(No, di lui nessunissima nostalgia, ma avendo fatto parte integrante del mio panorama somalo, in questo contesto ci sta bene anche lui)
Vado, ma torno presto. Fate i bravi, mi raccomando.
barbara
Ovverosia il Socialismo Reale dell’Unione Sovietica
In Urss si vive così bene
I pochi comunisti italiani ancora vivi nei campi di concentramento dell’estremo Nord non ricevettero mai da parte dei dirigenti del Pci alcuna attenzione, essendo, anzi, del tutto cancellati ed esorcizzati come tabù. Forse, l’unica consolazione per loro fu l’essere almeno scampati alla notizia del premio alle «madri gloriose» e alle «madri eroine» e alla lettura delle domande-risposte di Robotti sulla vita sovietica, che nel 1950 furono raccolte in volume e diffuse tra il popolo comunista.
È il caso di citarne alcuni passaggi per capire sino in fondo i meccanismi del lavaggio del cervello:
Domanda: Perché nell’Unione Sovietica non si sciopera?
Risposta: perché sul luogo di lavoro esistono le possibilità e i mezzi per dirimere le vertenze che, in generale, in altri paesi, determinano gli scioperi. […] Ogni lavoratore nell’Unione Sovietica comprende che facendo sciopero agirebbe contro i propri interessi. Infatti in numerosi anni di permanenza nelle officine sovietiche non mi è mai capitato di sentire operai o impiegati proporre di fare sciopero Nell’Unione Sovietica, dal 1945 al mese di marzo 1950, il salario dei lavoratori è aumentato di oltre il 48 per cento, non attraverso un aumento delle tariffe orarie, ma attraverso la rivalutazione del rublo e a tre successive riduzioni di tutti i prezzi dei prodotti alimentari e industriali di largo consumo, destinati a tutta la popolazione. È errato credere che nell’Unione Sovietica non si sciopera per paura: milioni e milioni di lavoratori che hanno valorosamente combattuto in guerra hanno dimostrato che la paura non è un elemento del loro carattere. Non è la paura di scioperare che essi hanno,
ma la coscienza di essere i responsabili diretti della gestione economica del paese. Quando le classi lavoratrici cessano di essere sfruttate e diventano classi dominanti, la loro vecchia arma non serve più. Da quel momento essi si pongono come obiettivo l’aumento della produzione. E questo aumento non arricchisce più le società anonime: arricchisce tutta la società. […]
Domanda: Quali sono attualmente le mansioni di Stalin?
Risposta: Erroneamente molti credono che Stalin sia il capo dello Stato sovietico e che, come tale, abbia poteri dittatoriali. Ma non è affatto così… Il fatto che Stalin goda di una grande autorità, di un vasto prestigio e di una popolarità che certamente, dopo Lenin, non ha mai circondato nessun uomo di Stato o capo religioso nella propria patria e nel mondo intero è dovuto:
a) alla indiscussa fedeltà di Stalin ai principi del socialismo e alla causa dei lavoratori;
b) al coraggio con il quale egli, per lunghi anni, ha affrontato i non comuni sacrifici della dura e aspra vita del militante rivoluzionario; [infatti quando era in Siberia, sotto lo zar, era famoso fra tutti i deportati per il fatto che non si separava mai dalla sua trapunta rosa, ndb]
c) alla tenacia con la quale egli ha seguito, realizzato, perfezionato e sviluppato l’insegnamento di Lenin partecipando alla creazione, alla direzione e al rafforzamento organizzativo, politico e ideologico del Partito comunista (bolscevico); [bolscevico viene da bolscioi, grande, e significa partito di maggioranza. In realtà all’unica elezione vera dell’Unione Sovietica hanno beccato il 25%, perciò è stato deciso che il popolo non era ancora maturo per votare, e infatti di elezioni vere non ce ne sono state mai più. E loro si sono presi lo stesso il nome di maggioranza, ndb]
d) alla grande capacità dimostrata nell’organizzare la lotta armata dei lavoratori russi per la conquista e la difesa del potere socialista durante il periodo rivoluzionario e quello della guerra civile;
e) alle sue geniali capacità di tradurre in pratica e di perfezionare, sviluppandoli, gli insegnamenti di Lenin sulla costruzione del socialismo in un solo paese circondato dal mondo capitalista;
f) alla giusta direzione data al Partito comunista (bolscevico) dell’Urss per la industrializzazione e la collettivizzazione e per l’impostazione e la realizzazione dei piani quinquennali;
g) alle grandi, impareggiabili capacità politiche e strategico-militari dimostrate durante la guerra conclusasi con la distruzione del nazi-fascismo e la liberazione di decine di milioni di cittadini dell’Europa orientale dal regime capitalista;
h) all’aver impostato e diretto una giusta politica di ricostruzione post-bellica, politica che ha permesso all’Urss, unico paese in Europa, di raggiungere e sorpassare in soli quattro anni il livello di anteguerra della produzione industriale e agricola …;
i) all’aver dato al mondo intero una concreta dimostrazione della completa emancipazione politica, economica e culturale dei popoli coloniali oppressi;
l) all’aver dato agli uomini della cultura e della scienza – attraverso lo sviluppo e l’arricchimento della teoria e delle leggi del materialismo dialettico e storico – la guida per nuove grandi conquiste che hanno permesso e permettono agli uomini della società socialista di dominare i fenomeni della natura frantumando le leggende dei miracoli e strappando il velo del mistero con la forza creatrice del lavoro, della tecnica e della scienza, diventati garanzia e patrimonio dell’intera società dei produttori.
