SABENA – OPERAZIONE ISOTOPE QUARANT’ANNI DOPO

Operazione “Isotope”

Aeroporto di Lydda (Ben Gurion), 9 Maggio 1972


Nel 1972, l’uso dei dirottamenti aerei da parte delle organizzazioni terroristiche mediorientali quali strumenti di pressione politica, aveva preso piede già da diverso tempo. Il 23 Luglio di quattro anni prima, un commando del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), aveva dirottato il volo El Al 426 da Heathrow a Fiumicino (Roma). L’incidente si risolse senza spargimento di sangue quaranta giorni dopo ad Algeri, con la liberazione dei quarantotto ostaggi ed il rilascio dei tre dirottatori.
Nel Settembre del 1970, l’FPLP si guadagnò nuovamente le prime pagine dei rotocalchi internazionali con il dirottamento di tre aerei, fatti atterrare a Dawson’s Field (Giordania) e successivamente distrutti con gli esplosivi, dopo che tutti i passeggeri erano stati rilasciati. Un quarto velivolo venne fatto atterrare al Cairo, mentre il dirottamento del quinto, il volo El Al 219, fallì grazie alla reazione del personale di sicurezza a bordo.
Gli apparati di sicurezza israeliani, dopo aver previsto l’intensificarsi degli atti di pirateria aerea, decisero di dispiegare agenti armati a bordo dei voli El Al. Si trattava di giovani riservisti del
Sayeret Mat’kal(una delle unità antiterrorismo di punta delle Israeli Defense Forces), ai quali lo Shabak (il servizio segreto interno) offriva la possibilità di lavorare a bordo dei voli, quando non in servizio con la propria unità di appartenenza. Addestrati a reagire a qualsiasi tipo di minaccia, non vi è ombra di dubbio come la loro presenza (insieme alla pratica del profiling dei passeggeri) abbia notevolmente contribuito a rendere impossibile il dirottamento dei voli El Al.
Rimaneva comunque l’incognita di come intervenire nel caso di una presa di ostaggi su di un volo straniero, ma in territorio israeliano. Gli apparati di sicurezza affidarono quindi al
Sayeret Mat’kal, il compito di sviluppare tattiche di intervento per la liberazione di ostaggi a bordo di aerei. Esse sarebbero ben presto state utilizzate da quello stesso reparto, nel corso di un’operazione che avrebbe costituito negli anni a venire un vero e proprio case study per i reparti di controterrorismo di tutto il mondo.

Il battesimo del fuoco

Nel 1971 i servizi di sicurezza israeliani inziarono a ricevere informazioni su di una nuova organizzazione fondata all’interno di al-Fatah e rispondente al nome di Settembre Nero. L’obiettivo dell’organizzazione, era quello di vendicare l’uccisione dei palestinesi che avevano cercato di rovesciare il regno di re Hussein di Giordania nel Settembre 1970. L’esordio di Settembre Nero sulla scena internazionale fu cruento ed inaspettato. Il 28 Novembre 1971, i terroristi assassinarono il primo ministro giordano Wasfi al-Tel, mentre si recava ad una riunione della Lega Araba all’Hotel Sheraton del Cairo. Dopo questo primo eclatante colpo, le operazioni di Settembre Nero si allargarono al di fuori del Medioriente. Potendo contare su di una vasta rete di simpatizzanti in Europa, il gruppo compì attentati e sabotaggi a Londra, nella Germania dell’Ovest ed in Olanda.
L’8 Maggio 1972, quattro terroristi appartenenti a Settembre Nero (due uomini e due donne) dirottarono il volo Sabena SN571, diretto da Vienna all’aeroporto israeliano di Lydda (oggi Ben Gurion), presso Lod. Il commando è guidato da un certo Ali Taha, e l’operazione fa parte di una campagna ideata da Ali Hassan Salameh, capo delle operazioni di Settembre Nero, e fondatore di Forza 17, unità speciale agli ordini di al-Fatah. Dopo venti minuti dal decollo, i terroristi fecero irruzione pistole in pugno nella cabina del Boeing 707, prendendone il controllo. “Come potete vedere, abbiamo degli amici a bordo”, fu l’ironico annuncio del Comandante del volo Reginald Levy ai passeggeri. Una volta atterrati al Lydda, i terroristi resero note le loro richieste, ordinando la liberazione di 317 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, in cambio della vita degli ostaggi.
Il Ministro della Sicurezza Moshe Dayan, dopo essersi consultato con il Primo Ministro Golda Meir, diede immediatamente ordine al Tenente Colonnello Ehud Barak (comandante del Sayeret Mat’kal e futuro Primo Ministro) di riunire riservisti e operatori in servizio attivo e prepararsi ad un intervento di salvataggio.

