Questa è Gaza.
E questo è un angolo della terrazza da cui ho scattato la foto.
Alzando la testa si può vedere un aerostato: è lui che segnala i missili nel momento in cui vengono lanciati; dal momento in cui partono, e scatta l’allarme a quello in cui arrivano, a questa distanza, passano quindici secondi. Lo sappiamo tutti, lo abbiamo letto, ne abbiamo visto i devastanti effetti, ma vedere a occhio nudo da dove partono i missili che in quindici secondi ti arrivano sulla testa, è diverso. Molto diverso.
Durante la guerra d’indipendenza del 1948 questo piccolissimo insediamento
era ovviamente in prima linea (ma, come abbiamo appena visto, non è che da allora sia cambiato molto)
E priorità assoluta dei nemici d’Israele, allora come oggi, era quella di privarli dell’acqua.
A poca distanza da qui c’è il kibbuz di Ruchama. Arrivandoci, dall’altra parte della strada, si trova questo:
lo hanno dovuto costruire perché i tiri verso le case all’interno del kibbuz stavano diventando sempre più precisi. È stato qui che nell’aprile del 2011 un missile teleguidato da 280.000 dollari (giusto per non dimenticarci che lì, in quella prigione a cielo aperto, in quel campo di concentramento in cui, a causa del feroce embargo israeliano, sta andando in scena l’olocausto palestinese, si muore letteralmente di fame) ha centrato un autobus che riportava a casa gli scolari; una trentina di ragazzi erano scesi alla fermata prima, ma almeno uno, Daniel Wiplich, sono riusciti a ucciderlo.
Nel frattempo, sull’altra frontiera di Israele, succede questo.
barbara