Domanda: Si può aderire facilmente al Partito comunista bolscevico?
Risposta: L’iscrizione al partito è volontaria. L’accesso all’impiego, alle università, oppure a una carriera, in nessun caso richiede l’appartenenza al Partito comunista. Il membro del Partito comunista bolscevico è come un soldato: va dove il Partito comunista lo manda. Molti ritengono che i posti di direzione nell’Unione Sovietica siano affidati solo ai comunisti. Ciò è errato Altri pensano che i comunisti nell’Unione Sovietica siano retribuiti meglio che gli altri cittadini. Anche ciò non è vero.
Domanda: Perché vi è un solo partito – il Partito comunista bolscevico – nell’Unione Sovietica?
Risposta: Il perché lo si comprende esaminando prima di tutto la situazione dalla quale scaturì la nuova organizzazione del potere e, secondariamente, la composizione della società sovietica… Oggi la società sovietica è composta non più da classi sociali aventi interessi contrastanti (capitalisti e operai, grandi proprietari di terra e contadini poveri e braccianti), ma da gruppi sociali (operai, contadini kolchoziani e intellettuali lavoratori) aventi interessi comuni.
Domanda: Come si esercita la libertà di critica nell’Unione Sovietica?
Risposta: La libertà di critica – come altre libertà – non basta concederla o riconoscerla: occorre garantirla fornendo ai cittadini i mezzi e la possibilità perché si possa esercitare, organizzare e sviluppare. Non vi è certamente nessun altro paese nel quale la critica si eserciti in modo così vasto ed efficace come nell’Urss; non vi è nessun altro paese dove la critica giusta abbia rapida corrispondenza nei fatti.
Domanda: Come avvengono le elezioni nell’Unione Sovietica?
Risposta: Le elezioni avvengono sulla base del voto diretto, uguale e segreto, per tutti i cittadini che hanno compiuto i diciotto anni di età. Nell’Urss non esistono elezioni di secondo grado e non esistono limitazioni di voto sulla base di discriminazioni razziali o del censo Ogni sezione elettorale è sempre munita di numerose cabine per facilitare la rapidità delle votazioni.
Domanda: Esiste la prostituzione nell’Unione Sovietica?
Risposta: L’Unione Sovietica, sola fra tutti i paesi moderni, già dal 1917 abolì la prostituzione, dando così l’esempio al mondo civile. La «civiltà» americana non è ancora arrivata a tanto.
Domanda: Esiste ancora nell’Unione Sovietica l’infanzia abbandonata?
Risposta: Il fenomeno dell’infanzia abbandonata con tutte le sue conseguenze, è stato un triste retaggio del vecchio regime zarista.
Domanda: Come nella realtà della vita si esprime l’uguaglianza dei diritti della donna nell’Unione Sovietica?
Risposta: alla donna sono aperte tutte le vie dell’attività economica, sociale e politica e, secondariamente, nel fatto che alla donna sono riconosciuti gli stessi diritti che hanno gli uomini… In queste condizioni spariscono certe tendenze della donna, tradizionali nei paesi dove essa non ha ancora ottenuto l’emancipazione sociale: dare la caccia al «buon partito», sentirsi inferiore all’uomo in tante attività sociali, considerare il lavoro nella produzione industriale come cosa sgradevole e disdicevole.
