Trasse fuori dal cassetto una scheda e la inserì nella macchina da scrivere.
“Nome e cognome.”
Della Pergola glie li disse, ma vide la mano del Responsabile bloccarsi sopra i tasti.
L’uomo sollevò lentamente lo sguardo su di lui e arricciò il naso per manifestare tutta la sua perplessità.
“Razza?”
Della Pergola scosse il capo senza parlare.
Il Responsabile sospirò. Era sconcertato. Un contegno responsabile da parte di quell’ebreo, avrebbe evitato a entrambi l’imbarazzo di una scena penosa.
“Questa è una scuola ariana,” disse con sussiego, “non accettiamo studenti di razza ebraica.”
Estrasse di tasca le cinque banconote e le dispose di nuovo sul tavolo, una accanto all’altra.
Della Pergola non le toccò.
“Voglio solo imparare un po’ di inglese. Non vi creerò alcun problema.”
Il Responsabile intrecciò le mani e socchiuse gli occhi, sospirando.
“Vi prego di non insistere. Abbiamo delle disposizioni ministeriali.”
Già: le disposizioni. Le norme. Le regole. La legge. Niente di personale, per carità, ma se sei di razza ebraica non puoi pretendere di essere trattato come una persona normale. Anzi, se avessi un maggiore senso di responsabilità, eviteresti di creare situazioni così penose e imbarazzanti.
Gli italiani e le leggi razziali, questo il tema dei dodici bellissimi racconti di Mario Pacifici (che i miei lettori più fedeli conoscono bene per averne già letti, in questo blog, uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto): gli italiani di fronte ai propri connazionali colpiti dalle leggi razziali, estromessi dalla scuola, dall’esercito, dai ministeri; estromessi, a poco a poco, da tutta la vita sociale ed economica e, alla fine, dalla vita tout court. E, ad onta della consolidata fama di “italiani brava gente”, il comportamento della maggior parte di loro non è stato propriamente esemplare. Più per pigrizia e indifferenza, che per vera e propria ostilità, nella maggior parte dei casi, o per comodità: se si libera una cattedra, o un primariato, perché non approfittarne? Non le ho mica fatte io queste leggi, no? E se vogliamo costruire l’Impero varrà pur la pena di fare qualche piccolo sacrificio. E poi, cosa saranno mai queste leggi, queste limitazioni per gli ebrei? Una cosetta da niente, appunto, come non troppo tempo fa ha saggiamente spiegato, quasi con le stesse parole, il nostro amato Sovrano, il pretendente al Trono d’Italia, Sua Maestà Vittorio Emanuele IV, ora felicemente rientrato nel Patrio Suolo.
Dodici racconti bellissimi: l’ho già detto, ma lo voglio ripetere. E credo proprio che li dovreste leggere.
Mario Pacifici, UNA COSA DA NIENTE e altri racconti, Edizioni Opposto
barbara