Mentre Dayan continuava le negoziazioni con i terroristi, utilizzando quale tramite membri della Croce Rossa, vennero passate al vaglio diverse possibilità di intervento. Un significativo vantaggio fu acquisito dai pianificatori, quando i terroristi inviarono il capitano Levy al terminal per mostrare un campione dell’esplosivo presente a bordo, e convincere le autorità della veridicità delle loro minacce. I servizi di sicurezza furono così in grado di conoscere da Levy la posizione dei terroristi a bordo, l’ubicazione dell’esplosivo e confermare che le uscite di sicurezza non fossero ostruite dai sedili.
Onde scongiurare un bagno di sangue, era necessario neutralizzare innanzitutto la carica esplosiva. Il primo operatore a fare irruzione, avrebbe quindi avuto il delicato compito di individuare l’ordigno e renderlo inoffensivo. “Affinché l’operazione abbia successo”, spiegò il Comandante Barak ai suoi operatori, “ho bisogno di uomini che conoscano perfettamente l’interno di questi aerei e che siano abili nell’uso delle pistole”. A fare la parte del leone, sarebbero quindi stati gli uomini già impiegati come sceriffi dell’aria. Proprio uno di questi, sarebbe stato l’uomo di punta incaricato di neutralizzare il congegno esplosivo.
L’operazione venne provata più e più volte su di un 707 all’interno di un hangar, finché tutti gli operatori non acquisirono un completo automatismo nei movimenti. Il 707 aveva due uscite di emergenza su entrambe le ali, due uscite posteriori e due anteriori. Quattro operatori avrebbero fatto irruzione in contemporanea dalle ali, fra questi anche Benjamin Netanyahu (anch’egli futuro Primo Ministro), che sarebbe entrato dall’ala di destra. Dato l’alto numero di ostaggi, venne ordinato agli uomini di non fare fuoco a meno che non fosse stato strettamente necessario. L’unico autorizzato ad aprirsi la strada con ogni mezzo, fu Mordechai Rachamim, venticinquenne riservista dell’unità, richiamato in servizio con una telefonata durante una lezione all’università. Rachamim sarebbe entrato dall’uscita d’emergenza collocata sull’ala sinistra, oltrepassato le prime tre file di sedili, e disabilitato l’esplosivo strappandone via le batterie. “Ero certo che non ne sarei uscito vivo”, ricorda Rachamim. “Dopo tutto sarei stato il primo ad entrare nell’aereo ed i terroristi non avrebbero esitato a spararmi non appena mi avessero visto”.
Quella stessa notte, Ehud Barak ed altri due operatori si avvicinarono al 707. Coperti dall’oscurità, i commandos sabotarono il carrello aprendo le valvole del liquido idraulico. Il mattino successivo, i terroristi scoprirono di essere immobilizzati sulla pista. Dayan, che aveva condotto le negoziazioni, assicurò che una squadra di tecnici sarebbe presto arrivata per riparare il guasto. Era il momento di agire.