Domanda: Come sono assistite la maternità e l’infanzia nell’Unione Sovietica?
Risposta: Lo Stato sovietico cura l’infanzia e conduce una lotta accanita contro la mortalità infantile. La medaglia d’oro della «Madre eroina» è stata assegnata a 1800 madri che hanno più di dieci figli, e la medaglia d’argento della «Madre gloriosa» è stata assegnata a 1.700.000 madri cha hanno da cinque a dieci figli.
Domanda: In quali condizioni viene a trovarsi nell’Unione Sovietica una donna che lavori e abbia dei bambini?
Risposta: Nell’Unione Sovietica l’allevamento dei bambini è affidato ai genitori i quali, insieme allo Stato, sono responsabili della loro educazione. Un altro aiuto le donne di casa lo hanno attraverso la istituzione dei negozi di generi alimentari presso le officine in modo che, sia andando al lavoro che uscendo, possono ordinare e prendere ciò che loro occorre. Inoltre molte lavoratrici… hanno la possibilità di procurarsi la persona di servizio che accudisce alle faccende domestiche. Ciò è anche più conveniente da un punto di vista sociale generale, perché una operaia qualificata o una donna specializzata possono rendere molto di più alla società con il loro lavoro di quanto potrebbe rendere una persona di servizio. Il lavoro di quest’ultima è però ugualmente utile alla società in quanto concorre al rendimento del lavoro della donna specializzata.
Domanda: Qual è la situazione dei tecnici e degli scienziati nell’Urss?
Risposta: Intellettuali costituiscono per l’Unione Sovietica un patrimonio per il quale si hanno tutte le cure indispensabili. «Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro.» Quindi non vi è nessun livellamento degli stipendi.
Domanda: Com’è organizzata la pubblica istruzione nell’Unione Sovietica?
Risposta: il potere sovietico ha dedicato alla pubblica istruzione il massimo interessamento e il massimo sforzo… si abituano gli allievi a lavorare anche a casa. Prima di lasciare l’Urss – alla fine del dicembre 1946 – trovandomi una sera presso una famiglia russa, fui sorpreso dalla quantità di recipienti vari nei quali germogliavano grano, segale, cipolle e altre colture. Si trattava di esperimenti che faceva una bambina di undici anni la quale mi disse che stava realizzando alcuni insegnamenti di genetica dell’accademico Lysenko.
Domanda: Si possono ascoltare le emittenti straniere?
Risposta: Se, come molti affermano, non fosse possibile ai cittadini sovietici ascoltare emissioni straniere, come si spiegherebbe il fatto che il governo americano ha stanziato 11.500.000 dollari all’anno per sovvenzionare le trasmissioni in lingua russa della famosa «Voce dell’America»? Come si spiegherebbe che varie volte al giorno la «Voce di Londra» trasmette in lingua russa? Come si spiegherebbe che la Radio vaticana due volte alla settimana compie trasmissioni in lingua russa appositamente destinate all’Unione Sovietica?
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Robotti scrive queste cose, mentre Clementina Perone Parodi, una vittima della famiglia Robotti, è ancora vilipesa, umiliata e torturata nel gulag. E nessuno del Pci, a cominciare da Togliatti, per finire con Giovanni Parodi (il marito diventato numero due della Cgil), muoverà un dito per farla liberare. (Carnefici e vittime, pp.40-43)
Di commenti non credo ne servano, resta solo da aggiungere lo stupore nel constatare che c’è ancora qualcuno che pretende di “rifondare” il comunismo e si dichiara orgogliosamente comunista.
barbara
Perché siamo talmente assediati da articoli e cronache che danno il nome di martiri a bande di efferati assassini e terroristi, che rischiamo di dimenticare che cos’è un martire vero. E i martiri veri esistono. Come Zahra Kazemi, di cui pochi giorni fa, il 23 giugno, è ricorso il decimo anniversario (qui la sua storia).
Di sette anni fa, sempre il 23 giugno, è il martirio di Martin Adler, giornalista svedese, assassinato a sangue freddo mentre riprendeva una manifestazione a Mogadiscio. Questa la sequenza messa in rete, all’epoca, dal Corriere della Sera.
