Caro signor Barack Hussein Obama,
ho sentito che si è ricoperto d’onore, l’altro ieri, a Gerusalemme, e desidero congratularmi con Lei. Ho visto alcuni spezzoni del suo discorso agli studenti, e ne ho letto le trascrizioni. Ho apprezzato, soprattutto, la sua capacità di imparare dai propri errori e non commettere gli stessi per due volte. Così, ho visto, ha imparato che il modo in cui ci si rivolge a un capo di governo è importante, e che trattarlo con ostilità, farlo aspettare, lasciarlo fuori della porta, snobbarlo in tutti i modi possibili, guardarlo con un muso lungo un chilometro
è controproducente; così questa volta si è presentato sorridente, amichevole, ha perfino spiegato, scherzando argutamente, che era amico anche prima, ed era solo per offrire materiale a un programma satirico che fingeva di non esserlo. Ha imparato, anche, che non è carino chiedere a Netanyahu di dare anche il c*** ai propri nemici, e dunque questa volta non glielo ha chiesto: si è limitato a chiedere agli studenti di provvedere loro a convincere Netanyahu a dare anche il c*** ai propri nemici. E poi ha studiato la storia, mi si dice. Certo, uno studio un po’ frettoloso può lasciare qualche lacuna, dare luogo a qualche confusione… Così per esempio le è accaduto di paragonare Israele agli Stati Uniti in quanto costituiti da immigrati. Ecco, lasci che le spieghi, signor Obama: non è esattamente così che stanno le cose. Perché in America, prima del 1492, non c’erano mai stati inglesi, né spagnoli, né portoghesi, né olandesi, né italiani, mentre di ebrei in Terra d’Israele ce ne sono sempre stati, fin dai tempi della Bibbia. Ininterrottamente. Aggiungerei anche che fra il cercatore d’oro francese immigrato in America e l’America, fra il minatore italiano immigrato in Belgio e il Belgio, fra la badante ucraina immigrata in Italia e l’Italia non c’è alcun legame storico; fra gli olim, ossia gli ebrei che vanno a vivere in Israele e la Terra d’Israele c’è un legame antico di millenni: basta fare un giro nei cimiteri per rendersene conto – quelli che i giordani non hanno devastato e distrutto fra il 1948 e il 1967 – o scavare un po’ sottoterra. Fra pochissimi giorni, signor Obama, sarà Pesach, la Pasqua ebraica, e lo sa che cosa si augurano gli ebrei in questa ricorrenza? Hashanà haba’a b’Yerushalayim: l’anno prossimo a Gerusalemme. Lo fanno tutti: ortodossi e reform, religiosi e laici, osservanti e inosservanti, credenti e atei convinti. Da duemila anni. E da altrettanto tempo pregano “Se ti dimentico, o Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; si attacchi la mia lingua al mio palato se non ti ricorderò” (Salmo 137, 5-6): provi un po’ a indovinare perché.
Ho notato anche, nel suo discorso, un’altra piccola “sbavatura”, signor Obama: lei ha detto che l’unica soluzione è la creazione dello stato di Palestina, e io sinceramente non capisco: perché lo va a dire agli israeliani, che lo stato di Palestina lo hanno accettato fin dal 1947, e non ai palestinesi che lo stanno pervicacemente rifiutando, con tutte le proprie forze, da almeno ottant’anni? (clic, clic, clic)
Bene ha fatto, invece, a rifiutarsi di parlare alla Knesset: essendo la sede del governo israeliano, e trovandosi a Gerusalemme, accettando di recarvisi avrebbe potuto dare l’impressione di riconoscere che Gerusalemme è la capitale di Israele, ossia che Israele avrebbe il diritto di decidere dove stabilire la propria capitale, come qualunque altro stato al mondo, il che, dobbiamo convenirne, è assolutamente inammissibile. E altrettanto bene ha fatto a rifiutare di ritrovarsi davanti gli studenti di Ariel. Perché, avendo studiato la storia, come ha dimostrato di avere fatto, avrà sicuramente imparato che quelli, in base alle norme del diritto internazionale, non possono sotto nessun aspetto essere considerati “territori occupati” (occupato era lo stato sovrano di Polonia dopo l’invasione tedesca, per esempio), bensì “territori contesi”, il cui destino finale, in base alla risoluzione 242, dovrà essere definito per mezzo di quei negoziati che da parte araba, con i “Tre no di Khartoum” sono sempre stati rifiutati. Ecco, se lei avesse accettato la presenza degli studenti dell’università di Ariel, magari anche qualcun altro avrebbe potuto accorgersi che il famoso, così frequentemente e così a sproposito invocato, “diritto internazionale” dice cose molto diverse da quelle spacciate dalla propaganda, e questo assolutamente non deve accadere. E poi, diciamolo una volta per tutte: era anche opportuno che si chiarisse chi è che comanda! È il sultano che decide quali sudditi possono entrare alla sua presenza, e non il contrario che diamine!
E di liberare Pollard, naturalmente, non se ne parla.
Ma, a parte questi dettagli tecnici, lo sa qual è la cosa che più ho ammirato di lei, signor Obama? Riguardiamo insieme questo spezzone del suo discorso:
Ecco, la cosa veramente straordinaria è la sua faccia, la sua espressione durante gli applausi. Lo sa che cosa mi ricorda? La faccia di Annamaria Franzoni quando, in un primo momento, grazie alla sua abilità di attrice (“Come sono andata? Ho pianto troppo?” – credendo che tutti i microfoni fossero spenti) era stata fatta uscire dal carcere
Una faccia da “Visto come ve l’ho messo nel ****?” Davvero, signor Obama, devo riconoscerle delle doti di attore assolutamente straordinarie, soprattutto ricordando chi è lei:
Ma si ricordi, signor Obama: noi siamo pronti a combattere contro qualunque nemico. Da qualunque parte venga. E qualunque maschera indossi: farà bene a non dimenticarlo, signor Obama. Mai.
barbara
AGGIORNAMENTO: e questi sono i risultati ottenuti dal grande pacificatore dopo che Netanyahu si è umiliato a chiedere scusa per essersi difeso da un attacco terroristico.
AAAHHHH!!!!! Ecco com’era!