Degania è stato il primo kibbuz, sorto nel 1909 sulla riva sud del lago di Tiberiade (alias mare di Galilea, alias Kinneret, da kinor, cetra, a causa della sua forma);
per la precisione, incuneato fra il lago e il fiume Giordano che ne esce.
Erano stati dodici giovani, dieci uomini e due donne,
a farlo sorgere dal nulla – come quasi tutto, in Terra d’Israele, è sorto dal nulla.
Il suo nome deriva dall’ebraico dagan, grano, ossia la coltivazione su cui si sarebbe dovuto basare
(oggi la coltivazione è molto più variegata). Quando la terra fu acquistata (sì, la terra coltivata dai pionieri ebrei è stata TUTTA acquistata, e regolarmente pagata. Pagata a peso d’oro, per la precisione, anche se erano deserti e paludi e pietraie, clic e clic), il contratto fu firmato – come di consueto all’epoca – dai dieci uomini, ma non dalle donne, che protestarono vigorosamente per questa inaccettabile discriminazione nei confronti di chi, con quegli uomini, divideva equamente fatiche e difficoltà e responsabilità. La cosa singolare è che mentre da noi le femministe lottavano per avere accesso agli stessi diritti degli uomini, le donne in Terra d’Israele lottavano per avere accesso agli stessi doveri degli uomini.
E il kibbuz – che ha la caratteristica unica di non avere mai avuto un dormitorio per i bambini: i bambini hanno sempre dormito con le proprie famiglie – cominciò a prendere forma;
una delle prime cose ad essere costruite, per la ferma volontà di una delle due donne, Miriam, fu la stalla,
che partì con tre mucche che poi diventarono tredici. Il primo bambino nato nel kibbuz fu Gideon Baratz, figlio di Joseph e di Miriam Ostrovsky, nel maggio del 1913; il secondo, esattamente due anni dopo, fu Moshe Dayan, figlio di Shmuel e di Devorah Zatolowsky, che negli anni Sessanta fu definito l’uomo più sexy del mondo.
Degania alef (nel 1920 fu fondato il kibbuz “gemello” Degania bet) è molto piccolo, ma è un autentico gioiello (Israele è piena di autentici gioielli, in effetti).
barbara
Gioiello, sì. Un’altra vita, un altro criterio.
Io continuo a chiedermi ogni giorno della mia vita che ci sto a fare qui: magari uno scopo c’è, Dio è grande, magari anch’io sto svolgendo la mia missione, hai visto mai?
Un abbraccio.
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O magari ci tornerai, prima o poi.
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Se ci tornassi, cara Barbara, ci tornerei da analfabeta, è questo che mi pesa. Avere imparato la lingua a diciotto anni, che avevo quando sono andata là, impararla all’università, come l’ho imparata io, non è la stessa cosa che impararla il minimo necessario per sopravvivere e per fare la spesa al supermercato. Poi, lo sai, mia figlia non ha il mio stesso sacro fuoco per quanto riguarda Israele…
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Intendi dire che prevedi di avere tua figlia sulle spalle fino alla fine dei tuoi giorni?
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Beh, me lo auguro…
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PS: non si se Moshe Dayan fosse l’uomo più sexy del mondo, ma certo era un gran bel figo e il fascino non gli mancava!
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Mi ricordo ancora quando lo hanno detto alla televisione, e mia madre attacca a strepitare: “Cossa?! Chel bruto porco schifoso de un ebreo?!” In quel momento appare sullo schermo una sua immagine e quella tace un attimo e poi fa: “Embè… efetivamente…”
Tra l’altro nella foto che ho postato mi pare di vedere una certa somiglianza con Paul Newman (che mia madre non ha mai insultato perché non ha mai saputo che era ebreo)
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In effetti anch’io ho notato la somiglianza.
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Acquistata, dici? Questa è la dimostrazione che la lobby ebraico-occidentale, con i soldi, corrompe tutto e tutti, compresi ingenui e inermi arabi.
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E per fregarli ancora meglio gli pagavano una duna al prezzo di un intero grattacielo a Manhattan. Davvero non ci sono limiti all’efferatezza dei perfidi giudei.
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In kibbutz sono stata da volontaria.
Quando mi è capitato di immaginarmi una vita in Israele è proprio al kibbutz che ho pensato.
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Ah, ma questa è un’altra novità! Dovrai raccontare, prima o poi!
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in quel kibutz, devono essere stati anni grandiosi, pieni di stenti e fatiche ma nella certezza di costruiere una nazione con le proprie mani. Belle le foto di oggi, sembra di essere in toscana.
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Con la differenza che in Toscana non c’è stato un prima fatto di deserto… E’ la cosa che mi emoziona di più, in Israele: guardare tutto questo splendore e pensare che era tutto deserto.
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la cosa che più mi emoziona è il pensare al sudore, alla fatica, ai sacrifici, alla vita di stenti , però certi di costruire una comunità, una nazione, sentirsi parte di un progetto più grande
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E’ una cosa talmente immensa che mette i brividi.
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Mi emoziona, di questo luogo che non conosco, l’immaginare che la gente abbia una visione, un progetto e che questo progetto determini che un ebreo, ogni ebreo non sia più un sopravvissuto. Non alla shoah ma ad uno degli olocausti che avrebbe potuto subire.
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(e a me, certe volte, emozionano i tuoi commenti)
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Degania, degania … ma non è il kibbutz dove è nato Moshe Dayan, mi son detto ricordando quanto scriveva nella sua autobiografia “Story of my life”. Il libro l’avevo acquistato al Ben Gurion prima di rientrare a casa dal mio primo viaggio in Israele nel lontano 1984. Mi sa che è ormai tempo di riprendere il libro per una seconda, più avvincente, lettura. Quanto al mio prossimo viaggio in Israele … porta pazienza Gian … bisogna che prima te vai in pension … un miraggio.
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E’ la fregatura di chi è, anche se di poco, più giovane di me: più che un miraggio, è come l’orizzonte, più tu avanzi e più lui indietreggia. Ma tornarci bisogna, comunque.
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Poi comunque tu ci sei stato quasi un quarto di secolo prima di me: non lamentarti!
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