Colgo l’occasione per ricordare che negli anni Settanta parecchie ragazze somale portavano la minigonna (no, non ritengo che la minigonna sia di per sé sinonimo di libertà, ma lo è il poter scegliere che cosa indossare); a metà anni Ottanta le mie studentesse si vestivano così
Nel 2006, durante la manifestazione in cui è stato assassinato Martin Adler, comparivano così
E oggi sono così
(Tenete presente che Mogadiscio è praticamente sull’equatore. Tenete presente che nella stagione calda siamo sui 40° all’ombra, e l’unica ombra in tutta Mogadiscio è quella che sta sopra la colonnina del termometro, per poter misurare la temperatura all’ombra. Tenete presente che nel periodo del “tangabili”, cioè quando il monsone si ferma per girarsi, non si muove neanche una piuma di colibrì).
Lo voglio ricordare e sottolineare per le anime belle, quelle che “loro progrediscono più lentamente”, quelle che “bisogna dargli tempo”: in effetti a tagliarci la gola hanno cominciato, ma ancora non si sono organizzati per farlo su vasta scala: perché ci arrivino bisogna dargli ancora un po’ di tempo.
Shabbat shalom.
barbara
Difficilmente si riesce a pensare ad un progetto più commovente: per vent’anni il pianista italiano Francesco Lotoro ha raccolto 4000 spartiti dimenticati, scritti nei ghetti e nei campi di concentramento da ebrei uccisi durante la Shoah. Li registra e li conserva per i posteri. Ora il musicista – convertitosi all’ebraismo durante il lavoro – chiede una cosa sola allo Stato d’Israele: aiutatemi a conservare l’opera della mia vita
di Menachem Gantz
Si tratta di uno dei progetti più splendidi e commoventi che si possano immaginare nel mondo della musica. Il lavoro del pianista Francesco Lotoro fa rabbrividire, provoca dolore e suscita la riflessione. Tuttavia, porta con sé anche molto ottimismo. Da quasi vent’anni raccoglie e studia ogni pezzo d’informazione, ogni nota e ogni suono nelle opere scritte da musicisti – per lo più ebrei – durante la Seconda Guerra Mondiale, spesso molto vicino alla loro morte. Ha raccolto oltre 4000 spartiti di opere classiche, brani d’opera lirica e pezzi jazz scritti da prigionieri nei campi nazisti.
La maggior parte dei compositori è morta nella Shoah e, settant’anni dopo, Lotoro sta dando nuova vita alle loro opere. Se Lotoro non avesse dedicato la vita alla ricerca di queste opere straordinarie, probabilmente non sarebbero mai state scoperte. Grazie al suo meticoloso lavoro, le opere vengono anche pubblicate. Dal 1996, Lotoro – pianista e musicologo di formazione – ha trovato migliaia di opere perdute, le ha completate e le ha anche registrate in dischi prodotti da lui, che ravvivano i suoni dimenticati.
La contraddizione intrinseca all’opera di Lotoro è chiara: la musica è un processo in cui l’artista è chiamato a trovare l’armonia perfetta al fine di presentarla poi al pubblico. Come’è possibile, quindi, che proprio nei momenti più bui dell’umanità, le vittime siano riuscite a trovare quell’armonia e comporre opere musicali così particolari, pur sapendo che la morte era vicina? Lotoro continua tuttora a cercare una risposta.
“Noi, oggi, troviamo difficile capirlo. Cerchiamo di spiegarlo da esseri liberi, senza realmente aver vissuto una tragedia simile”, spiega Lotoro, 48 anni, in un’intervista speciale a Yediot Aharonot, “Ma si sa che, quando si è vicini alla morte, a volte le forze umane raddoppiano. Molte tra le vittime comprendevano chiaramente che non avrebbero lasciato nulla ai posteri: né case, né danaro, e che, di fatto, nulla della loro esistenza sarebbe rimasto in questo mondo – tranne la musica. Non sono riusciti nemmeno a scrivere un testamento, perché non hanno veramente detto addio alla vita. Il loro testamento è espresso in capolavori”.
