SI È ROTTA LA MACCHINETTA, SI È ROTTA LA MACCHINETTA…

Ho incontrato la mia ex vicina, stava uscendo dal cimitero, dove era andata a curare la tomba del marito. Dove sta adesso? le ho chiesto. Halb halb, ha risposto, metà e metà. Lei è di Augsburg, in Germania: da quando si è sposata ha sempre fatto halb halb: due settimane qui e due settimane lì, dove ha casa, amiche, forse anche qualche parente. Anche adesso che suo marito non c’è più continua a fare halb halb: due settimane qui, arieggia e pulisce la casa, cura la tomba del marito, passa a salutare le sue conoscenze, poi prende la macchina, si fa quasi trecento chilometri e va a fare due settimane ad Augsburg, arieggia e pulisce la casa, incontra le amiche e poi riparte.
La mia ex vicina è del 1922, ha fatto novant’anni tondi tondi un paio di mesi fa.

E forti come loro la mamma non ne fa più
si è rotta la macchinetta, si è rotta la macchinetta…

barbara

LA PROSTITUZIONE È UN MESTIERE REDDITIZIO

Gli ebrei dei ‘treni della pace’ contro Israele
di Giulio Meotti
(Traduzione dall’inglese di Yehudit Weisz)

http://frontpagemag.com/2012/06/25/peace-trains-jews-against-israel/ 

Karl Marx è morto molto tempo prima che lo Stato di Israele fosse stato creato. Ma quel che rese il fondatore del comunismo un anti-sionista ante litteram, è stata la sua opposizione all’idea stessa di una identità ebraica. La spiegazione  è nei suoi scritti. Ne “La questione ebraica”, Marx aveva fatto molte affermazioni antisemite, del tipo: “Il denaro è il dio geloso di Israele, accanto a lui nessun altro dio può esistere”. “In ultima analisi, l’emancipazione degli ebrei è l’emancipazione dell’umanità dal giudaismo”.
Se si pensa che l’umanità debba essere emancipata (leggere: liberata) dal giudaismo, si deve affermare allora che gli ebrei devono essere privi di potere e assimilati. Ecco perché i nuovi marxisti ebrei hanno trasformato l’anti-sionismo in una delle loro priorità più alte.
Dal 1970, le università israeliane e molti circoli intellettuali occidentali sono diventati sedi di una nuova generazione di intellettuali ebrei che demonizzano e boicottano Israele e, fondamentalmente, minano la sopravvivenza del popolo ebraico dopo la Shoah.
Oltre il 90% delle accuse di “crimini di guerra israeliani”, citati nel vergognoso rapporto Goldstone sono stati forniti da 16 organizzazioni non governative che hanno ricevuto quasi 8 milioni di dollari dal New Israel Fund, un’organizzazione guidata dall’ex deputata del Meretz e docente neo-marxista, Naomi Chazan.
L’elenco degli “squilibrati odiatori di ebrei che, se ascoltati, non farà altro che spianare la strada alla prossima tragedia” (come la coraggiosa Caroline Glick li definì una volta), è lungo e molto ricco. Steve Plaut ne ha stilato un elenco completo per il Middle East Quarterly e nel suo pamphlet del Freedom Center,” Ebrei che incitano alla guerra contro Israele”.
Studenti e professori dell’Università di Tel Aviv hanno recentemente commemorato la “Nakba”, la “catastrofe”, come gli arabi chiamano la data della creazione dello Stato di Israele nel 1948. Ayal Nir, lettore presso la Ben-Gurion University, nella sua pagina Facebook, ha incitato a “rompere il collo agli attivisti di destra”. Il professore israeliano Shlomo Sand ha raggiunto la celebrità in Europa con la pubblicazione di un libro in cui nega l’esistenza del popolo ebraico, mentre il professor Oren Yiftachel ha definito Israele “una bianca … pura società coloniale di insediamenti”. Larry Derfner, giornalista, che in passato aveva fatto parte dello staff del Jerusalem Post, ha dichiarato pubblicamente che l’uccisione di cittadini israeliani è un’arma legittima in mano ai palestinesi per contrastare “l’occupazione”.
All’Università Ben-Gurion, il prof. Nevè Gordon ha accusato i soldati dell’IDF di essere “criminali di guerra” e ha promosso il boicottaggio di Israele in un editoriale sul Los Angeles Times.
Due giorni dopo che due ragazzi ebrei erano stati uccisi a Tekoa, dove vivevano, il professor Ze’ev Sternhell aveva pubblicato un articolo intitolato “Contro il governo pazzo”, in cui scrisse: “Se i palestinesi avessero più buon senso punterebbero la loro lotta contro gli insediamenti. Così potrebbero anche evitare di collocare cariche esplosive ad ovest della linea verde”. In altre parole, Sternhell, uno dei simboli più famosi del disfattismo della  sinistra israeliana, si augura che delle bombe esplodano contro gli ebrei.
