10 MAGGIO 1933

10 maggio 1933: ottanta anni fa, il rogo dei libri di Berlino

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MILANO – Ricorre oggi l’ottantesimo anniversario del rogo dei libri di Berlino, avvenuto nella notte del 10 maggio 1933. È ricordato per essere stato senza dubbio il più vasto e pianificato incendio di libri della storia contemporanea.
IL ROGO – La notte del 10 Maggio 1933, cinque mesi dopo l’ascesa di Hitler al potere, Berlino fu illuminata dal rogo dei libri. Migliaia di studenti tedeschi, scandendo slogan contro “la decadenza” e “la corruzione morale”, gettarono dentro un unico falò più di 20.000 volumi.
STUDENTI UNIVERSITARI PROMOTORI DEL ROGO – Il rogo non fu organizzato dal governo, bensì dagli studenti stessi, infervorati dalla propaganda nazista che stigmatizzava gli intellettuali in genere, ma in particolar modo quelli ebrei o di sinistra. Gli studenti dell’Università di Berlino passarono settimane a compilare liste di scrittori e libri “non tedeschi”, perlustrarono poi biblioteche pubbliche e private alla ricerca dei volumi incriminati.
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GLI AUTORI DELLE OPERE BRUCIATE – Il 10 maggio gli studenti trasportarono i libri con camion e carri in una piazza della capitale, su cui si affacciavano l’Università di Berlino e il Teatro dell’Opera di Stato. Là diedero fuoco ai cosiddetti “libri decadenti”. Il governo approvò entusiasticamente il rogo e nelle settimane seguenti, i roghi dei libri apparvero in centinaia di altre città tedesche. Tra i libri distrutti vi furono le opere di alcuni dei maggiori pensatori, scrittori ed intellettuali del tempo: Karl Marx, Bertolt Brecht, Thomas Mann, Joseph Roth, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Ludwig Wittgenstein, Hannah Arendt, Edith Stein, Max Weber, Erich Fromm, l’architetto Walter Gropius, i pittori Paul Klee, Wassili Kandinsky e Piet Mondrian, gli scienziati Albert Einstein e Sigmund Freud, i registi Fritz Lang e Franz Murnau.
IL DISCORSO DI GOEBBELS – Durante il rogo, Joseph Goebbels, politico e scrittore tedesco, tenne un violento discorso contro la cosiddetta “cultura degenerata”. “Studenti, uomini e donne tedesche, l’era dell’esagerato intellettualismo ebraico è giunta alla fine. Il trionfo della rivoluzione tedesca ha chiarito quale sia la strada della Germania e il futuro uomo tedesco non sarà un uomo di libri, ma piuttosto un uomo di carattere ed è in tale prospettiva e con tale scopo che vogliamo educarvi. Vogliamo educare i giovani ad avere il coraggio di guardare direttamente gli occhi impietosi della vita. Vogliamo educare i giovani a ripudiare la paura della morte allo scopo di condurli a rispettare la morte. Questa è la missione del giovane e pertanto fate bene, in quest’ora solenne, a gettare nelle fiamme la spazzatura intellettuale del passato. È un’impresa forte, grande e simbolica, un’impresa che proverà al mondo intero che le basi intellettuali della repubblica di Novembre si sono sgretolate, ma anche che dalle loro rovine sorgerà vittorioso il padrone di un nuovo spirito”. (Libreriamo, 10 maggio 2013)

Il prof. Hermann Haarmann, docente di Kommunikationsgeschichte alla Freie Universität Berlin, ha recentemente affermato che dalla sua ricerca nelle fonti è emerso che il rogo dei libri del 10 maggio 1933 non fu ideato dal ministro della propaganda Joseph Goebbles ma dalla “Deutsche Studentenschaft”, l’associazione degli studenti tedeschi, che con questa azione voleva esprimere la sua adesione al nuovo governo. Goebbels in un primo tempo era sfavorevole all’iniziativa perché temeva che questo fatto, all’inizio dell’attività del governo nazista, potesse generare una reazione sfavorevole nella popolazione. Soltanto il 9 maggio, il giorno prima di quello stabilito, Goebbels decise di “salire sul treno in corsa” e dare la sua adesione all’iniziativa degli studenti accettando di fare un discorso nella manifestazione. Marcello Cicchese

Poi, cinque anni dopo, hanno bruciato le sinagoghe, e dopo un altro paio d’anni, le persone, come da programma. Chi brucia un libro, brucia l’umanità intera (no, non perdete tempo a googlare: non è una citazione, l’ho detto io). Per questo chi brucia un libro – qualunque libro, anche un autentico manuale di odio e di morte quale il Corano – non avrà il mio applauso.