Un’ulteriore spiegazione che Lotoro dà alla creatività è proprio il divieto di continuare a comporre imposto dai nazisti ai musicisti nei campi e nei ghetti. “Quando ad un essere umano si porta via la libertà, si toglie la libertà di esprimersi, va a finire che la cerca a tutti i costi”, spiega Lotoro. “Il divieto rende l’essere umano più coraggioso. Prendiamo ad esempio il prigioniero politico ceco Rudolf Karl, che era discepolo del grande maestro Antonin Dvořák. Karl fu arrestato dai nazisti e compose un’intera opera lirica in cinque atti, scritta sulla carta igienica poco prima di essere ucciso ad Auschwitz nel marzo 1945”.
Dopo una ventina d’anni di lavoro, il progetto di Lotoro sta suscitando molta eco in Europa, soprattutto grazie al giornalista francese Thomas Saintourens, che ha pubblicato recentemente il libro “Il Maestro: la ricerca della musica nei campi”. Il libro descrive una ricerca, durata tre anni, fatta sul lavoro di Lotoro, ed è stato accolto con molto interesse dal pubblico. Lotoro, per parte sua, spiega che la sua passione per le opere perdute è nata nei primi anni Novanta, inizialmente per un interesse puramente musicale. Ha sentito parlare per la prima volta dei musicisti ebrei del campo di Theresienstadt durante le lezioni del noto musicologo israeliano Prof. David Bloch, morto nel 2010. “I nazisti volevano presentare un’illusione [di normalità] e hanno addirittura incoraggiato i musicisti a Theresienstadt a comporre e suonare, sotto stretta censura”, racconta Lotoro. “Mi sono recato a Praga, ma lì ho capito che il mio viaggio era solo al suo inizio. Ho continuato verso i campi di sterminio, Auschwitz, i musei, le biblioteche, i conservatori e le università. Risulta che certe opere sono state portate in salvo anche da parenti. Ho indagato presso i superstiti, coloro che sono sopravvissuti ai campi e hanno trasmesso le opere”. Secondo Lotoro, negli anni Novanta riusciva a raggiungere dei superstiti vivi. Oggi si tratta di figli e nipoti che gli trasmettono scritti e note.
Da allora ha trovato non meno di 4000 opere scritte durante la Seconda Guerra Mondiale. “La ricerca è iniziata raccogliendo 407 opere di musicisti ebrei sterminati”, ricostruisce Lotoro. “Man mano che andavo avanti, ho cominciato a capire che si trattava di un patrimonio musicale incredibile, molto più grande. Fino al 2000 circa raccoglievo solo composizioni di ebrei, ma poi ho compreso che noi, da ebrei, non ricordiamo solo le ingiustizie subite da noi. Mediante la memoria delle persecuzioni e della Shoah, ricordiamo ingiustizie e tragedie di profondo significato umano. Perciò, ho iniziato a cercare anche opere di non ebrei”.
Questa impegnativa attività ha influito anche sulla vita personale di Lotoro, che vive nella cittadina di Barletta, nel sud d’Italia. Nel corso del suo lavoro, egli ha scoperto le radici ebraiche della sua famiglia ed il fatto che facesse parte della comunità di marrani provenienti dalla Spagna. Nel 2004 ha deciso di convertirsi all’ebraismo. “Col tempo, sono divenuto una fonte di nozioni, in una materia che non riesco più ad arginare. Mi sento in dovere, come uomo e come ebreo, di continuare a dedicare la mia vita a questo argomento”.
La pesante responsabilità che si è accollato trova espressione nell’aspetto del piccolo studio in cui lavora. Semplicemente affoga nel materiale, senza poterlo affrontare. “Qui ci sono migliaia di lettere, di negativi di fotografie, di foto, di interviste e di testimonianze che non ho la capacità di raccogliere come si dovrebbe” – non si vergogna di confessare. “Sarebbe doveroso mettere questi documenti su un computer, creare un archivio ordinato. Purtroppo, non ho i mezzi economici per farlo. Non ho neppure un’equipe di aiutanti o di assistenti. Di giorno studio pianoforte ed insegno, e le notti le dedico alla ricerca ed all’archiviazione”.
Se dipendesse da lui, trasferirebbe ad un ente o ad un’autorità israeliana tutti i tesori che ha raccolto nei lunghi anni di lavoro. “Queste opere non appartengono a me. Appartengono in primo luogo all’umanità ed al popolo ebraico. Se tutti questi dotati musicisti non fossero stati sterminati, molto probabilmente la cultura umana ed il mondo musicale del XX secolo si sarebbero sviluppati in modo diverso”.
Sono poche le sue aspettative da una qualche organizzazione o da persone private in Israele.