La nuova pubblicazione ebraica “Tachlit Re’uya” di Ruti Eiskowitch fa luce su questa “disumanizzazione dei coloni”, diffusa da esponenti israeliani. Moshe Zimmerman dell’Università Ebraica ha detto che considera i bambini ebrei di Hebron, come la Hitlerjugend. Dopo che degli arabi avevano sadicamente sfondato i crani di due “bambini coloni” nel deserto della Giudea, la psichiatra israeliana Ruchama Marton aveva dichiarato che “i coloni allevano piccoli mostri”. Anat Matar dell’Università di Tel Aviv aveva apertamente sostenuto il boicottaggio della sua università, mentre Ilan Pappe, professore dell’Università di Haifa aveva accusato lo Stato ebraico di “pulizia etnica”. Ran Hacohen dall’Università di Tel Aviv aveva descritto “Israele come il sogno esaudito di Hitler” e a proposito dell’assassinio del leader di Hamas Ahmed Yassin, come “una pietra miliare nel processo di imbarbarimento del genere umano”. Lev Grinberg dell’Università Ben-Gurion, a un’emittente belga, aveva accusato il governo israeliano, di “terrorismo di stato”.
Negli ultimi anni, nell’Anglosfera, la critica più incessante a Israele è venuta da intellettuali ebrei. Ogni giorno, ebrei famosi – scrittori, artisti, accademici – descrivono Israele come un’entità “razzista”, “depravata” e “disumana”, che deve essere smantellata. Molti di loro hanno assunto ruoli chiave nella campagna di dismissione dello Stato ebraico. I loro attacchi implacabili potrebbero portare davvero alla fine della vita di Israele.
George Steiner, che è stato proclamato “il critico letterario più importante del mondo”, ha messo in dubbio la necessità dell’esistenza di Israele. Eric Hobsbawm, uno degli storici viventi più noti, ha sostenuto la seconda Intifada, approvando “la causa della liberazione”. Marek Edelman, uno dei leaders della rivolta del ghetto di Varsavia, aveva scritto lettere ai “partigiani palestinesi” durante l’Intifada. Il defunto storico Tony Judt era stato esplicito nel suo rifiuto del diritto di Israele ad esistere e aveva augurato agli israeliani la sorte di altre minoranze religiose in Medio Oriente. L’inviato delle Nazioni Unite Richard Falk è uno dei più radicali demonizzatori dello Stato ebraico. Lo storico Norman Finkelstein è uno dei più strenui sostenitori occidentali di Hezbollah. Il Premio Nobel Harold Pinter e i registi Ken Loach e Mike Leigh, sono stati i più famosi registi anti-israeliani del Regno Unito. L’iniziativa di un boicottaggio anti-israeliano a Londra è stata decisa da Stephen e Hilary Rose, due rinomati accademici ebrei. Il linguista Noam Chomsky, “il padrino intellettuale” della campagna anti-israeliana negli Stati Uniti, proclama apertamente l’abolizione dello Stato ebraico. La filosofa ebrea Judith Butler è alla guida del disinvestimento economico da Israele. La rivista del rabbino Michael Lerner, Tikkun, è la pubblicazione più violentemente anti-israeliana mai stampata nel mondo ebraico.
Insieme a speculatori ebrei come George Soros, che finanzia a livello mondiale i gruppi radicali, e che ritiene la politica estera americana guidata da una “lobby sionista” e il cui denaro va a organizzazioni anti-Israeliane, come Amnesty International e Human Rights Watch, si trova anche la maggior parte degli intellettuali ebrei influenti negli Stati Uniti che hanno abbandonato e hanno attaccato un eroe contemporaneo ebreo come Jonathan Pollard, chiamandolo un “fanatico” (Robert Friedman del Washington Post), “un’aberrazione” (Rabbi Arthur Hertzberg), e “una vipera” (Marty Peretz del New Republic).
Come Karl Marx, questi ebrei celebri hanno guadagnato la fama attaccando il loro stesso popolo. Si sono auto-proclamati “ebrei migliori”, per distinguersi dalla massa degli israeliani e si presentano come  possessori di una saggezza più cosmopolita, più liberale, più umanistica e, quindi, davvero ebraica. Più loro attaccano altri ebrei, più dimostrano di non esserlo più. Sono più pericolosi degli anti-semiti dichiarati. “Ebrei buoni” che stanno cercando di caricare Israele su ciò che Hillel Weiss, evocando i carri-bestiame che portavano gli ebrei nei campi di concentramento nazisti, superbamente chiamò “i treni della pace”. (Pubblicato in italiano da Informazione Corretta e da Kolot)

