PENSIERI SPARSI SULL’ABORTO

Lo spunto per queste mie riflessioni nasce da qui, una recensione a un libro-inchiesta sull’aborto, in cui emerge chiaro come il sole – non che non si sapesse, peraltro – che la storiella dell’aborto terribile dramma per tutte le donne “costrette” a farvi ricorso, è una balla grande come un’astronave. Come detto, è cosa stranota, basta guardarsi intorno per saperlo: per qualcuna sì, certo, lo è, ma per molte altre è semplicemente il sollievo di avere risolto un fastidioso problema, se non addirittura un metodo contraccettivo più comodo e meno costoso della pillola. Cosa nota, dicevo, e dunque non è questo il punto. Il punto sono i duecento e passa commenti. Dove chi si è azzardato ad esprimersi contro l’aborto si è preso del moralista, bigotto, oscurantista, vittima del lavaggio del cervello operato dai preti. Qualcuno ha tentato di replicare no, io veramente sono ateo, io non sono contrario all’aborto per motivi religiosi ma unicamente per scientificissime ragioni biologiche [che, per inciso, sono esattamente le mie]: al momento del concepimento – non tre mesi dopo, non tre settimane dopo, non tre giorni dopo, ma in quel momento preciso, c’è tutto il DNA del bambino, è determinato il colore degli occhi e dei capelli, quali malattie erediterà, per quali avrà predisposizione, tutto. Risposta: siete i soliti moralisti bigotti oscurantisti vittime del lavaggio del cervello operato dai preti.
Il cavallo di battaglia dei pro-aborto è sempre il solito: il corpo appartiene alla donna. Vero: il corpo della donna appartiene alla donna. Ma il corpo del bambino? A chi ha avanzato questa obiezione, l’illuminata risposta è: sono questioni delicatissime, che appartengono unicamente alla donna, nessuno ha il diritto di interferire. Si accorgono della tautologia? No, non se ne accorgono: loro sono gli illuminati, i progressisti, i nemici dichiarati del bigottismo di stampo cattolico. L’importante è affermare il diritto: scopare come un riccio è un mio diritto, risparmiarmi il fastidio di prendere precauzioni, anche se sono arcisicura che di figli non ne voglio, è un mio diritto, buttare mio figlio nella spazzatura quando alla fine succede ciò che è inevitabile che succeda, è un mio diritto, perché noi viviamo nel migliore dei mondi possibili, dove tutto è diritto, e i doveri li abbiamo mandati in pensione – salvo poi strillare come oche spennate quando amministratori politici medici funzionari insegnanti avvocati impiegati eccetera eccetera mancano ai propri doveri nei nostri confronti. E capirei se di strumenti non ce ne fossero, ma ci sono. Vuoi scopare come un riccio e non avere figli tra i piedi? Benissimo, ti organizzi e il problema è risolto, anzi, non si presenta proprio. Sessant’anni fa si poteva restare incinte per sbaglio, oggi no. Una quindicenne potrebbe restare incinta per sventatezza, una ventenne no, meno che mai una trentenne. A tutto questo ritengo doveroso aggiungere che fino alla decima settimana pare che, non essendoci ancora le connessioni nervose, non ci sia neppure la percezione del dolore fisico; nei novanta giorni in cui, in Italia, è consentito l’aborto, di settimane ce ne sono tredici: tre settimane in cui la sofferenza del massacro che subisce, il bambino la prova tutta.
Qualcuno ha detto, in quella infinita serie di commenti, che l’aborto dovrebbe essere consentito solo in caso di malformazione o handicap del bambino. Ecco, c’è stato un tempo in cui c’era un ente incaricato di stabilire quali vite erano degne di essere vissute, e quali no: si chiamava Gestapo. Capisco perfettamente che un figlio disabile, così come un nonno paralitico, nelle famiglie patriarcali di una volta, coi figli sposati in casa e tutte le cognate con cui si litigava in continuazione ma poi davano anche una mano, e la zia zitella e lo zio un po’ scemo ma affidabile per piccoli incarichi, si potevano gestire senza che fosse un dramma, mentre nella famiglia mononucleare di oggi il peso diventa davvero notevole; ciò non toglie che arrogarsi il diritto di vita e di morte su esseri umani che non rispondono ai nostri canoni di accettabilità mi sembra – per usare un termine moderato – un tantino azzardato. Tanto più che questo genere di diagnosi non viene fatto a pochi giorni o poche settimane dal concepimento, ma molto molto più avanti, quando non stiamo parlando di “un grumetto di cellule”, bensì di un bambino completamente formato (ricordo ancora con orrore quando ho letto la “confessione” della signora Miriam Bartolini alias Veronica Lario in Berlusconi: era rimasta di nuovo incinta, poi AL QUINTO MESE ha saputo che il bambino era malformato, allora ci ha pensato su PER DUE MESI e alla fine, con tanto dolore, oppoverinapoverina, ha deciso di abortire. Al settimo mese. E ha il coraggio di chiamarlo aborto).
Ma la cosa più sconvolgente di tutte, nei commenti, non è nessuna di quelle che ho detto sopra. La cosa più sconvolgente arriva adesso e riguarda i medici. Ebbene, secondo gli illuminati luminosi luminari del pensiero progressista, in questo mondo fatto unicamente di diritti, c’è un solo diritto che non può avere cittadinanza: quello all’obiezione. A nessun medico dovrebbe essere consentito dichiararsi obiettore, e il geniale argomento è: nessuno ti obbliga a fare il ginecologo, quindi se non ti sta bene fai un altro mestiere. Vale a dire che per poter fare di mestiere quello che aiuta la vita ad entrare nella vita, uno deve dichiararsi e mostrarsi illimitatamente disponibile a dare la morte. Serve aggiungere altro?

barbara

AGGIORNAMENTO: ripropongo un power point postato tempo fa, che in questo post ci può stare bene.
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