barbara

LETTERA DI VALTER VECELLIO A GIORGIO NAPOLITANO E ANNA MARIA CANCELLIERI

Signor Presidente della Repubblica,
Signora Ministro di Giustizia,

giorni fa ho ricevuto una busta, da “Equitalia”; non reca data, o timbri. È una perentoria ingiunzione. Si intima di versare entro sessanta giorni – non si capisce a decorrere dal quale – di pagare la somma di circa trecento euro. Non è per una tassa non pagata, o per un errore commesso dal mio commercialista. Ho dovuto leggere e rileggere alcune volte i cinque o sei fogli, in carattere lillipuziano e gergo da iniziati, per capire di cosa si tratta: sono spese processuali; e non vi nascondo che sono stato preso da un senso di inquietudine e apprensione: quale processo? Se devo pagare spese significa che sono stato condannato… Quando? Perché? Denunciato o querelato da chi? Non ne so nulla. Condannato a mia insaputa?
L’attenzione viene attirata da due nomi: Erich Priebke e Riccardo Pacifici. Il primo è l’ex ufficiale delle SS che sconta un ergastolo ai domiciliari a Roma, dopo la condanna per i fatti alle Ardeatine. L’altro è il mio amico Presidente della Comunità Israelitica di Roma. Vado così indietro nel tempo: a quando, Priebke aveva presentato querela nei confronti di Pacifici e miei.
I fatti, brevemente: quando il tribunale militare di Roma, il 1 agosto del 1996 pronuncia l’intervenuta prescrizione per l’ex SS, una folla indignata manifesta per ore; fino a quando l’allora ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick non interviene, il processo rifatto, e si giunge alla condanna che ora Priebke sconta. Su quei fatti si può avere l’opinione che si crede, non è questo il punto, le ritengo tutte legittime. Il punto è che Priebke si era sentito in qualche modo leso da quanto ho scritto in un mio articolo, e dal comportamento di Pacifici. Entrambi siamo stati assolti in primo e secondo grado; la Cassazione infine ha dichiarato improcedibile il ricorso contro le sentenze che rigettavano la richiesta di risarcimento avanzata dall’ex SS.
Ci siamo pagati di tasca nostra gli avvocati; abbiamo perso un po’ di tempo, non abbiamo chiesto un centesimo di risarcimento (personalmente avrei avuto problemi anche a darlo in beneficenza, quel denaro); la storia, pensavo, fosse finita lì. Invece arriva la cartella di Equitalia, “Servizio notificazioni atti fiscali”.
Accade questo: l’Agenzia delle Entrate vuole che da Riccardo e da me il pagamento delle spese processuali. L’avvocato, mortificato, mi spiega che dal momento che Priebke non paga, lo Stato si rivale, per le spese sostenute, su di noi; e questo indipendentemente dal fatto che la causa la si sia vinta, non si siamo stati noi ad accenderla e la si sia subita… Insomma, un signore che non ha nulla da perdere, querela chi gli pare. Perde la causa, è condannato a risarcire le spese, non lo fa, perché risulta nullatenente. Lo Stato allora chiede che le spese siano pagate da chi è stato tirato in ballo e di nulla è responsabile. Non manca la beffa finale: mi viene detto che posso sempre rivalermi nei confronti di Priebke, evidentemente si pensa che io possa ottenere quella soddisfazione che lo Stato non riesce ad avere. Che si fa, si ride o si piange?
In paesi di consolidata civiltà giuridica come gli anglosassoni se si fa causa chiedendo risarcimenti, e si fa perdere tempo e denaro alle persone, e si viene trascinati in tribunale per nulla esiste un qualcosa che si chiama “lite temeraria”; chi la intenta viene condannato a pagare svariati multipli rispetto a quello che si chiede per risarcimento, e soprattutto nessuno si sogna di chiedere a chi ha vinto di pagare le spese processuali.
Ora vorrei che sia chiaro: non sono così pezzente da non avere i trecento euro circa che mi chiedono Equitalia e l’Agenzia delle Entrate. Ne faccio, come si dice, una questione di principio.
Signor Presidente Giorgio Napolitano, Signora Ministro Anna Maria Cancellieri: è giusto che due cittadini di questa Repubblica, denunciati un ex ufficiale nazista per reati che tre gradi di giudizio ritengono non sussistere, debbano pagare le spese per processi che non hanno intentato ma hanno subito, perché lo Stato italiano non sa, non vuole, non può farsele pagare da chi è stato condannato?
Signor Presidente, Signora Ministro: se me lo dite voi, pago senza fiatare. Però vorrei sentirmelo dire da Lei, Signor Presidente, da Lei Signora Ministro della Giustizia.
Un saluto cordiale, Valter Vecellio

(il Fatto, 8 maggio 2013)

Non credo ci sia altro da aggiungere.

barbara