Sono sempre stata profondamente convinta che fra tutte le possibili forme di prostituzione, quella che si esercita sul marciapiede non è né la più disonesta, né la più sporca. Né, meno che mai, la più redditizia.
Sempre a proposito di prostituzione, invito tutti i miei lettori (sto educatamente usando un eufemismo: in realtà non è affatto un invito bensì un imperativo categorico) ad andare qui e leggere con particolare attenzione i commenti 3 e 4, cliccando tutto ciò che vi è da cliccare.
Infine un ultimo piccolo pensiero (trattandosi di personaggini piccoli piccoli non è davvero il caso di sprecare per loro pensieri grandi) sulle prostitute nostrane. Farebbero bene, costoro, a ricordare che gli ebrei che hanno accettato di collaborare con le SS sono stati infornati per ultimi. Ma sono stati infornati. La differenza fra i collaborazionisti di settant’anni fa e quelli attuali è che per quelli di allora il margine di scelta era quasi sempre pressoché nullo, mentre per i collaborazionisti attuali quella di mettersi al servizio del Male è proprio una scelta assolutamente libera. (Piccola nota a margine: uno di questi personaggini, una volta che parlavo delle mie solite drammatiche difficoltà finanziarie, mi ha suggerito – “ormai siamo amici da tanti anni, possiamo parlarci apertamente” – di trovarmi un amante ricco. Non credo di avere né la vocazione né la stoffa delle prostituta, ho detto. Ma no, ha replicato, chi parla di prostituzione, intendevo un amante fisso. Sì, ho risposto, ho capito, solo che fra darla per soldi a cinque uomini per sera e darla per soldi a uno sempre quello, io di differenze non ne vedo mica. Il discorso comunque è chiaro: se darla in cambio di qualcosa che non sia né l’amore né il piacere non è prostituzione, allora non sarebbe prostituzione neanche dichiarare – e non mi permetto di ipotizzare in cambio di che cosa – e scrivere che Arafat è un autentico democratico e che gli assassini hanno ragione e che i neonati ebrei sgozzati nella culla non sono fratelli e che “a me del muro del pianto non me ne frega un cazzo” e che “Abramo ha rinunciato a uccidere Isacco per insegnarci che ebrei e musulmani sono fratelli” – giuro, sentita con le mie orecchie, detta al microfono dal palcoscenico di fronte a molte centinaia di persone.  P.S.: il nome non lo scrivo perché ha già una volta minacciato di denunciarmi per avere riferito le sue parole).

