

(e grazie ad “amica” per la segnalazione)

Questo testo, come potete vedere, è stato pubblicato una settimana fa e, a giudicare dal contenuto, scritto o almeno pensato probabilmente un po’ prima. Guardandoci un po’ in giro scopriamo che ieri 15 luglio in Afghanistan i talebani mussulmani hanno messo una bomba uccidendo in un colpo solo 89 civili, nessuno dei quali – per inciso – lanciava razzi, e ancor meglio avevano fatto il giorno delle elezioni, facendone fuori 106: indignazioni? Proteste? Manifestazioni? Boicottaggio? Richieste di riunioni straordinarie urgenti all’Onu per chiedere ferme condanne? Zero.
Poi se vi restano ancora cinque minuti, andate a rileggere – a leggere se siete nuovi da queste parti – quest’altro post.

barbara

E MENO MALE CHE IL COFFEE C’È

Hanno detto alla radio che Kofi Annan ha invitato Assad a cessare gli attacchi con le armi pesanti. Quindi il signor Assad è avvertito: d’ora in poi tollereremo unicamente massacri eseguiti con fucili, pistole e armi da taglio. Al massimo, occasionalmente, qualche granata e qualche sporadica raffica di mitra, ma solo in caso di comprovata necessità.
D’altra parte, potevamo aspettarci di meno dal ninfo egerio di Durban 1? Potevamo aspettarci di meno da uno dei maggiori responsabili del genocidio in Ruanda? (Un episodio forse non troppo noto: nel gennaio 1994 il generale Dallaire, comandante delle forze ONU in Ruanda, inviò a Kofi Annan, all’epoca capo delle missioni di pace dell’ONU, l’informazione che era imminente la messa in atto di un genocidio: Kofi Annan scelse di non intervenire. Tre anni e mezzo (e un milione di morti) più tardi Kofi Annan, diventato nel frattempo segretario generale dell’ONU, impedì al generale Dallaire di testimoniare in proposito. Altrettanto poco noto, per inciso, è probabilmente il fatto che nel 2005, sempre sotto il regno di Sua Maestà Kofi Annan, nella ricorrenza dell’anniversario della risoluzione Onu 181 del 29 novembre 1947, all’Onu si è tenuta una cerimonia di solidarietà con il popolo palestinese per la “tragedia” della nascita di Israele, con tanto di carta geografica in cui la Palestina copre tutta l’area e Israele non c’è).

Giornata di solidarietà col popolo palestinese

E infine, l’argomento decidivo: potevamo aspettarci di meno da un premio Nobel per la pace?

barbara