Ora zero


Alle ore 10 circa, sedici commandos del Sayeret Mat’kal travestiti da meccanici furono riuniti sulla pista. I terroristi pretesero che i “meccanici” fossero perquisiti da un rappresentante della Croce Rossa il quale, all’oscuro del piano d’assalto, non si accorse delle armi nascoste addosso agli operatori. Una volta terminata la perquisizione, i militari salirono a bordo di due camion porta valigie, per essere trasportati verso il 707. Il governo israeliano aveva nel mentre acconsentito alla liberazione dei 317 prigionieri. O così almeno credevano i terroristi. Vestiti con delle kefiyah, un gruppo di militari venne portato a poca distanza dall’apparecchio al fine di distrarre i terroristi. Tutto sembrava andare per il verso giusto per il commando, che solo poche ore prima aveva dirottato il volo Sabena SN571.
Giunti dinnanzi all’aereo, e fingendo di dover iniziare le operazioni di riparazione, tutti gli operatori presero le posizioni assegnate loro. Dopo un breve momento di silenzio, Ehud Barak soffiò nel fischietto che portava appeso al collo. Era il segnale d’inizio attacco. Rachim fece irruzione dalle ali, venendo accolto da una scarica di colpi. Ritirandosi per un momento al di fuori dell’apparecchio, il militare diede tempo al collega al suo fianco di sporgersi all’interno dell’aereo ed abbattere il terrorista che aveva sparato. Poi Rachim si lanciò nuovamente dentro. Non sapendo che il terrorista che aveva cercato di colpirlo fosse stato ucciso, egli aprì il fuoco verso la direzione del suo aggressore, muovendosi contemporaneamente in avanti per individuare la carica, ma finendo nuovamente sotto i colpi di un secondo terrorista. Il militare rispose al fuoco muovendosi di fila in fila e riparandosi dietro un sedile per ricaricare. La tecnica impiegata dal Sayeret Mat’kal all’interno degli aerei, era la stessa utilizzata per la bonifica delle trincee: una volta che l’uomo di punta avesse esaurito le munizioni, egli si muoveva sul lato cedendo il passo a chi lo precedeva. Il terrorista che teneva sotto tiro gli operatori, terminate le munizioni, si rifugiò nel bagno, ma venne raggiunto da uno dei militari che lo uccise.
Nel frattempo entrambe le donne del commando, che avevano tentato di nascondersi, vennero individuate grazie all’aiuto dei passeggeri. Una di queste fu colpita alla testa dal calcio della pistola di uno degli operatori. L’arma fece fuoco accidentalmente, ferendo ad una spalla Benjamin Netanyahu.
Dal reggipetto della terrorista vennero strappate le batterie ed i detonatori per la carica che avrebbe dovuto distruggere l’apparecchio. Anche la seconda terrorista venne catturata, mentre Danny Yatom (futuro direttore del Mossad) ed un altro operatore, sopraggiungevano dalla cabina. L’esplosivo fu ritrovato sul retro e gettato fuori dall’aereo, mentre i passeggeri venivano evacuati scivolando giù dalle ali dell’aereo.
L’intera operazione, dal momento del segnale d’inizio, era durata meno di due minuti. Tutti gli ostaggi a parte una donna (uccisa dal fuoco incrociato) furono tratti in salvo.

Alcuni giorni dopo l’operazione, venne organizzata una cena in onore del Sayeret Mat’kal. A presiederla il Primo Ministro Golda Meir, la quale, rispondendo alle critiche che la accusavano di aver messo a rischio la vita degli ostaggi, così dichiaró: “Quando ricatti come questi hanno successo, non possono che portare ad altri ricatti”. Rima Tannous e Teresa Halasseh, unici membri del commando sopravvissuti all’assalto, vennero processate e condannate da una corte israeliana.
L’operazione “Isotope” (o “Mabat”, in israeliano) rappresenta il primo intervento di salvataggio ostaggi mai effettuato a bordo di un aeromobile. Solo l’effetto sorpresa, la violenza e la velocità messe in campo nell’esecuzione dell’attacco, evitarono che l’ordigno esplosivo venisse raggiunto ed attivato dai membri del commando terrorista. Le lezioni apprese nel corso dell’operazione, sono ancora oggi analizzate dalle unità antiterrorismo di tutto il mondo, al fine di perfezionare le proprie procedure d’intervento a bordo degli aerei di linea dirottati. (qui)

