LA GERMANIA SAPEVA

E loro che cosa avevano sentito esattamente?
Che gassavano gli ebrei, e anche gli stranieri. Davvero, si sapeva che li gassavano.

Veniva usato proprio questo termine?
Gassare. Sì.

Quando veniste a sapere dai sacerdoti che li gassavano, eravate in casa vostra?
Sì, in casa nostra. Ho già detto che era un punto di ritrovo di cui i nazisti erano al corrente. Sapevano che mio padre continuava a incontrarsi con gruppi di oppositori.

Lo sentì dire personalmente da quei sacerdoti?
Sì. In casa nostra si parlava solo di politica, a pranzo o durante la giornata. Non ricordo che si conversasse di altri argomenti. Crebbi in quel clima. I sacerdoti sapevano che da noi non sarebbero mai stati considerati dei traditori per quello che riferivano.

Ma loro da dove ricavavano le informazioni. Ve lo dicevano?
No, non ce lo dicevano. Le notizie sulle atrocità venivano fuori nel corso della conversazione.

Ne sentì parlare anche durante la guerra, diciamo nel 1942 o nel 1943?
Sì, e con parecchi particolari. Ma quando la cosa iniziò, dopo la Notte dei cristalli, tutti sapevano che sarebbe successo qualcosa di orribile. Forse dire «tutti» è eccessivo, ma certo lo sapevano tutti coloro che noi frequentavamo abitualmente.
La notizia arrivò anche all’università. Frequentavo le lezioni di anatomia del professor August Hirt, che in seguito si trasferì a Strasburgo. Era un uomo repellente. Ci raccontò che andava nei campi di concentramento a prendere i crani degli ebrei per misurarli. Misurare crani era il suo hobby. Quando ne trovava uno che gli interessava, l’ebreo veniva ucciso.

E lo diceva apertamente durante le lezioni?
Lo diceva apertamente durante le lezioni. E tra gli studenti c’erano quelli che lo applaudivano. Pensavano che fosse una cosa eccezionale.

Quando ve ne parlò?
Be’, dunque, io iniziai l’università nel 1940, quindi doveva essere negli anni tra il 1940 e il 1942. Hirt aveva bisogno dei crani e misurarli era il suo hobby. Quindi andava nei campi di concentramento a cercarli, anche tra i vivi. Non diceva che ammazzavano le persone, ma era ovvio che fosse così, in quanto solo i crani dei morti si possono misurare con precisione.

Gli studenti ne parlavano?
Le ragazze poco. Waltrud e io, però, ne parlavamo sia tra noi sia con i nostri amici e con le persone che condividevano le nostre idee politiche.

Ma lei ci credeva?
Sì.
(Testimonianza di Hiltrud Kühnel, pp. 204-205)

Quando lavorava a Saarbrücken nel 1942-1943, aveva idea di che cosa sarebbe successo agli ebrei?
Devo raccontarle un fatto. Durante la guerra i miei genitori furono sfollati a Hameln e io, in un modo o nell’altro, venni a saperlo. Dato che avevo la moto, decisi di andare a trovarli e portai anche una persona con me. Al ritorno passammo per la Turingia e ci fermammo in una città, non ricordo quale, non ci feci caso. Uno strano odore aleggiava nell’aria. «Che cos’è quest’odore?» chiedemmo. «Laggiù c’è un campo di concentramento, bruciano i cadaveri e fanno il sapone con gli ebrei» ci fu risposto.
Nei campi c’erano gli ebrei, ma non solo. C’erano pure i comunisti. Anche nella nostra città sparirono delle persone, alcune delle quali erano malate. Era tutto organizzato dal partito. Era il partito che le faceva sparire.

Intende riferirsi agli handicappati?
Sì, come pure agli epilettici e così via. Quel genere di malati. Sparirono tutti. Era risaputo. Oggi nessuno vuole ammetterlo, ma si sapeva.

Che cosa si sapeva?
Che li mandavano nei campi di concentramento.

Gli ebrei, gli handicappati o entrambi?
Tutti quanti. Gli ebrei venivano arrestati esattamente come gli altri. Sparivano. Vivevo in un centro in cui tutti si conoscevano. C’erano due famiglie di ebrei. All’improvviso scomparvero. Erano svanite nel nulla? Giocavo in una squadra di calcio di cui faceva parte un ebreo. Di mestiere faceva il panettiere. Si era trasferito da una cittadina che si trovava non lontano dalla nostra. Fu denunciato e poi arrestato perché era ebreo. E dove lo mandarono? La gente sapeva anche quello.

Tutti sapevano ma in seguito negarono e dichiararono che non ne sapevano nulla. Si parlava del fatto che gli ebrei venivano sterminati?
Lo si sapeva.

Lo si sentiva dire o lo si vedeva?
Diciamo che non si trattava solo degli ebrei. Anche altri venivano arrestati.

Va bene, ma gli ebrei non venivano solo arrestati, venivano sterminati.
Da noi ci fu un solo caso: un baldo giovane che era stato arruolato nelle Ss e assegnato a un campo di concentramento. Ma non ce la fece e venne fucilato, benché appartenesse alle Ss. E anche questo era risaputo nella nostra città.

Ma si parlava di dove andavano a finire gli ebrei? Molti dicono che nessuno ne parlava.
Mentono.

Lei ha detto che tutti sapevano.
Sì, tutti.

Ma come? Quindi se ne parlava?
Sì, certo. La gente veniva arrestata e mandata nei campi di concentramento. Gli handicappati, i malati…

Ha detto che si sapeva che gli ebrei, cioè le loro ossa, venivano utilizzati per fare il sapone?
Lo si sentiva dire dai soldati che li gassavano.

Dicevano che li gassavano? Dicevano anche questo?
Gassati. Li uccidevano e utilizzavano le ossa per fare il sapone, come se quella gente non valesse niente di più.
(Testimonianza di Ernst Walters, pp. 224-225)

Sebbene questi sopravvissuti siano diversi per età e sesso e siano stati deportati da località diverse e in tempi diversi in ghetti e campi di concentramento diversi, una cosa che quasi tutti hanno in comune è il fatto che la loro deportazione è avvenuta alla luce del sole. […]
Ma che cosa vuol dire esattamente «alla luce del sole»? In questo contesto significa che la loro deportazione è stata effettuata in modo che altre persone potessero assistervi e che la notizia di quanto stava accadendo si è diffusa attraverso il passaparola nel circondario. […]
Lungi dall’essere avvolte nel silenzio, le deportazioni di solito avevano luogo in pieno giorno e sotto gli occhi di un buon numero di comuni cittadini, dal momento che gli ebrei venivano trasferiti a bordo di camion scoperti o erano costretti ad attraversare a piedi le strade principali della città per raggiungere le stazioni ferroviarie dove venivano radunati e spediti alla loro destinazione finale.
(p. 319)

Forse qualcuno di quei tedeschi, di quelle decine di milioni di tedeschi che dopo la guerra hanno accoratamente giurato di non avere mai sospettato l’orribile fine dei propri concittadini ebrei, forse qualcuno dice la verità. Qualcuno. Forse. (E neanche in Italia, del resto, qualcuno poteva far finta di credere che dopo questo gli ebrei fossero destinati a vivere)

Eric A. Johnson – Karl-Heinz Reuband, La Germania sapeva, Mondadori

barbara