QUESTIONE DI COSCIENZA

Sì, questo è stato il motivo per cui il generale Abdulaziz Al Shalal, capo della Polizia militare siriana ha deciso di disertare: «Non posso più restare con i criminali che massacrano il nostro popolo». E io, all’autore di questa nobile scelta vorrei chiedere: signor generale, in quale cassaforte blindata è rimasta chiusa la sua coscienza negli ultimi ventuno mesi? In quale forziere era asserragliata la sua coscienza mentre quasi cinquantamila membri del suo popolo – almeno la metà civili innocenti – venivano massacrati? In quale bunker a prova di bomba atomica è rimasta riparata la sua coscienza mentre bambini di pochi anni venivano seviziati, stuprati e smembrati vivi? Le sono occorsi ventuno mesi per accorgersi che coloro che lei fedelmente serviva erano responsabili di atti non propriamente commendevoli? Le sono occorsi ventuno mesi per accorgersi che gli ordini che lei dava – lei è un generale, signor Abdulaziz Al Shalal, non un graduato di truppa – non andavano esattamente in direzione della difesa della popolazione? O non le saranno occorsi invece ventuno mesi – e la defezione di un gran numero di alti ufficiali e di importanti politici, oltre che di gran parte delle truppe – per raggiungere l’assoluta certezza che Assad è destinato a perdere? E non avrà aspettato ventuno mesi per poter godere il più a lungo possibile di tutti i benefici che il suo status le conferiva, prima di buttarsi giù dalla nave in fiamme?
La sa una cosa, signor generale Abdulaziz Al Shalal? Lei fa ancora più schifo di quelli che stanno continuando a massacrare il popolo siriano.
Abdulaziz Al Shalal
barbara

CARO MARCO PANNELLA

Qualche anno fa, in occasione di alcune tue iniziative che non mi erano risultate del tutto gradite, ti avevo scritto questo.
Adesso leggo che sei pronto a riprendere lo sciopero della fame e della sete, appena sospeso, (leggo, per inciso, che lo sciopero della sete è durato dal 10 al 26 dicembre, e non posso fare a meno di restare stupita e ammirata di fronte a questa tua straordinaria performance, nella quale sei riuscito addirittura a triplicare il limite massimo di sopravvivenza umana senza acqua) «se lo Stato non esce dalla flagranza criminale peggiore, credetemi, dello stato fascista, nazista e totalitario comunista» e questa volta devo dire che sono totalmente d’accordo con te: in confronto al rifiuto di concedere un’amnistia ai detenuti nelle carceri italiane, gulag siberiani e camere a gas sono un’inezia, una quisquilia, oserei dire una barzelletta. Una simile “flagranza criminale” merita davvero tutto il tuo impegno e la tua scelta di usare lo strumento dello sciopero della fame. Ma uno proprio serio, stavolta. Alla Bobby Sands, per intenderci.
funerals of Bobby Sands
barbara

IL PRIGIONIERO DEL CIELO

No, sai qual è il problema? Che i libri di quest’uomo non li puoi posare: non per mangiare, non per dormire, non per andare a fare quattro passi. Niente, quando attacchi la prima riga devi andare dritto fino all’ultima, facendoti accompagnare per mano attraverso le vie di Barcellona, e le sue case e i suoi palazzi e le sue bettole e i suoi bordelli. E le sue prigioni. Le prigioni, soprattutto. E i loro segreti che dovrebbero restare sepolti per sempre ma ogni tanto succede che no, che qualcuno riesce a sfuggire all’inferno e a far rivivere ciò che sembrava morto.
Come va a finire? Non lo so, perché

«Ti amo» dice, e la bacia, sapendo che la storia, la sua storia, non è finita.
È appena iniziata.

Appena riesco a mettere le mani sul prossimo – adesso che sono in pensione non avrò problemi a leggerlo tutto di fila – te lo saprò dire.

(Anche se, lasciatemelo dire, attribuire a uno nato nel 1937 un trisnonno ragazzo nel 1888, è roba da mandarlo in castigo dietro la lavagna coi ceci sotto le ginocchia per almeno 12 giorni di fila)