“In Israele mi è stato dato tanto appoggio personale, soprattutto da parte di amici e di musicisti che mi hanno sempre incoraggiato a continuare a raccogliere informazioni, ma mai da un ente ufficiale. Vorrei che il mio archivio facesse l’aliyà in Israele. Ma, se non si troverà chi prenderà a cuore questo patrimonio, forse lo donerò al Comune, qui in Italia, perché ospiti in un sito apposito gli scritti che ho trovato”.
Malgrado siano passati quasi 70 anni dalla fine della Guerra, l’opera di Lotoro continua ininterrottamente. “Io inseguo collezionisti che conservano spartiti rari, che possono costare dai 60 ai 400 euro. Tento di procurarmi finanziamenti per viaggi in Polonia, per spedizioni postali, ma non ci riesco. Credo che continuare questa ricerca debba essere considerato come un comando divino”. Il grosso timore di Francesco è che il lento ritmo del suo lavoro possa tenerlo lontano da altre opere che non ha ancora conosciuto.
“Le opere che ho raccolto indicano che, in quegli anni, la musica si sviluppava su due canali” – racconta Lotoro, riassumendo il frutto della sua ricerca – “C’era la musica che veniva scritta apertamente nel ‘mondo libero’, e che i nazisti ed i loro collaboratori incoraggiavano ed apprezzavano. E c’era la musica clandestina, scritta da carcerati: Victor Ullmann, Pavel Haas, Gideon Klein, Hans Krasa – tutti compositori pionieri di un linguaggio musicale molto avanzato. Malgrado fossero distaccati dallo sviluppo della musica ‘libera’, hanno composto delle opere uniche, sorprendenti, toccanti. Hanno perfino scritto esplicitamente, come risulta dalle affermazioni di Victor Ullmann: ‘non siamo rimasti seduti a piangere sulle sponde dei fiumi della Babilonia. Non ci siamo chiusi nel lutto, abbiamo cantato, abbiamo vissuto!’. Questo era il loro messaggio. Pur avendo perso la vita nella camere a gas ad Auschwitz, Ullmann non vedeva il futuro del popolo ebraico come quello di un popolo in estinzione, bensì un popolo che sarebbe sopravvissuto, malgrado l’orribile tragedia della quale era testimone”.
Lotoro precisa che l’inseguimento della musica è per lui prioritario rispetto alla storia personale dei compositori, ma ammette che le due cose siano inseparabili. “Ciò che mi ha sempre guidato, il mio vero interesse, è la musica. E’ chiaro che sia doveroso capire dove è stata scritta ed in quali circostanze. Forse questa musica non è sostanzialmente diversa da quella di Chopin o di Beethoven, ma, contrariamente alle loro opere, se ne devono comprendere le circostanze, il prezzo che i compositori hanno dovuto pagare per comporre la loro musica”.
Francesco non riesce a scegliere l’opera più importante tra quelle che ha scoperto, ma una gli è rimasta particolarmente impressa. “Ho trovato nell’archivio del settimanale italiano L’Espresso una canzone d’amore resa nota nell’aprile del 1960 e scritta da un ebreo sconosciuto. Nella canzone, egli descriveva il suo amore per Celeste Stella Di Porto, una giovane ebrea, e la vendetta che pretendeva per chi lo aveva scoperto e portato al suo arresto a Roma, prima di essere mandato ad Auschwitz”. Nonostante le parole siano rimaste, la musica non è stata conservata e non è mai stata trovata. “Per anni, passavo per le vie del ghetto ebraico a Roma e cercavo ebrei sopravvissuti alla Shoah, chiedendo loro se conoscevano questa canzone. Una volta ho perfino trovato un’anziana signora che aveva acconsentito a cantarmela, ma poi si è pentita. Finché un giorno, il mio amico Cesare Sonnino mi ha chiamato da Roma per dirmi che sua madre, Ester, ricordava benissimo la musica della canzone. Me l’ha passata al telefono e lei me l’ha cantata tutta per ben quattro volte, senza avere davanti il testo. Non posso descrivere quanto grande è stata la mia commozione!”.
(Ufficio Stampa dell’ambasciata d’Italia a Tel Aviv)
Sono sempre stata convinta che ci sono persone che si scelgono una missione, e missioni che si scelgono una persona: Francesco Lotoro direi proprio che è stato scelto, e non ha potuto fare altro che rispondere, come Abramo, hinnenì, eccomi (e i miei più vivi complimenti alla missione, che davvero non avrebbe potuto scegliere una persona migliore e più adatta).
