Una risposta

  1. Pingback: Ma come le donne! | Diemme

  2. Devo finire di vedere il video. E’ da tanto che non guardo le reti di Berlusconi, mi stavo scordando che esistesse quel concentrato di volgarità.
    Mi ha colpito la frase che dice che le donne guardano-giudicano le altre donne con gli occhi di un uomo. Continuo col video…

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  3. Ho penato un po’ per finire di vederlo per problemi con youtube.
    Video decisamente bello. Mi ha colpito anche il pezzo in cui si dice che il volto tradisce la nostra vulnerabilità e per questo vogliamo mascherarlo col trucco oppure arrivando agli estremo “rimedio” della chirurgia. E’ assolutamente vero, essere vulnerabili davanti agli occhi del mondo è sgradevole, più sgradevole ancora esserlo davanti ai nostri stessi occhi. Una maschera perenne illude d’aver trovato quella forza che non si ha dentro. Più efficace di un trucco che prima o poi andrà tolto. Il mondo ormai è dei forti, di quelli che bleffano nella vita come a pocker e per la fragilità non sembra esserci più tanto spazio, sempre che ci sia mai stato, ovvio. Sei fragile e ti spezzano, ti disintegrano. Sei vecchio e ti faranno la stessa cosa. Potenzialmente esposto a tutto. Ancora una volta la maschera come il pesce palla che si gonfia per spaventare gli avversari, così la donna che vuole essere competitiva nel modo sbagliato. Dell’intelligenza, della maturità conseguita con l’esperienza non c’è più molta traccia. Vedi anche le vecchie che sculettano come cretine da Maria de Filippi. Come diceva il video, cos’hanno da insegnare alle giovani queste qui? niente di niente. Un altro passaggio significativo è quando si dice che le donne vogliono sembrare quello che ” pensano” vogliano gli uomini. L’uomo vuole veramente solo questo dalla donna? spero ben di no. Rimane da chiedersi cosa vogliano essere le donne.

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    • Sulla cosa del viso nudo che “tradisce” mi sono trovata a riflettere tanti anni fa quando un’amica, che si truccava in maniera pesantissima, e che le stava anche parecchio male, mi ha spiegato che si rendeva conto che tutto quel trucco non migliorava il suo aspetto, ma che ne aveva assolutamente bisogno perché senza si sentiva nuda, e non era in grado neppure di uscire di casa. Trucco come maschera. Trucco per nascondere. Infatti sua figlia non era del marito, ed è stata talmente brava a nascondere che dapprima ha “dimenticato” di avermelo detto, ed è apparsa molto sorpresa nello scoprire che io lo sapevo, e alla fine è riuscita a truccare e mascherare anche la sua coscienza: non ricordava più che sua figlia non era del marito, e non stava recitando, aveva proprio cancellato dalla propria coscienza e dalla propria memoria questo fatto: cancellando i propri lineamenti, cioè cancellando la faccia con cui aveva ingannato il marito e, successivamente, la figlia, aveva cancellato l’inganno.
      Sono tornata a ricordare questa cosa molti anni dopo, per via di una collega che usava quantità spropositate di profumo, e mi ha fatto esattamente lo stesso discorso: “Io senza mi sento nuda”. Solo molto tempo dopo sono venuta a sapere che fin da quando era bambina era obbligata a onorare il letto del padre. E il meccanismo era lo stesso: mascherare il proprio odore naturale per cancellare quello dell’incesto, del sesso sporco, della colpa. Processo ovviamente inconscio, in entrambi i casi, e tuttavia, visto dal di fuori, perfettamente chiaro. Perché alla fine proprio quella maschera messa per impedire che il viso nudo – o l’odore nudo – tradisca la vulnerabilità, finisce per tradire in modo ancora peggiore.

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      • Beh, io sono una acqua e sapone… istintivamente. E’ un bisogno di essere così, anche quando mi rimprovero, che insomma, dovrei essere un po’ più donna, con un po’ più di voglia di piacere.

        Macché, acqua è sapone, e a volte acqua soltanto, è l’unica cosa con cui mi sento amio agio.

        E ora, finalmente, ne sono lieta.