barbara

TARANEH, TRE ANNI FA

IRAN: LA STORIA DI TARANEH, “VIOLENTATA DAI BASIJI”
(AGI) – Roma, 15 lug. – Taraneh è una ragazza iraniana di 28 anni, arrestata dalle milizie basiji lo scorso 28 giugno. Da quel momento di lei non si ha più nessuna notizia. Taraneh potrebbe essere, secondo molti blogger, una nuova Neda, la ragazza uccisa dalle milizie basiji e diventata il simbolo della protesta. In un report inviato all’Agi, il giornalista iraniano Omid Habibinia racconta la terribile storia di Taraneh corredata da una sua fotografia, “perché il mondo deve sapere cosa sta accadendo in Iran”. La ragazza è stata “arrestata e probabilmente violentata dalle forze di sicurezza in borghese intorno alle 18 mentre stava partecipando il 28 giugno alla manifestazione di fronte alla moschea di Ghoba”, racconta il giornalista. “Mentre tutti gli altri detenuti furono portati dai basiji alla stazione di polizia di Nobonyad, gli agenti in borghese portarono Taraneh in un edificio nei pressi della moschea di Hosseini Ershad”. Taraneh, come mostra la foto inviata da Omid, è una bellissima ragazza, molto curata nel vestire, sempre truccata e attenta ai particolari. Così, in piazza, secondo alcuni testimoni, non è scesa in jeans e scarpe da ginnastica ma vestita di tutto punto, con tacchi molto alti. Un particolare che, racconta il giornalista, ha attirato le attenzioni dei poliziotti. E qui il racconto si fa atroce, inquietante, sconvolgente: “Quando la famiglia di Taraneh, che vive a Jeyhoun Street nella zona ovest di Teheran, andò a cercare la figlia alla stazione di polizia, gli ufficiali dissero loro che non avevano alcuna notizia… Due giorni dopo una persona telefonò a casa dei genitori dicendo che la figlia era stata ricoverata per qualche ora al Khomeini Hospital di Karaj per diverse lacerazioni nelle parti intime”.
A quel punto “i genitori disperati hanno cominciato a cercare la figlia e in ospedale hanno avuto la conferma che una ragazza corrispondente alla descrizione era stata trasportata da alcuni agenti basiji che erano tornati a prenderla dopo qualche ora”.
La preoccupazione che Taraneh sia morta cresce ogni giorno di più. Lei è una delle “centinaia di persone” scomparse in Iran. Un dato sconvolgente diffuso nei giorni scorsi dalla Federazione internazionale dei diritti umani. (qui)

Secondo le informazioni appena giuntemi dall’Iran è stato trovato il corpo carbonizzato di Taraneh Moussavi, scomparsa una settimana fa e data per dispersa. Secondo i testimoni oculari lei è stata arrestata dai passdara e trasferita nel carcere di Evin e successivamente sottoposta alle più feroci torture e violenze sessuali di gruppo.
Il corpo di Taraneh è stato trovato in una zona semi deserta, abbandonato e semicarbonizzato. La famiglia ha dichiarato che non intende fare funerali pubbliche. Probabilmente è stata minacciata come è successo con altre persone e altre famiglie.
Non è la prima volta che il regime dei mullah usa la violenza carnale contro le persone arrestate, di entrambi i sessi, per indurli a rilasciare delle interviste televisive contro i capi dell’opposizione. Il presidente della resistenza iraniana la signora Maryam Rajavi aveva lanciato un appello alle organizzazioni internazionali per mobilitarsi per salvare la vita di Taraneh. Le notizie che arrivavano dall’Iran erano assai preoccupanti.
Le nostre più sentite condoglianze alla famiglia di Taraneh e al presidente Maryam Rajavi.
Karimi Davood, presidente dell’associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia. (qui)

(Mi raccomando, non ditelo a Beppe Grillo: potrebbe rimanerci male. Anche se, più probabilmente, non ci crederebbe affatto.

barbara

LA FIAMMIFERAIA DI KABUL

La mia storia è la mia anima e la mia memoria. Ho accettato di scriverla per sfidare il mio destino. E per mettere alla prova il mio coraggio. Guardare la mia vita com’è. È un vero dolore raccontarla, faticoso essere sincera. Perché le parole rimangono lì, per sempre, come un patto stretto con me stessa. Un giorno forse i miei figli, o i figli dei miei figli, mi leggeranno. Cosa sarò diventata allora? O quando io mi rileggerò fra tanti anni? Sarò rimasta fedele alle mie convinzioni e ai miei sogni?
La mia vita a Kabul è una lotta quotidiana. Giudicate voi…

Essere donna a Kabul. Essere donna e per giunta povera a Kabul. Essere donna e per giunta povera e per giunta intelligente a Kabul. Essere donna e per giunta povera e per giunta intelligente e per giunta avere sogni, desideri, ambizioni e poca voglia di rassegnarsi a un destino che sembrerebbe già scritto. A Kabul. Qui potrete avere un’idea di che cosa tutto questo significhi.
Leggetelo, e poi… giudicate voi.

Diana Mohammadi, La fiammiferaia di Kabul, Piemme

barbara

RICORDANDO CRISTINA

L’atroce morte di Cristina Mazzotti    

Si può morire a 18 anni, solo per danaro.
Si può morire senza colpa, crudelmente.
Si può morire e finire gettata in una discarica, tra carrozzine rotte e sacchi della spazzatura, come ulteriore oltraggio.