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barbara
queste foto, intendo, allora guardate questo:
(Nota per chi non se la cavasse troppo bene col francese: verso la fine l’istruttore dice “noi abbiamo piantato nel cuore l’odio per il nemico”. La base dell’educazione dell’infanzia è questa)
barbara
Il nuovo Arab Idol palestinese, un “eroe” – insieme ai terroristi
Un editoriale di Ma’an celebra il nuovo Arab Idol, il palestinese Mohammed Assaf, che ha vinto il premio indossando una kefiah.
L’autore, Firas Attieh Tirawi, si riferisce ad Assaf come un “eroe” e lo paragona ad altri “eroi palestinesi”, come Yasser Arafat, Abu Jihad e Abu Iyad e Abdul Qader Husseini, Faisal Husseini e Ahmed Shuqairi e Fathi Shikaki (fondatore della Jihad islamica) e Abdel Aziz al-Rantissi e Ahmed Yassin (co-fondatori di Hamas), Abu Ali Mustafa (FPLP), e George Habash (PFLP).
L’articolo si riferisce anche al canto di Assaf di “ritorno” in Palestina dal fiume al mare, espellendo gli ebrei da Haifa e Acco e Giaffa nonché Gerusalemme.
Intanto l’UNRWA ha nominato Assaf – il cantante che ha gareggiato con canzoni che sostengono la distruzione di Israele – a suo primo “ambasciatore”.
Primo palestinese a vincere Arab Idol, Assaf è nato da genitori profughi palestinesi in Libia. È tornato nella Striscia di Gaza con la sua famiglia all’età di 4 anni ed è cresciuto in gran parte nel campo profughi di Khan Younis. Si è descritto come un “figlio della Palestina” e un “figlio dell’UNRWA”: sua madre è un’insegnante dell’UNRWA, e lui stesso è stato educato in scuole dell’UNRWA.
Il che significa che non ha alcuna ragione di avere lo status di rifugiato – la sua famiglia si è trasferita in piena libertà al territorio della “Palestina”, che è dove è cresciuto.
L’UNRWA, naturalmente, è d’accordo con Assaf che lo Stato ebraico deve essere distrutto con il “ritorno” di milioni di profughi falsi come la famiglia di Assaf. Ed è stato documentato che le scuole dell’UNRWA di Gaza in cui Assaf è cresciuto insegnano le glorie del jihad e il martirio. (qui, traduzione mia)
Eccolo qui, dunque, il ragazzotto belloccio per il quale Google dà 127 milioni di risultati, che vuole portare al mondo “la giusta causa palestinese”, che in miliardi di interviste racconta il dramma dell’occupazione (sì, noi lo sappiamo che la “sua” Gaza non è occupata da otto anni, ma a lui non l’hanno ancora detto; sappiamo anche che è Israele ad essere assediata dalle migliaia di missili sparati dalla “sua” Gaza, ma a lui non hanno detto neanche questo, povero caro). D’altra parte lo sappiamo da sempre, che il jihad si combatte con qualunque arma disponibile: lui lo fa con la sua faccia di bronzo, e nessuno se ne stupisce. Non ci si stupisce, a dire il vero, neanche l’aperto appoggio (coi nostri soldi) dell’UNRWA al terrorismo. Ma almeno un pelino indignati, abbiamo il diritto di esserlo?
barbara
Andiamo a Tel Aviv?