        PS: unica eccezione, rossetto rosso fiamma, significa qualcosa secondo te? 😉

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  4. Beh, con l’audio è un’altra cosa. Ce la vogliamo? Francamente, credo di sì.
    Per quelle che si presentano come tali.
    Per quelle che lasciano che le si tratti come tali.
    Per quelle che “giocano” ad essere tali.

    E per quelle che, per essere diverse, non hanno trovato niente di meglio che diventare la brutta copia dell’uomo.

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    • No, io la prima persona plurale non la userei, sinceramente: davvero non me ne sento in alcun modo coinvolta, né partecipe, né responsabile. Io, per dire, avevo due gambe che avrebbero fatto svalvolare persino Formigoni; agli esami per la patente, sia teoria che pratica, mi sono presentata con un vestito lungo fino al ginocchio – ed erano anni in cui giravano in minigonna anche le carampane – perché volevo avere l’assoluta certezza che la promozione fosse dovuta unicamente alle mie capacità (alla pratica mi hanno fatto fare una inversione a U su una strada a schiena d’asino. Secondo le norme stabilite la cosa va fatta usando il freno a mano, solo che nella seicento prenuragica di mio padre il freno a mano non funzionava. Io non ne avevo bisogno, perché ero perfettamente capace di fare bilancino, solo che non mi andava di confessare che mi ero presentata con una macchina non in ordine, e così ho fatto bilancino facendo finta di usare il freno a mano, e dovendo quindi coordinare i movimenti della mano con quelli dei piedi. Una cosa spettacolare).

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  5. L’ho usata anch’io una maschera. Nemmeno io avevo il coraggio di uscire senza. La usavo per proteggere una personalità incerta molto timida e fragile. Stufa delle prese in giro alle quali non sapevo reagire se non soffrendo a morte. Mi sono detestata come più non potevo. Ora giro a viso nudo o quasi, nascondendo, e neppure tanto, solo occasionalmente l’imperfezione del volto che la dice lunga su di me. Per quel volto scoperto ho ricevuto complimenti da chi aveva un’idea diversa o meglio antica della bellezza. “Bella come un fiore” m’ha detto e nel momento più difficile della mia vita quando stanchezza e un certo avvilimento erano ben visibili.

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  6. Rispondo a tutte e tre. Avevo sedici anni quando mi è venuta l’idea di mettermi una mano di smalto trasparente. Il giorno dopo mio padre se n’è accorto, e ne ho prese tante che ancora me lo ricordo. Per reazione – anche se all’epoca non mi rendevo affatto conto che era una reazione – appena ho potuto ho preso a truccarmi, sempre di più, fino ad avere un trucco da battona: fondo tinta, fard, cipria, eyeliner, ombretto, tanto tanto ombretto… le uniche cose che non usavo erano il mascara, perché all’epoca avevo le ciglia molto lunghe che mi sfioravano le lenti degli occhiali, e il rossetto: un po’ perché ero allergica e mi faceva venire i labbroni alla Alba Parietti, un po’ perché non sopportavo, e proprio sotto il naso (l’ho sempre avuto sensibilissimo), quell’orrendo tanfo di grasso di montone che a quel tempo avevano tutti i rossetti, da quello da mille lire a quello da trentamila, un po’ perché fumavo e l’idea di mettere in bocca la sigaretta, lasciarci la tacca di rossetto e poi rimetterla in bocca mi faceva francamente schifo, un po’ perché la bocca, a differenza di guance e palpebre, la sentivo come qualcosa di vivo, che non potevo ingessare nel trucco. Poi, raggiunto il culmine, ho cominciato a diminuire, fino a smettere del tutto. Ho ripreso un po’ sei anni e mezzo fa, come reazione a un lutto tremendo: ho cominciato per la prima volta a usare il rossetto, che evidentemente è cambiato rispetto a quarant’anni fa, e ombretto, ma niente che “mascheri” la mia faccia.
    Avevo anche una collega che si truccava tantissimo. Poi ha smesso, ed è ringiovanita di dieci anni, oltre che notevolmente imbellita. Il che è un’ulteriore prova del fatto che la finalità del trucco-mascherone non è quella di aggiungere bellezza o minimizzare eventuali imperfezioni, bensì proprio quella di mascherare e nascondere la personalità.

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