E’ quello che accadde a Cristina Mazzotti, rapita la sera del 26 giugno 1975 davanti al cancello della villa dei genitori a Eupilio,in provincia di Como, e ritrovata morta il primo settembre dello stesso anno, dopo un atroce e insensata prigionia fatta di stenti e soprusi, di overdose di eccitanti mescolati a tranquillanti.
Cristina era figlia di Helios Mazzotti, agiato industriale del settore cereali.
La sera del 26 giugno stava rientrando con una coppia di amici da una festa organizzata per festeggiare la sua promozione.
La Mini condotta dal giovane Carlo stava percorrendo la strada che porta a Longone al Segrino, quando venne affiancata da una Giulia e da una 125. Costretto a fermarsi, vide davanti a sé un uomo mascherato con le armi spianate, che gli intimava di scendere.
Il malvivente chiese quale delle due ragazze fosse Cristina Mazzotti.
La ragazza, coraggiosamente si presentò.
Venne caricata sulla Giulia, mentre un altro bandito legava e imbavagliava i due giovani nell’auto.
La ragazza che era nell’auto, Emanuela, riuscì dopo oltre un’ora a liberarsi e a dare l’allarme e scattarono immediatamente i posti di blocco della polizia.
Ma ormai era troppo tardi.
In casa Mazzotti iniziò così lo snervante calvario dell’attesa dei rapitori.
Il padre di Cristina, Helios, già sofferente di cuore, si sentì male.
Fu il primo di uno di quegli attacchi di cuore che lo avrebbero portato di lì a poco alla tomba.
I rapitori si fecero vivi il giorno dopo chiedendo un riscatto record: 5 miliardi di lire.
Poi il silenzio. I genitori di Cristina si rivolsero con toni imploranti ai rapitori tramite i giornali, spiegando l’impossibilità di reperire una somma del genere, assolutamente fuori dalle loro possibilità economiche.
Finalmente il 15 luglio i rapitori si fecero vivi, e si dichiararono pronti alla liberazione della Mazzotti dietro pagamento di un riscatto di un miliardo di lire.
Ancora giorni di febbrile attesa, mentre l’opinione pubblica manifestava solidarietà ai Mazzotti, e mentre una diffusa campagna di stampa perorava la causa di un inasprimento delle pene verso coloro che si macchiavano del reato di sequestro di persona.
A fine luglio Helios Mazzotti, in gran segreto, si recò in un appartamento di Appiano Gentile, dove versò la somma di un miliardo e cinquanta milioni ai rapitori, ricevendo in cambio la loro assicurazione sull’immediato rilascio della ragazza.
Ma le cose erano destinate a evolversi in maniera drammatica.
Per giorni e giorni i genitori attesero la promessa liberazione, e il primo settembre avvenne la svolta.
Gianni De Simone, direttore del giornale l’Ordine, di Como, amico di famiglia dei Mazzotti, chiamò la famiglia e con tatto diede l’atroce notizia: era stata trovata Cristina, morta.
Il corpo era stato ritrovato in una discarica di Varallino, vicino Sesto Calende.
Allertati da una telefonata, i carabinieri si erano recati sul posto, e, seguendo le indicazioni che dicevano di scavare vicino una carrozzina rotta, avevano rinvenuto il corpo della ragazza.
O meglio, quello che rimaneva.
Sepolta sotto una bambola rotta, macabra ironia, giaceva la ragazza, in avanzato stato di decomposizione. Il volto era praticamente irriconoscibile, divorato da animali e sfigurato. L’autopsia rivelò che giaceva là da oltre quaranta giorni.
Emerse un particolare allucinante: non si poteva stabilire con esattezza se il corpo era stato sepolto quando la ragazza era morta. L’ipotesi agghiacciante che respirasse ancora non venne mai accantonata.
Uno della banda, Libero Ballinari, era stato già arrestato in Svizzera, mentre cercava di riciclare una parte del riscatto del sequestro. Un onesto direttore di filiale di una banca aveva denunciato il tentativo di “pulire” una novantina di milioni di lire, e aveva denunciato il tutto alla polizia svizzera.
Fu lui a dare le prime notizie sulla prigionia e sulla morte della sventurata ragazza.
Raccontò come Cristina, debilitata dalla lunga prigionia e costretta ad assumere dosi massicce prima di eccitanti, per poter parlare con i genitori e convincerli a pagare il riscatto, poi con tranquillanti per sedarne la volontà e impedirle di agitarsi, avesse alla fine avuto un malore.
I rapitori, spaventati, l’avevano così trasportata via, e la ragazza, durante il viaggio, era spirata.
Dichiarò di non sapere comunque le cause esatte della morte: adombrò il sospetto che fosse stata strangolata o uccisa con un colpo di pistola.
Fornì anche una piantina del luogo dove era stata seppellita la povera ragazza.