barbara
Al supermercato ho trovato una cosa che non c’era mai stata prima: un nuovo snack. Sul sacchetto c’è scritto: “GUSTOSO SNACK AllA Cipolla Non Fritto & Senza Glutine 50% DI GRASSI IN MENO”. La domanda è quella che dà il titolo al post: meno di cosa? Poi mi sono accorta che dopo “meno” c’è un asterisco, e in fondo al sacchetto si trova il richiamo: “*rispetto ai tradizionali snacks estrusi”. Ora, io non so che cosa sia uno snack estruso, lo ammetto, il mio campo di conoscenze è di una grandezza da vertigine, ma poi arriva il momento che finisce, e gli snack estrusi si trovano al di là del campo, non proprio là dove campeggia la scritta hic sunt leones, perché una qualche idea sul significato di estrudere tutto sommato ce l’ho, e poi c’è, notoriamente, quello che Gadda chiama l’estruso, ossia il prodotto dell’ultimo atto del processo digestivo, il che concorda con l’idea che ho io di estrudere, e quindi il termine in sé proprio arabo non è, ma gli snack estrusi proprio non ho idea di che cosa siano (a meno che, in accordo con Gadda, non si voglia significare che tutti gli altri sono degli snack di merda, ma per quante oscenità la pubblicità continui a propinarci – ricordo ancora con orrore e raccapriccio un video con la pubblicità di un rasoio per la depilazione “intima” in cui una squadra di gallinelle su un prato maneggiano abilmente dei tosaerba cantando allegramente in coro “rasa il pratino, rasa il pratino”, brrrrrr! (qui, per i più masochisti, giusto per documentare che non sto esagerando a parlare di raccapriccio) – per quante oscenità continuino a propinarci, dicevo, sarei un pelino restia a credere che siano arrivati a questo punto, anche perché dalla concorrenza si beccherebbero una tale vagonata di denunce da restare in ginocchio). E dunque sono andata a chiedere aiuto al solito san Google, che mi ha raccontato storie di metalli e plastiche che, anche trascurando la trascurabile questione della commestibilità, non mi risulta siano particolarmente ricchi di grassi – per non parlare poi del glutine. Restando invece in campo alimentare, e in quello degli snack noti, credo siano intensamente tradizionali i mini brezl che, pur non essendo esperta in materia, per cui prendete pure le mie affermazioni in merito con un prudente grano di sale, non mi sentirei di dire che siano propriamente delle bombe caloriche, delle badilate di colesterolo e via grasseggiando. E insomma, in conclusione, non sono riuscita a sapere meno di cosa.
Il fatto è che la gente – e i pubblicitari lo sanno – molto spesso legge ma non si preoccupa minimamente di interrogarsi su ciò che sta leggendo, e così succede, per dirne una, che un’acqua minerale venga reclamizzata con l’annotazione che “contiene 0% di grassi” (grazie al cazzo, mi verrebbe da dire se fossi usa al linguaggio scurrile), e nessuno li manda a produrre estrusi. Oppure legge che Israele è uno stato di apartheid e si precipita a protestare manifestare boicottare, evitando accuratamente di connettere quanto letto con le informazioni tratte da altre letture, per esempio quella sul giudice (presidente di tribunale) arabo che ha condannato alla galera il presidente ebreo israeliano dello stato di Israele (e quello ci è andato, in galera, perché quella è Israele, mica l’Italia), o quella della miss Israele araba, o della vincitrice di Voice of Israel araba, o degli arabi in parlamento (quanti negri c’erano nel parlamento sudafricano?). Eccetera. Oppure legge di Gaza afflitta dal black out provocato dall’infame embargo israeliano e si indigna per questi provvedimenti nazisti, trascurando di guardare mezzo metro più in là. O legge delle terrificanti carneficine eseguite dai malefici soldati israeliani e grida al genocidio, senza neppure accorgersi che qualche morto, stufo di stare lì a fare il morto, ha pensato bene di tirarsi su a sedere. Che mondo di estrusione, ragazzi!
barbara
E con la chiusura delle scuole si pone il problema di sempre: dove mettiamo i bambini? Per almeno una parte, come vi ho mostrato qualche giorno fa, le sistemazioni ci sono – almeno fin che dura – ma non tutti hanno questi bellissimi parchi giochi nelle vicinanze; poi probabilmente per entrare ci sarà un biglietto da pagare, e magari non tutti, specialmente se hanno molti figli, se lo possono permettere. E allora? Niente paura: ci pensa quella prestigiosa istituzione benefica che conosciamo col nome di Hamas:
(fonti: uno, due, tre, quattro, e poi andate a leggere qui).
E le istituzioni? – direte voi – Le organizzazioni umanitarie? Gli enti a difesa dell’infanzia? Ecco, se andate qui – i miei lettori più vecchi lo conoscono già, e forse anche lo ricordano, ma quelli più recenti magari no – potrete averne un’idea (le foto non sono più visibili perché il cannocchiale ormai è completamente andato a signorine allegre, ma chi gira da queste parti e altre analoghe ne ha già viste a bizzeffe dello stesso tipo).
barbara