PICCOLI NAZISTI CRESCONO

Supplenza in terza C

La terza C è una di quelle classi che quando si legge di doverci fare supplenza provoca in tutti noi un irresistibile impulso alla fuga. Magari anche con qualche modesto atto di autolesionismo che giustifichi almeno una breve visita al pronto soccorso. Quella volta la supplenza era per il collega di religione che, trattandosi di un’assenza prevista, aveva provveduto a organizzare la visione di un film su Auschwitz. E dunque parte il film, e naturalmente ogni tanto c’è qualche personaggio, o gruppo di personaggi, che fa il saluto nazista, e ogni volta un buon quarto della classe scatta sull’attenti e stende il braccio, e uno di loro grida con entusiasmo “Heil Hitler!” Al terzo Heil Hitler sono andata lì, l’ho preso per un braccio, l’ho tirato giù e scaraventato (letteralmente, con tutte e due le mani) fuori dalla porta. Quando sono andata alla cattedra e ho preso il registro, una cospicua parte della classe si è precipitata lì per tentare di convincermi a non scrivergli una nota. (Un anno fa in terza F, invece, era successo questo).

Supplenza in terza D

Avevano un lavoro da fare, e la maggior parte ha lavorato seriamente. Alcuni hanno chiacchierato, qualcuno – i soliti noti – preso atteggiamenti provocatori, ma insomma il tutto era più o meno sopportabile. Verso la fine dell’ora O. mi si trova davanti e di colpo i suoi occhi si bloccano sul risvolto della mia giacca. Per la precisione, sulla spilletta appuntata sul risvolto della giacca. A forma di stella. Con sei punte. Con la faccia tra lo schifato e l’inorridito punta l’indice e chiede: “Cos’è quella roba?” “Una stella” dico. E poi, a voce alta, a muso duro e in tono ancora più duro – quello che prendo quando sono pronta a menare, e chi mi si trova davanti lo capisce immediatamente – aggiungo: “Qualcosa da dire?” “No… no”, dice, e si immerge nel gruppetto dei soliti noti dal quale, fra una sghignazzata e l’altra, arrivano mormorii da cui emerge qualche parola, come “Jude” e “Scheisse” (merda).

Corso di scrittura creativa

È un corso in quattro turni, con quattro diversi gruppi di scolari provenienti da varie classi, della durata di otto settimane ciascuno, che tengo una volta la settimana. Oggi c’è una ragazza che indossa una blusa con su scritto

I ♥ HCP

Verso la fine dell’ora le chiedo cosa voglia dire HCP. “Hockey Club Pustertal” mi dice. Poi, ammiccando, aggiunge: “C’è scritto qualcosa anche dietro!” E si alza, si gira e solleva la felpa, per mostrarmi la scritta

I ♥ NADI

Nadia, mi spiega, è la sua compagna di banco, nonché amica del cuore: quella maglietta se l’è fatta stampare apposta, con i suoi due grandi amori. Sto ancora sorridendo di tenerezza quando interviene A. che, approfittando dell’assonanza, finge di leggere male e grida: “I love nazi!” Cercando di mantenere la calma gli spiego che cos’è l’apologia di reato e provvedo a informarlo che chi fa apologia di un crimine, per la legge del nostro stato, commette a sua volta un crimine. E lui, tutto soddisfatto e compiaciuto: “Allora siamo in tanti criminali, qui. E gli austriaci sono tutti criminali!”


    

(Sono nazistini piccoli piccoli, ma cresceranno. A differenza di questi altri bambini.

In queste giornate, una foto tra le foto mostrava un gruppo di bambini in attesa di mangiare, e dico solo che in questa occasione sinteticamente ebraica della Shoah i bambini li vorrei chiamare ieladim. Questi ieladim li ho contati, erano 27.
Avevano delle giacche invernali, a parte uno che aveva la maglietta a righe, e alcuni portavano bretelle – tutti un cappello e i pantaloni corti. Uno ieled teneva le mani in tasca, una forse era una ialdà e aveva un basco blu sulla testa rotonda che ora che ci penso era rasata, e lui, o lei che fosse, portava un lungo cappotto elegante che scendeva; aveva la testa girata da un’altra parte perché era incuriosito, oppure incuriosita, da qualcosa – lui, lei, non aveva mai visto un posto così. Gli ieladim ridevano, se no sorridevano, stringevano gli occhi perché avevano il sole contro, e le stelline gialle sul petto di tutti erano atrocemente graziose. La foto era in una bella giornata di sole, e ogni dettaglio era in armonia con l’idea di bella giornata: il cielo sereno, il sole e i colori, e la foto a colori. Poi gli ieladim sono rimasti per sempre ieladim.  
Il Tizio della Sera)

AGGIORNAMENTO: questa foto, che mi è appena stata inviata, è del marzo 2012. Il manifesto in essa ripreso è diffuso in tutta l’Ungheria.

barbara