LE IDEE CONFUSE DI EUGENIO SCALFARI

La ‘Legge mosaica’ e le cantonate

Questo blog non si occupa di questioni teologiche; non lo hai mai fatto finora e dubito fortemente che potrà farlo in futuro. Accade tuttavia, occasionalmente, che si occupi di imbecilli, e accade, occasionalmente, che qualche imbecille si occupi di questioni teologiche. Ed è così che oggi mi ritrovo ad occuparmi del signor Eugenio Scalfari, ateo convinto e militante da una vita, che improvvisamente ha preso a impancarsi a maestro di questioni religiose. E succede ciò che è inevitabile succeda quando qualcuno si addentra in un campo che gli è totalmente sconosciuto e pretende di dare lezioni su argomenti nei quali è ignorante come una capra – con tutto il rispetto per le dolci caprette, tanto utili all’umanità.
Per documentare l’ampiezza dell’ignoranza e dell’imbecillità del signor Scalfari, lascio la parola al rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni.

I ripetuti riferimenti di Eugenio Scalfari alla “legge mosaica” nei suoi articoli di questi giorni mostrano evidenti errori e distorsioni che non possono essere lasciati senza risposta. Qui di seguito un’analisi delle sue parole (riportate in neretto).

La legge mosaica condensata nei dieci comandamenti ordina e impone divieti. Non contempla diritti, non prevede libertà. Il Dio mosaico descrive anzitutto se stesso: “Onora il tuo Dio, non nominare il nome di Dio invano, non avrai altro Dio fuori di me”. Poi, per analogia, ordina di onorare il padre e la madre.
Bisogna prima di tutto precisare che l’uso corrente del termine “legge” deriva dalla versione greca della parola Torà, tradotta come nomos, e di qui “legge”. Ma Torah significa “insegnamento” ed è un concetto ben più vasto della legge, anche se la Torah contiene la legge.
I dieci comandamenti (che nell’originale ebraico non sono “comandamenti” ma “parole”) sono un condensato della “legge” solo in un certo senso. Per gli ebrei tutta la Torah è sacra e condensarla nelle dieci parole è riduttivo e selettivo. La selezione l’ha fatta la tradizione cristiana in coerenza con le sue scelte, non quella ebraica.
Le dieci parole iniziano con la frase “Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi”. È con queste parole e non con altre (inventate) che il “Dio mosaico” descrive anzitutto sé stesso, e non è un condensato della “legge” ma una proclamazione di libertà.
“Onora il tuo Dio” infatti non è scritto nelle dieci parole. È invece ordinato di onorare i genitori. E non è certo un difetto, è un fondamento della civiltà; e fa parte della visione religiosa dell’ebraismo trasportare il divino nell’umano.
Nella legge mosaica non compare la parola “diritto”, ma solo i doveri, di fare e di non fare. È una scelta sorprendente per chi è abituato a parlare solo dei diritti come fondamento della legge. Ma tutto questo non vuol dire affatto che la legge non contempli diritti. Il diritto è implicito nel dovere. Garantire i diritti con la forza dei divieti. Il diritto alla vita è implicito nel divieto di uccidere (perché l’uomo è immagine divina, Gen. 9:6), il diritto alla proprietà nel divieto di rubare, il diritto al riposo settimanale è implicito nella legge del Sabato, il diritto del lavoratore al compenso tempestivo è implicito nel divieto di trattenere la paga (Lev. 19:13) e avanti con tanti altri esempi. La storia dell’umanità alla ricerca dei diritti è profondamente debitrice alla “legge mosaica”, anche se se lo dimentica o esprime i diritti con un linguaggio differente. Rav Sacks ha scritto che le dichiarazioni fondamentali che sanciscono i diritti degli uomini parlano “con accento ebraico”.