La polizia giunse a ricostruire il gruppo dei rapitori abbastanza velocemente.
Fra di loro c’era un gruppo eterogeneo di sbandati, gente attratta dal denaro facile, con agganci nel gruppo dell’anonima sequestri.
La banda degli assassini aveva un leader, più o meno riconosciuto: Giuliano Angelini, 39 anni.
Un passato burrascoso da squadrista e trafficante di armi, indagato per la strage di Piazza Fontana, pregiudicato con alle spalle condanne per emissione di assegni a vuoto e truffa.
Fu lui a scavare nel giardino della sua villetta la prigione della povera Cristina, un buco di due metri nella quale la ragazza visse come un topo i rimanenti giorni della sua vita.
Al suo fianco Loredana Petroncini, altro personaggio con un passato difficile.
Scappata di casa a 15 anni, sposò uno sbandato. Volgare e vistosa, venne descritta come un’amante della bella vita.
Altro componente della banda era Rosa Cristiano, ventisette anni, dura e crudele. Ex compagna di Angelini, lo accusò di aver premeditato la morte di Cristina, somministrandole dose letali di Valium.
Dichiarò inoltre che era stato lo stesso Angelini a ordinare la sepoltura del cadavere nella discarica.
Compagno della Cristiano, con la quale aveva aperto una gelateria, Luigi Gemmi, altro tipo poco raccomandabile.
Poi c’era Alberto Menzaghi, macellaio dalle mani bucate. Aveva una macelleria che lavorava, ma amava la bella vita.
Ultimo a cadere nella rete delle forze dell’ordine fu Antonino Giacobbe, personaggio di spicco dell’anonima sequestri calabrese.
Arrivò il giorno del primo processo, a Novara.
Dieci imputati, che fecero emergere un quadro allucinante della vicenda.
Cristina Mazzotti era stata tenuta prigioniera in una prigione scavata nella terra, e tirata fuori lo stretto indispensabile per sgranchirsi le gambe. Era stata trasferita poi a Galliate, nella casa della Cristiano. Qua era iniziato il tormento della somministrazione dei farmaci.
Ai rapitori serviva una Cristina sveglia, che potesse mandare messaggi drammatici alla famiglia.
Nel frattempo Helios, papà della povera Cristina, era morto a Buenos Aires, il 5 aprile del 1976, stroncato da un infarto. Il fratello di Helios, Eolo, sosterrà che era morto di dolore.
A maggio del 1977 l’accusa chiede per i rapitori 10 ergastoli, con l’approvazione incondizionata dell’opinione pubblica e della stampa, sconvolte dalle atroci rivelazioni emerse durante il processo.
L’otto maggio la sentenza: otto ergastoli e un’assoluzione, quella di Francesco Gaetani, parente di Antonino Giacobbe, scagionato grazie al provvidenziale alibi, che resse, del suo ricovero in una clinica.
Viceversa non andò bene al boss Antonino: ritenuto un mandante, si vide appioppare l’ergastolo.
Pene pesanti per il macellaio Menzaghi, per l’autista della banda, Milan, e per Sebastiano Spadaro, il telefonista: dai 23 a i 30 anni di carcere.
Una sentenza che fu accolta con soddisfazione da tutti.
La sentenza di secondo grado, viceversa, attenuò le pene, mentre quella definitiva ristabilì il tutto come deciso in primo grado.
Nel 1980 venne condannato all’ergastolo anche Libero Ballinari, colui che aveva materialmente seppellito la povera Cristina. Ebbe un processo a se stante, in quanto detenuto in un carcere di Lugano.
Durante i processi le varie personalità degli imputati vennero a galla impietosamente.
Gente gretta e meschina, affascinata unicamente dal denaro che speravano di ricavare dal sequestro.
Gente con alle spalle un passato fatto di violenza, di vite vissute ai margini della legge.
O anche gente senza valori morali di nessun genere.
Come la Cristiano, che aveva contattato un emporio per acquistare della soda caustica per far scomparire il corpo di Cristina; che nell’appartamento che aveva sopra la gelateria riceveva un po’ troppe visite, guadagnando evidentemente in maniera comoda i soldi che le servivano per truccarsi e vestirsi bene, le sue passioni.
Come Angelini, che racconterà di essere stato prima condannato a morte dall’anonima calabrese e poi graziato.
Come Menzaghi, il macellaio amante dei soldi, che probabilmente ebbe un ruolo anche nel sequestro di Tullio De Micheli, 60 anni, scomparso nel nulla dopo il sequestro.
Come Achille Gaetani, che tenterà di scaricare proprio sul Menzaghi le responsabilità del sequestro, dichiarando di non averlo ideato ma di avervi partecipato marginalmente.
Una storia squallida e vergognosa, conclusasi con la morte, inutile della ragazza.
Cristina era bella, con un sorriso radioso e lunghi capelli neri.

