DI PERSONA

Per una volta, il riconoscimento è arrivato in tempo.

Qui Firenze – Elena e Vittoria tra i Giusti

Due nuovi nomi arricchiscono il libro dei Giusti tra le Nazioni onorati dallo Yad Vashem: Vittoria Valacchi e sua zia Elena Cecchini. Entrambe fiorentine, aiutarono la famiglia Salmon (padre, madre, tre figli) a mettersi in salvo dai rastrellamenti ospitando l’intero nucleo familiare in una casa di loro proprietà nel comune di Samprugnano. Una storia di coraggio onorata ieri in sinagoga a Firenze con una presenza forse irripetibile in futuro: la presenza di un Giusto, la signora Valacchi, che a 98 anni ha ricevuto personalmente il massimo riconoscimento conferito dallo Stato di Israele a chi oppose la luce al buio della Shoah. Un’iniziativa svoltasi non a caso nelle ore in cui si celebrava la conclusione della festa di Chanukkah, la festa delle luci per antonomasia. È stato proprio questo il messaggio che la Comunità ebraica, nella figura del suo presidente Sara Cividalli, ha voluto mandare a pochi giorni dall’analoga cerimonia svoltasi in memoria del “Giusto” Gino Bartali. Ad intervenire anche rav Joseph Levi, rabbino capo di Firenze. Il riconoscimento è stato consegnato da da Sara Gilad, prima assistente per gli affari pubblici e politici dell’Ambasciata d’Israele a Roma. Clicca qui per leggere la testimonianza di Paolo Salmon, pubblicata su Italia Ebraica di dicembre e riproposta ieri dal quotidiano fiorentino La Nazione in un articolo a firma di Roberto Davide Papini.

Il Bene che vince

Dopo una lunghissima attesa di decenni, ieri, a Firenze, è stata finalmente consegnata alla signora Vittoria Valacchi e alla memoria della signora Elena Cecchini l’onorificenza dello Yad Vashem di “Giusto tra le Nazioni”. È stato, infatti, grazie al coraggio di queste due donne e di molte altre persone “qualunque” che la famiglia dei miei nonni, con mio papà, le mie due zie e il mio bisnonno, è interamente sopravvissuta alle persecuzioni naziste, trovando asilo in un nascondiglio della campagna toscana predisposto per loro; questa famiglia ebraica con tre bambini, braccata, umiliata, affamata e spaventata, veniva costantemente rifornita non solo di cibo, ma di quelle premure che, in quelle circostanze, equivalevano a un vitale balsamo morale. Inoltre, il beneficio immenso di quel “banale eroismo”, protrattosi per mesi, dal novembre 1943 all’agosto 1944, non si è mai esaurito, poiché ha continuato ad agire anche nei decenni a venire. È stato proprio grazie alle gesta quotidiane di queste due donne “qualunque” che i ricordi dei miei cari su quell’epoca mostruosa, negli innumerevoli racconti che ho sentito fin da bambina, sono sempre stati illuminati da un quasi assoluto “dominio del Bene”. E quando (spesso) mi capitava di obiettare e di pretendere, nelle discussioni familiari, che si smascherassero il collaborazionismo, la viltà, la slealtà, la meschinità di tanti altri italiani, era come se incontrassi una specie di “sordità”, un “muro”. I nonni, e ancora oggi mio papà e le mie zie, hanno sempre e solo ripetuto ostinatamente: “dobbiamo la vita a persone buone”. Quanto mi arrabbiavo, da ragazza, a vedere quella reazione, pensando alle famiglie che invece erano state tradite o abbandonate, emarginate o condannate a morte da denunce e spiate! Ci ho messo anni a capire (e con fatica) che chi ha vissuto un’esperienza così intensa del Bene finisce col consentire che quel Bene “dei pochi” si espanda fino a sovrastare del tutto il ricordo del male “dei tanti”. E ora che, invecchiando, sono un po’ più capace di “ascoltare”, ho intuito che proprio in questo deve celarsi il senso del suggestivo detto ebraico “chi salva una vita, salva il mondo intero”. Elena e Vittoria non solo hanno salvato la famiglia di mio padre, ma hanno lasciato in eredità a noi figli e nipoti quello che si è rivelato un autonomo, fenomenale riferimento etico: la gratitudine.

Laura Salmon, slavista

E meno male che, tra tante brutture che vediamo intorno a noi, si intravede anche qualche spiraglio di luce (NOTA: entrambi i brani sono presi da Moked).
Vittoria Valacchi
barbara

CRONACHE MARZIANE

Ossia la cronaca, in 28 racconti, della colonizzazione del pianeta Marte da parte dei terrestri. La fantascienza non è mai stata fra le mie passioni, e neppure fra i miei più vaghi interessi, ma quando un’opera è un capolavoro, qualunque sia l’etichetta che ragioni di mercato le vogliono imporre, si sottrae ad ogni definizione, ad ogni inquadramento per assurgere alle vette più alte dell’arte. E quest’opera del grande Ray Bradbury, più che romanzo, o serie di racconti, a me sembra un grande poema. E non troverei fuori luogo neppure l’aggiunta dell’aggettivo “epico”. Con dentro tutto ciò che di un poema epico fa la grandezza: le umane passioni e le umane debolezze, l’amore e la follia, il coraggio e la paura, la speranza e la disperazione, l’eroismo e la viltà, la violenza e il rifiuto della violenza. Un’opera forse addirittura superiore persino al mitico Farenheit 451, ancora straordinariamente fresca a oltre mezzo secolo dalla sua prima uscita.

Ray Bradbury, Cronache marziane, Oscar Mondadori
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barbara