Infine si apre il capitolo dei divieti, dei peccati e delle colpe che quelle trasgressioni comportano: “Non rubare, non commettere atti impuri, non desiderare la donna d’altri (attenzione: il divieto è imposto al maschio non alla femmina perché la femmina è più vicina alla natura animale e perciò la legge mosaica riguarda gli uomini)”.
Non si può giudicare la religione ebraica con il semplice confronto con il cristianesimo. Il fatto di essere religione non significa che le religioni siano uguali. L’esperienza religiosa ebraica si occupa anche di organizzare la società con la legge, così come ogni società si fonda sulla legge.
È vero che il testo parla al maschile. Ma questo non vuol dire che le leggi riguardino solo gli uomini e che alle donne sia lecito uccidere, rubare, mancare di rispetto ai genitori (tra cui c’è anche la madre, di sesso femminile) e così via. Nell’adulterio la pena è esplicitamente per adultero e adultera (Lev. 20:20).
Il linguaggio biblico è “sessista”; ma la critica al linguaggio sessista è una novità recentissima. Persino nelle opere aggiornate degli antropologi culturali che dovrebbero essere i più egualitari si usa un linguaggio sessista; per esempio nella descrizione degli incesti, partendo da quanto è proibito ad un uomo e non a una donna.
Veramente ardua la conclusione che la femmina sia più vicina alla natura animale (ammesso che l’animalità sia un difetto). Sembra più un’invasione di cultura greca o comunque di cultura non ebraica, che un concetto biblico. La prima donna, Eva, viene creata dalla “costola” di Adamo, che invece era stato creato dalla terra. Difficile pensare che sia considerata vicina all’animale la matriarca Sara, alle cui istruzioni il marito Abramo è obbligato ad attenersi (Gen. 21:12), e vicine agli animali le levatrici che disobbediscono al Faraone o la misericordiosa figlia del Faraone che salva Mosè e così via per tanti esempi.

Il Dio mosaico è un giudice e al tempo stesso un esecutore della giustizia. Almeno da questo punto di vista non somiglia affatto all’ebreo Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe della stirpe di David. Non contempla alcun Figlio il Dio mosaico; non esiste neppure il più vago accenno alla Trinità. Il Messia – che ancora non è arrivato per gli ebrei – non è il Figlio ma un Messaggero che verrà a preannunciare il regno dei giusti. Né esistono sacramenti né i sacerdoti che li amministrano. Quel Dio è unico, è giudice, è vendicatore ed è anche, ma assai raramente, misericordioso, ammesso che si possa definire chi premia l’uomo suo servo se e quando ha eseguito la sua legge.
In questo brano esplode con tutta la sua forza l’antica dottrina oppositoria che è stata la bandiera dell’antigiudaismo cristiano per secoli. Il Dio vendicatore opposto a Gesù di Nazareth. Questa dottrina ha un nome preciso, marcionismo, dall’eretico Marcione che ne fece uno dei cardini del suo insegnamento. Marcione fu condannato dalla Chiesa, ma l’opposizione da lui drammatizzata tra due divinità fu recepita e trasmessa. Solo da pochi decenni la Chiesa se ne distacca ufficialmente, riconoscendola non solo come errore, ma anche come strumento illecito di predicazione di antagonismo e di odio.  Ma chi ha studiato o forse solo ascoltato certi concetti in una lontana età giovanile, e non ha avuto l’interesse a rimetterli in discussione, ripropone in forma volgare e trita le antiche idee.
Che sono sbagliate perché il Dio della Bibbia ebraica (per non parlare di quello della tradizione rabbinica) è giustizia e amore, come possono attestare numerose fonti che non c’è spazio qui per citare. È il Dio misericordioso (Es. 34:6) che perdona i suoi servi (sì, servi suoi, ma solo di lui e per questo liberi, servi di nessun uomo!) proprio quando non hanno eseguito la sua legge. Nulla avrebbe senso nell’ebraismo senza il perdono. Il Signore della legge mosaica non ricorda i peccati di gioventù (Salmo 25:7) e di questo anche chi ha scritto evocando fantasmi antigiudaici dovrebbe essere grato.
Che poi Gesù di Nazareth sia solo amore e non giustizia, in una melensa rappresentazione di comodo buonismo imperante, è tutto da dimostrare.
Il marcionismo qui rispolverato in un’affrettata esposizione parateologica è in altri contesti ancora più pericoloso. È stato ed è la chiave di interpretazione della politica israeliana, che è cattiva e vendicatrice per definizione, appunto perché viziata dalla macchia ancestrale della religione che la esprime. Quando il giudizio va oltre la politica partendo da un pregiudizio religioso introiettato anche da chi si dichiara laico, i risultati sono disastrosi. Proprio nel giornale diretto da Scalfari non sono mancati testi e titoli (“la vendetta di Israele”) ispirati a questi concetti.