Aveva una vita da vivere, interrotta da una banda di sciagurati assassini in cerca di denaro facile.
Una storia triste con un epilogo triste.
Un’appendice alla storia, risalente al 1990.
La Petroncini e Angelini si sposarono in carcere.
Ottennero un permesso di dieci giorni, del quale approfittarono per dileguarsi.
La cosa destò un’ondata di accuse sulla direzione penitenziaria: si scoprì che i due assassini avevano usufruito di licenze premio per ben 21 giorni.
Riacciuffati, furono rimessi in carcere.

Paolo Benetollo, PAGINE 70

Cristina Mazzotti, già. Anche a lei ho pensato tre anni dopo quando, nel corso del sequestro Moro, Paolo VI ha “supplicato in ginocchio” le Brigate Rosse di liberarlo. E sforzandomi di non vomitare ho chiesto: e chi ha supplicato in ginocchio per Ermanno Lavorini? Chi ha supplicato in ginocchio per Milena Sutter? Chi ha supplicato in ginocchio per Cristina Mazzotti? Tre ragazzi innocenti valgono meno di un politico infame e corrotto? Per un papa sì, evidentemente. Soprattutto se si tratta di quel papa che è riuscito a fare un viaggio in Israele senza incontrare un solo politico israeliano. Che è riuscito poi a parlare del suo viaggio in “Terrasanta” senza mai pronunciare la parola “Israele”. E che ha messo in gioco tutta la sua autorità politica e morale (“morale”, vabbè…) presso il capo di uno stato che non riconosceva per far liberare un pericoloso terrorista, fornendo garanzie che non ha mai rispettato. Io spero che nell’inferno in cui sicuramente si trova, venga punito anche per tutte queste infamie.

barbara

UN MINUTO DI SILENZIO

Quello che è stato chiesto al Comitato Olimpico per ricordare, nel quarantesimo anniversario, la strage degli atleti israeliani alle olimpiadi di Monaco, e il comitato ha detto no. È stata allora organizzata una raccolta di firme per presentare una petizione. Io ho firmato – e fatto firmare gli amici della mia mailing list – e oggi mi è arrivata una risposta:

Hey Barbara,
We are almost at our goal of attaining 80,011 by the end of June! Please send the petition link out again to all your colleagues to help us surpass our goal.

Come sempre, quando c’è da impegnarsi per una buona causa, io rispondo: obbedisco! Vi propongo quindi innanzitutto il testo della petizione:

Tell the International Olympic Committee: 40 Years is Enough!

