Il silenzio dei pacifisti

Non stupisce neanche un po’ l’atteggiamento dei “pacifisti” su ciò che sta accadendo in Siria. Non si è visto partire nessun aereo per Damasco e nessuna Flottiglia per aiutare i rivoltosi che combattono contro il dittatore sanguinario di Damasco; nessun noto vignettista ha trovato giusto dedicare un fiore ai bambini vittime del massacro di Hula e le associazioni umanitarie, sempre pronte a criticare Israele, hanno aspettato mesi per esprimere le loro timide condanne. Per non parlare della comunità Internazionale che ancora non riesce a trovare un accordo per fermare la carneficina del governo di Bashar al Assad. Una vergogna che non sorprende e che ci ricorda come per certi “pacifisti” i morti non siano mai tutti uguali.
Daniel Funaro, studente (Moked)

No, neanche io sono sorpresa, in effetti: anche i pacifisti, come l’Onu, hanno cose più importanti da fare che denunciare i massacri veri, soprattutto da quando siamo diventati piuttosto bravini a smascherare tutte le loro bufale, costringendoli a inventarne sempre di nuove. E c’è davvero da dire che in questo campo abbiamo visto cose che voi umani neanche vi immaginate. Abbiamo visto, per esempio, le foto di curdi bestialmente seviziati nelle carceri iraniane, scattate e fatte uscire, a rischio della vita, da coraggiosi dissidenti e pubblicate nel sito delle donne iraniane in Italia, e scippate poi dai pallestinari per spacciarle per immagini di palestinesi selvaggiamente torturati nelle carceri israeliane. Abbiamo visto l’ebreo americano linciato quasi a morte da una banda di palestinesi fatto passare per palestinese bastonato dal cattivissimo poliziotto israeliano. Abbiamo visto un povero neonato libanese “appena estratto dalle macerie” brandito dieci volte dallo stesso “soccorritore” in dieci posti diversi, in dieci orari diversi, davanti a dieci fotografi diversi, sempre con quel patetico e commovente ciuccio appeso al collo – incredibilmente senza un solo granello di polvere – per non parlare delle migliaia di foto tarocche sulle operazioni in Libano che la Reuters è stata costretta a ritirare, dal fumo degli incendi moltiplicato alla donna con la cicatrice sulla guancia che leva le braccia al cielo disperata per la distruzione della propria casa — davanti a quattro case diverse, ma che i nostri bravi pallestinari continuano infaticabilmente a riciclare. E abbiamo visto la bambina di Gaza affetta da rarissima e devastante malattia della pelle che i genitori hanno accettato di far riprendere e mettere in rete nella speranza che la vedesse qualcuno in grado di diagnosticare e curare la sua malattia, oscenamente sfruttata per presentarla come vittima del famigerato fosforo bianco, perché per le anime nere del filopallestinismo il rispetto umano – e più ancora quello per l’infanzia, è più sconosciuto del terzo mistero di Fatima. E infatti c’è anche la bambina ferita in un incidente domestico diventata vittima, anche lei, dei suddetti perfidissimi. E il sangue di una vacca al mattatoio trasformato in sangue del fratello – assassinato dagli sporchi giud sionisti, beninteso. E da sei anni stiamo assistendo alla colossale bufala dei corpi anneriti dal solito famigerato fosforo bianco, bufala demolita sei anni fa in un laboratorio tedesco, documentata in un documentario trasmesso dalla ARD. Io l’ho visto, e ho visto anche il video messo a suo tempo in youtube, ma poi, chissà come mai, lo hanno fatto sparire (il nero, per chi fosse interessato a saperlo, era fuliggine). E ciononostante da sei anni stanno continuando a farle girare, anche se il falso è stradocumentato, perché chi mai sta a badare a insignificanti sciocchezze quali fatti e prove e documentazioni? E l’immagine dell’“abitante di Gaza a terra trascinato da un soldato israeliano a cavallo”. E si tratta, sì, effettivamente di Gaza. E il soldato è effettivamente israeliano. E l’uomo a terra è effettivamente  un abitante di Gaza. Solo che, ecco, non è un palestinese, bensì uno degli ottomila ebrei fatti deportare da Sharon nella ridicola illusione di averne in cambio la pace, e ricevendone invece un esponenziale aumento di guerra e terrorismo e morte e distruzione. E il povero palestinese fermato e perquisito e infine ucciso a sangue freddo senza una sola ragione al mondo. Quella volta ci abbiamo messo mesi prima di riuscire a scovare la sequenza completa, dalla quale era stata opportunamente eliminata l’immagine fondamentale: quella in cui gli viene trovata addosso la cintura esplosiva, allontanata poi dal robot, costringendo i soldati a sparargli prima che avesse il tempo di farla detonare (risposta). E i pacifisti uccisi con pallottole alla schiena sparate dagli israeliani che gli stavano di fronte mentre dietro ci stavano i palestinesi. Eccetera eccetera. Ma il lavoro più duro, per i poveri pacifisti, arriva quando non c’è nessun fatto, nessun elemento da poter manomettere per sfruttarlo in chiave antiisraeliana. E allora tocca inventare di sana pianta: trovare immagini orripilanti di altri fatti, di altri luoghi, di altri tempi, per esempio, e ritagliarle accuratamente fino a non lasciare intorno ad esse un solo millimetro atto a far identificare il luogo, il tempo, gli autori, e presentate immancabilmente come “prove” delle efferatezze israliane: teste mozzate di bambini posate a terra, corpi orrendamente carbonizzati, corpi squarciati come solo il più efferato sadismo può fare… Che con solo mezza briciola di buon senso e di onestà uno potrebbe chiedersi: ma se queste foto sono state scattate per documentare la disumana ferocia sionista, non sarebbe stato meglio allargare il campo, cambiare inquadratura, in modo che risultasse inequivocabilmente chi sono le vittime, chi sono i carnefici, qual è il luogo dell’azione? Se ci fosse mezza briciola di onestà, appunto. E alle immagini vanno poi aggiunte le storie amene, come quella del francescano ucciso nella basilica della Natività, costringendo il giorno dopo il povero frate a telefonare a mezzo mondo per rassicurare parenti e amici e superiori. O del ragazzino palestinese sparito da casa e dato immdiatamente per assassinato dai sionisti, e tornato poi a casa, dopo la scappatella, vivo e vispo come un grillo – absit iniuria verbis. E naturalmente non può mancare, in questa sia pur limitatissima carrellata di bufale, quella che con linguaggio d’altri tempi e d’altri luoghi potremmo chiamare la madre di tutte le bufale: l’emergenza umanitaria a Gaza.
No, decisamente i poveri pacifisti, oberati da tanto lavoro, non possono trovare il tempo per occuparsi di ciò che accade in Siria. O in Iran.

barbara