Nei secoli che seguirono, fino all’editto di Costantino che riconobbe l’ufficialità del culto cristiano, il popolo che aveva seguito Gesù offrì martiri alla verità della fede, fondò comunità, predicò amore verso Dio e soprattutto verso Cristo che trasferì quell’amore alle creature umane affinché lo scambiassero con il loro prossimo. Nacquero così l’agape, la carità e l’esortazione evangelica “ama il tuo prossimo come te stesso”.
Questo è il Dio che predicò Gesù e che troviamo nei Vangeli e negli Atti degli apostoli. Un Dio estremamente misericordioso che si manifestò con l’amore e il perdono.
Il popolo ebraico non ricorda in verità molti esempi di amore e perdono nei suoi confronti da parte delle comunità che in Gesù si riconoscevano.
L’esortazione evangelica “ama il tuo prossimo come te stesso” è anche evangelica ma viene dalla legge mosaica, Levitico 19:18.
In conclusione: gli errori citati non sono la simpatica confusione di una rispettabile tarda età, ma vengono da molto lontano, nella biografia dell’autore e in una lunga storia di opposizione e disinformazione teologica.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma 

Ora, se non fosse che sono stata ripetutamente richiamata per il mio troppo frequente ricorso al turpiloquio, mi verrebbe una gran voglia di scrivere che il signor Scalfari è abituato da sempre a dire delle grandissime coglionate, ma poiché non voglio scontentare ulteriormente i miei lettori, eviterò eroicamente di scrivere che il signor Scalfari è abituato da sempre a dire delle grandissime coglionate, e mi accontenterò di dire che è una grandissima testa di calamaretto marinato. E concludo questa mia brevissima nota alle puntualizzazioni di rav Di Segni con una canzone del grande Guccini, che sembra proprio confezionata su misura (cioè, proprio proprio su misura no: diciamo che ne è un significativo, anche se non esaustivo, riassunto) per il signor Scalfari.

barbara

Una risposta

  1. son sempre mobili le grandi parole di quest’uomo di cul-tura profonda,che si evince dalla significativa piega centrale che da al suo esimio volto quella caratteristica espressione “da cù”,sia un esponente di spicco delle abiezioni morali fatte monumento.
    abbastanza edulcorato?

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  2. Naturalmente la tentazione è attribuire le coglionate all’età avanzata. E certamente l’età avrà un ruolo. Però l’abitudine di sparare cazzate come se stesse dicendo la parola definitiva Scalfari l’ha sempre avuta. Vedere, per esempio, qui: http://topgonzo.ilcannocchiale.it/2007/01/12/ma_il_fesso_naturalmente_non_e.html
    Di converso, i suoi ammiratori hanno sempre usato, e continuano a usare, l’aggettivo “lucido”. Vero che gli ammiratori stanno diminuendo.

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      • Io a dire la verità li trovo orridi, mummie ripugnanti dentro e fuori. E questa canzone qui è di una noia mortale! Decisamente meglio questa allora:

        (Sì, ok, batterista e chitarrista appaiono alquanto “stupefatti”, ma insomma non si può avere tutto dalla vita)

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    • Infatti anche rav Di Segni tiene a precisare che gli errori citati non sono la simpatica confusione di una rispettabile tarda età; diciamo che (credo di averlo già citato in passato, e proprio in riferimento a Scalfari) vale per lui quello che Mussolini ha detto una volta di De Bono: “E’ un vecchio rincoglionito. Non perché è vecchio, ma perché rincoglionito lo è sempre stato, e adesso in più è anche vecchio”.
      Ricordavo quella vostra straordinaria chicca, e vedo che anche allora avevo associato il personaggio e le sue giravolte politiche a questa canzone.

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  3. Lessi da qualche parte (quotidiano o quotidiano on line) che Scalfari riporta le interviste, cioè durante le interviste non prende appunti e non registra, lui ascolta, poi trascrive tutto così come lo ricorda. L’articolo si riferiva al “dialogo” di Scalfari con papa Bergoglio e poiché Scalfari aveva riferito frasi e parole del papa un po’, come dire, originali, l’autore paventava una rivisitazione dell’intervistatore, dovuta appunto all’abitudine di Scalfari di trascrivere le interviste in differita. E’ molto probabile quindi che abbia familiarità con teologi ubriachi cui applica poi il metodo della trascrittura in differita.

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    • Guarda, da uno come scalfari io mi aspetto di tutto, però le cose che attribuisce alla “legge mosaica”, più che trascrizioni in differita di colloqui con teologi ebrei ubriachi sembrano proprio parti della fantasia scalfariana da sobrio, cioè al naturale.

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