Quando ho letto il suo primo libro, Ogni cosa è illuminata, non ho gridato al capolavoro. Libro indubbiamente pregevole, soprattutto per l’esilarante inglese maccheronico della guida-interprete, che traduce letteralmente, parola per parola, dall’ucraino (e magistralmente reso dal traduttore italiano Massimo Bocchiola), come il “ogni cosa è illuminata, che dà il titolo al libro, e che significa semplicemente “tutto chiaro”. Carino, simpatico, ma niente di eccezionale, a mio avviso. Quest’altro invece sì che lo è, eccezionale (e verrebbe da pensare che abbia anche preso qualche lezione dalla moglie), in questa storia che ruota intorno all’11 settembre e a una chiave. E poi anche al telefono. O meglio, a un telefono, ossia a quel telefono, per la precisione. E il bambino che batte sistematicamente tutta New York in cerca di un indizio e forse anche di un perdono. E la mamma che sembra che non c’entri ma poi invece forse sì che c’entra. E lettere, tante tante lettere, e fogli bianchi, e Dresda e Hiroshima e i campi di sterminio e il sesto distretto e un figlio che doveva nascere e non è nato e un figlio che non doveva nascere ed è nato e il nonno che non c’è ma invece c’è e la nonna che forse vede male ma forse no e la bara vuota e l’autista delle pompe funebri e il cimitero di notte… E tutto per via di un vaso azzurro che cade e va in pezzi. Sembrerebbe scritto da un uomo vissuto mille anni e passato attraverso la guerra e la fine della guerra e la gioia e il dolore e la speranza e la disperazione e l’amore e la fine dell’amore e la vita e la morte e la parola e il silenzio. Sapere che tutto questo è stato prodotto da un ragazzino di neanche trent’anni ha davvero del miracoloso.
Jonathan Safran Foer, Molto forte incredibilmente vicino, Guanda
barbara
È nella mia top ten. Foer non aveva scritto e non ha più scritto a questo livello, ma rimane un grande mago delle storie…
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E creare storie e saperle raccontare non è da tutti.
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