Non c’è molto da aggiungere a questa dettagliata ed esauriente ricostruzione di una delle molte straordinarie imprese dei corpi speciali israeliani (e magari Israele non avesse bisogno di istruire corpi così straordinariamente speciali…). Quindi metterò solo un paio di postille.
La prima riguarda Reginald Levy, eccezionale pilota di quel drammatico volo: per tranquillizzare il più possibile i passeggeri, con incredibile sangue freddo, per tutto il tempo del volo li ha intrattenuti parlando ininterrottamente attraverso l’altoparlante su ogni sorta di argomenti, dalle informazioni sul volo alle barzellette spinte. Contemporaneamente, per mezzo di messaggi in codice, ha provveduto a informare Israele di ciò che stava accadendo.
La seconda riguarda la questione delle misure di sicurezza. In un suo articolo del 24 febbraio 2003 su WorldNetDaily Joseph Farah, giornalista arabo americano, scriveva:
When I fly to the Middle East, I often fly El Al. In fact, it is my preferred carrier. Why? Because it has great security. I know, because of my name and my Arabic ancestry, I’m going to have my bags searched more scrupulously than the average American. Do I mind? Absolutely not. In fact, I am grateful. Because I know these security people are not only protecting the other passengers, they are protecting me.” C’è chi ritiene più importante la (anche propria) sicurezza, e chi il piccolo fastidio di qualche controllo in più.
barbara 

Una risposta

  1. Golda Meir, Moshe Dayan, Benjamin Netanyahu ed altri loro collaboratori sono state e sono ancora persone straordinarie. Grazie a persone così,ce ne saranno sicuramente altre, Israele continuerà ad esistere e grazie anche alla signora Barbara che li ricorda e ce li fa ricordare.

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  2. I tempi di Golda Meir erano più semplici,adesso bisogna trattare e adeguarsi.Adesso del nuovo governo Israeliano fà parte il leader del kadima Shaul Mofaz di origine Iraniana e contrario all’opzione militare e l’averlo optato rende Benjamin Netanyahu ancora più grande.

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    • Adesso non ho tempo di controllare, ma mi pare che il Kadima abbia la maggioranza relativa, e che in ogni caso il Likud da solo non ce la farebbe. Per cui averlo “optato” mi pare una necessità, non un sintomo di maggiore grandezza.

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      • Incollo qui un commento fatto ieri da Ugo Volli nel corso di uno scambio: “Bibi aveva bisogno di legittimazione per prendere decisioni
        difficilissime. Le elezioni o una coalizione così vasta sono
        equivalenti. Sulla politica interna non voglio pronunciarmi neppure io.
        Tzipi mi è sempre sembrata molto fragile. Mofaz ha cercato di evitare
        il disastro annunciato di Kadima, o almeno di avere una via di fuga
        dentro il likud. Per aver simpatia per l’operazione basta leggere gli
        editoriali di Haaretz, lividi di rabbia”. Infatti i pacifisti senza se e senza ma, come sono i collaboratori di quello che viene definito “l’organo di hamas in lingua ebraica”, non per malignità ma perché hamas ha dichiarato di riconoscersi nelle posizioni di Haaretz, esultavano per le previste elezioni, in quanto si può tranquillamente escludere che qualcuno possa mettersi a fare una guerra in campagna elettorale. Adesso questa novità rimette – fortunatamente – in gioco tutto.

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    • I tempi sono stati fatti diventare meno semplici perché ad un certo momento si è cominciato a cedere e a trattare. Il che obbliga inesorabilmente a continuare a farlo: dopo aver liberato oltre mille terroristi fra i più efferati di tutti i tempi in cambio di Gilad, chi potrebbe permettersi di rifiutare qualcosa, qualunque cosa, in occasione di un prossimo rapimento?
      Chiunque escluda aprioristicamente l’opzione militare rappresenta in assoluto il pericolo maggiore per il Paese. Spero solo che quella di Mofaz sia una manovra diversiva per distrarre chi deve essere distratto, anche se rimane comunque una manovra pericolosa.

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  3. Auguriamoci che tutto vada per il meglio,certo che Israele ha ceduto ma lo ha fatto per avere una pace che non ha.A priori nulla và escluso ma non far tornare a casa un pilota su tre è un costo molto elevato che non è facile pagare per Israele.

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    • Da ricordare soprattutto a chi si illude che Israele sia un pesce fin troppo facile da cucinare. La cosa più sconvolgente, secondo me, in tutta questa operazione, sono i tempi: MENO DI DUE MINUTI per fare irruzione, neutralizzare cariche di esplosivo sufficienti a far saltare tutto l’aereo e neutralizzare quattro terroristi armati fino ai denti! Dimmi se non è grandioso.

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