Carlos Ruiz Zafón, Il prigioniero del cielo, Mondadori
prigioniero cielo
barbara

ABU MAZEN, ALIAS

Il moderato

Secondo il Devoto-Oli, l’aggettivo ‘moderato’, riferito a una persona, indica un soggetto “che si controlla prudentemente riguardo al proprio comportamento o alle proprie posizioni”, “ispirato a criteri di saggezza e opportunità”. Con specifico riferimento alla politica, il termine va a qualificare chi appaia “contrassegnato da un atteggiamento di centro, programmaticamente alieno da ogni estremismo e spesso da ogni novità”.
La lingua, si sa, cambia, e sovente le parole vedono consistentemente trasformare il proprio significato. Ci è già capitato di formulare qualche osservazione, in passato, riguardo all’evoluzione (involuzione) semantica della parola ‘pacifista’, che, se un tempo richiamava profumo di fiori, immagini di sorrisi e suoni melodiosi, fa oggi venire alla mente mascelle serrate, bandiere bruciate e bottiglie molotov. E la stessa sorte, evidentemente, è toccata al termine ‘moderato’, se il principale personaggio pubblico a cui essa è sempre, sistematicamente, apoditticamente riferita è il Presidente dell’ANP Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen: il doppio nome dà un’aria di avventura, pensiamo a Superman-Clark Kent, Batman-Bruce Wayne, Tex Willer-Aquila della Notte ecc.).
Abu Mazen (alias Mahmoud Abbas) è moderato, lo è sempre stato, lo è sul piano antropologico, ontologico, chi lo smentisce dice un’assurdità, nega che la terra gira intorno al sole. Questo dicono tutti: giornali, politici, commentatori di ogni colore. Mahmoud alias Abu è il rappresentante moderato dei Palestinesi, contrapposto agli estremisti di Hamas, e chi lo contrasta o lo indebolisce lavora oggettivamente a favore della violenza e del terrorismo. Chi, invece, ami la pace e il dialogo, deve fare solo una cosa, ossia sostenere il moderato Abu alias Mahmoud, dargli sempre ragione, accontentarlo su ogni punto, applaudirlo, rafforzarlo, incoraggiarlo.
Inutile stare a ricordare che questo signore discusse la sua tesi di laurea, presso l’Università di Mosca, sul tema (moderato?) del ruolo svolto dalle organizzazioni sionistiche nella realizzazione della Shoah; che rifornisce di lauti vitalizi le famiglie degli autori dei più sanguinosi attacchi terroristici, responsabili anche di decine e decine di vittime; che promuove, nella sua terra, una propaganda antiebraica ispirata ai più puri e classici stereotipi antisemiti; che non pronuncia mai la parola Israele, in nessun contesto, neanche a proposito delle condizioni atmosferiche, senza accompagnarla dalle più virulente e velenose forme di criminalizzazione (genocidio, mostruosità, apartheid, razzismo ecc. ecc.: ma come si potrà fare mai la pace con dei mostri simili?).
Inutile ricordarlo, perché, dicendolo, non si verrebbe neanche contraddetti. Semplicemente, nessuno starebbe e sentire, nessuno ne avrebbe voglia. Se si nega la qualifica di ‘moderato’ a Mahmoud alias ecc., crollano tutte le categorie su cui si basa ogni possibile interpretazione del conflitto mediorientale, tutte le possibili e ipotetiche soluzioni, legate, ovviamente, alla vittoria dei moderati, e quindi di Abu alias, il moderato per antonomasia, la quintessenza stessa della moderazione, la tangibile incarnazione di tale concetto.
In una prossima edizione del Devoto-Oli, suggeriamo di levare la pur eccellente definizione della parola, sostituendola con la faccia di Alias: cosa, meglio di quel volto, sintetizza l’idea di un individuo “che si controlla prudentemente riguardo al proprio comportamento o alle proprie posizioni”, “ispirato a criteri di saggezza e opportunità”, “contrassegnato da un atteggiamento di centro, programmaticamente alieno da ogni estremismo”?
Possiamo sperare, forse, che il personaggio, in futuro, cambi un po’ atteggiamento? Molto difficile, per due ragioni. La prima è che, se il Nostro diventasse, un giorno, ‘veramente’ moderato (per intenderci, alla ‘Devoto-Oli’), perderebbe immediatamente il suo carisma e la sua popolarità, come Sansone perse la forza quando gli tagliarono i capelli. La seconda ci viene illustrata dallo stesso dizionario, secondo cui il ‘moderato’ è “programmaticamente alieno” non solo “da ogni estremismo”, ma anche “da ogni novità”.
Francesco Lucrezi, storico

Per un ulteriore approfondimento sul personaggio, invito a rileggere questi miei vecchi post:

1 http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/2006/01/11/chi_e_abu_mazen_1.html
2 http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/2006/01/13/chi_e_abu_mazen_2.html
3 http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/2006/01/18/chi_e_abu_mazen_3.html
4 http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/2006/01/22/chi_e_abu_mazen_4.html
5 http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/2006/01/26/chi_e_abu_mazen_5.html
6 http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/2006/01/27/chi_e_abu_mazen_6.html

barbara

QUESTO È IL MOTIVO

I plurimi matrimoni di Esaù con donne cananee costituivano un abominio non solo per sua madre, ma anche e soprattutto per suo padre, che i culti idolatri delle sue nuore facevano soffrire persino più di quanto non soffrisse Rebecca: è nella natura dell’uomo, infatti, opporre minor resistenza della donna di fronte alle avversità. Un oggetto fatto d’osso non teme l’urto che manderebbe invece in frantumi un vaso d’argilla: così l’uomo, creato dalla terra, è più vulnerabile della donna, che da un osso è stata formata. (da “Le leggende degli ebrei” di Louis Ginzberg, volume II, p. 138).

Ecco, ora finalmente abbiamo la spiegazione di questo curioso fenomeno che fin dalla notte dei tempi avevamo avuto modo di notare.

barbara