At the 1972 Munich Olympic Games, eleven members of the Israeli team were murdered. For forty years their families have asked the International Olympic Committee to observe a minute of silence, in their memory. Please help us by signing our petition.
I am the wife of Andrei Spitzer. My husband was killed at those Olympic Games in 1972.
I am asking for one minute of silence for the memory of the eleven Israeli athletes, coaches and referees murdered at the 1972 summer Olympics in Munich. Just one minute — at the 2012 London Summer Olympics and at every Olympic Game, to promote peace.
These men were sons; fathers; uncles; brothers; friends; teammates; athletes. They came to Munich in 1972 to play as athletes in the Olympics; they came in peace and went home in coffins, killed in the Olympic Village and during hostage negotiations.
The families of the Munich 11 have worked for four decades to obtain recognition of the Munich massacre from the International Olympic Committee. We have requested a minute of silence during the opening ceremonies of the Olympics starting with the ’76 Montreal Games. Repeatedly, these requests have been turned down. The 11 murdered athletes were members of the Olympic family; we feel they should be remembered within the framework of the Olympic Games.
We are asking again to be heard in time for the 2012 London Summer Olympics. In 2010 JCC Rockland, New York contacted me and offered their help and made it their mission for their 2012 JCC Maccabi Games to honor the Munich 11 through multiple events as well as spearheading this petition.
Silence is a fitting tribute for athletes who lost their lives on the Olympic stage. Silence contains no statements, assumptions or beliefs and requires no understanding of language to interpret.
I have no political or religious agenda. Just the hope that my husband and the other men who went to the Olympics in peace, friendship and sportsmanship are given what they deserve. One minute of silence will clearly say to the world that what happened in 1972 can never happen again. Please do not let history repeat itself.
For my husband Andrei and the others killed, we must remember the doctrine of the Olympic Spirit, “to build a peaceful and better world which requires mutual understanding with a spirit of friendship, solidarity and fair play,”  is more powerful than politics.

40 years is long enough to wait.

Go to www.munich11.org to learn more about how the JCC Rockland, in New York took up our fight to remedy injustice with the support & gratitude of the families of the Munich 11 and to learn the history of a day we should never forget.

Thank you,  Ankie Spitzer and JCC Rockland.

E poi il link al quale chi ancora non l’avesse fatto può andare a firmare:

http://www.change.org/oneminute?utm_source=supporter_message&utm_medium=email

Anche se, devo dire, qualunque cosa decida il comitato Olimpico, non so se avranno il coraggio di farlo in questa Inghilterra qui:

barbara

E SE I MARTIRI SCARSEGGIANO

Niente paura: ci si ammazza in casa una bambina di due anni con uno di quei razzetti artigianali (oltre 130 in tre giorni: immaginate voi con quali immani sacrifici, poveri cari, con tutta la miseria che hanno in casa che sono tutti lì che muoiono di fame) che non fanno male a nessuno, come leggiamo su tutti i giornali un giorno sì e l’altro pure, si tenta di far ricadere la colpa su Israele; poi viene inconfutabilmente dimostrato che sono stati loro ma non importa, si seppellisce lo stesso come una martire.


Perché noi eroi di Palestina sull’infanzia – nostra e altrui – ci caghiamo, o yes.
(E le stelle stanno a guardare, o yes)

barbara

LA PIPÌ, ISTRUZIONI PER L’USO

Il mio presidente di commissione è caruccio. Giovane e caruccio. Con la boccuccia a bocciolo di rosa e la voce bassa e soave. Con un principio di pancetta strizzata in un paio di pantaloni a vita bassa di cinque sei chili fa e la giacchetta di suo fratello più piccolo. Su alcune cose si è dimostrato piuttosto elastico, su altre invece parecchio rigido, come sulla questione dei gabinetti. Ora capisco che per l’esame di matematica è di fondamentale importanza evitare che gli scolari si incontrino, e anche per quello di inglese, che consiste in esercizi di grammatica, ma per italiano e tedesco, dove devono scrivere temi? Vabbè, niente, gli scolari non si devono incontrare. E così ha preparato la tabella dei gabinetti: le sezioni A e B vanno in quello del corridoio della sezione E; la C e la D in quello del corridoio delle aule di musica. Ecc. In quello del corridoio della sezione E la sezione A potrà andare dalle 9.30 alle 10.00, dalle 10.30 alle 11.00 e dalle 11.30 alle 12.00; la sezione B potrà andare dalle 10.00 alle 10.30, dalle 11.00 alle 11.30 e dalle 12.00 alle 12.30. Tranne che in caso di urgenza. Così quando si è allontanato ho detto scusate, mi dispiace disturbarvi ma devo farvi una comunicazione importante. I vostri orari di uscita sono il tale e il talaltro. Al di fuori di questi orari sono autorizzata a lasciarvi uscire solo in caso di urgenza, quindi se qualcuno mi chiederà di uscire fuori orario gli chiederò se è urgente: se mi risponderà di sì lo lascerò uscire, altrimenti no.
E così ad ogni uscita ci siamo regalati la nostra bella sceneggiatina, e ci siamo divertiti anche all’esame.

(Questo invece è molto meno divertente)

barbara