Purtroppo le conseguenze dell’incidente si sono rivelate molto più pesanti di quanto poteva sembrare all’inizio, e sono ancora abbastanza lontana dall’essermi ripresa. Oltre ai numerosi segni, evidenti e dolorosi, che l’incidente mi ha lasciato in tutto il corpo, i disturbi neurologici in particolare – oggettivamente confermati da una serie di test a cui ho cominciato a sottopormi, provocati dal danno cerebrale che secondo la neurologa, anche se non rilevato dagli strumenti diagnostici, indubbiamente c’è stato – sono piuttosto seri, e tali da impedirmi di svolgere una vita normale. Quindi, con la benedizione della fisioterapista e della neurologa, me ne vado per un po’, per cambiare aria, cambiare clima, cambiare ambiente, cambiare stagione, cambiare tutto. Le prossime due settimane sarò qui, e spero di tornare in condizioni migliori. E dato che fra le tante cose che l’incidente si è portato via, una almeno mi è rimasta, vi lascio con questa.
barbara
AGGIORNAMENTO: mi sono accorta che il link non funzionava, però Andrea mi pare che abbia visto le immagini del resort, quindi non so in quale momento si sia verificato lo sfasamento. Adesso comunque dovrebbe essere a posto.
Per il kibbutz Nir David (legato alla storia degli insediamenti “torre e palizzata” – magari un’altra volta ne parlerò) non posso fornire documentazione sul passato, di cui ho visto le immagini in un filmato che ci è stato mostrato. Il kibbutz si trova nella valle del Giordano, quindi non in zona desertica, ma non c’era neppure tantissimo, lì intorno. Quello che posso mostrare è l’insediamento originario
e ciò che vi è intorno oggi.
E che dire delle coltivazioni sulle rive del mar Morto? Qui non c’è neppure la sabbia, sulla quale è stata costruita Tel Aviv, coprendo interamente le dune con la terra e creandovi, oltre a tutto il resto, anche un parco con un lago e un fiume (clic per ingrandire)
Qui c’è solo sale: sale il fondo del mare, sale la spiaggia, sale ovunque. E tuttavia persino qui possiamo vedere coltivazioni.
Il metodo usato è quello del lavaggio del terreno: tutta la superficie viene inondata con potenti getti d’acqua in modo da spingere il sale in profondità. Il terreno rimane ugualmente salato, ma non in misura tale da essere incompatibile con la coltivazione; anzi, i frutti, per reazione al sale che trovano nel terreno, producono più zucchero: per questo i prodotti israeliani di questi terreni (pomodori per esempio) sono più dolci di quelli coltivati in terreni normali. Purtroppo quando piove o nevica intensamente, come è accaduto nei giorni precedenti il mio arrivo, il sale risale alla superficie (foto di D.O.)
e bisogna rifare tutto il lavoro di lavaggio. Un altro strumento utilizzato per cambiare positivamente il paesaggio in Israele è il liman, sorta di oasi inizialmente artificiale costruita piantando alberi dalle radici poco profonde che trattengono l’acqua anche per più stagioni; in questo modo l’oasi diventa in breve autosufficiente, e quindi naturale, avendo sempre a disposizione una sufficiente quantità di acqua per alimentarsi, e a sua volta contribuisce poi a modificare positivamente il microclima, determinando una maggiore piovosità, e a dissetare animali di passaggio.
(Purtroppo sono riuscita a prendere solo questa foto al volo dall’autobus, tutta storta, ma se andate in google immagini ne troverete altre). E ancora, per sopperire alla penuria d’acqua, comune a tutta la regione, in Israele è intensamente praticato il riciclo: attualmente circa l’80% delle acque reflue viene riciclato, e in questo modo è possibile avere acqua a sufficienza per l’agricoltura senza sottrarla ad altri usi. Le tubature nelle quali scorre acqua riciclata sono riconoscibili dal colore viola – purtroppo non ho provveduto a fotografarne qualcuna, e in internet ho trovato solo questo.
Se poi qualcuno avesse voglia di tirarmi fuori la favola che Israele si procurerebbe l’acqua rubandola ai palestinesi, prima che lo mandi là dove merita di essere mandato si vada a rileggere questo, e magari anche questo mio vecchio post. E ora due bei filmati, che mostrano come il deserto, in Israele, possa essere utilizzato non solo per coltivarvi frutta, verdura e fiori,
Di questa straordinaria caratteristica di Israele ho già ripetutamente parlato (uno, due, tre, quattro, cinque), e torno a parlare oggi, perché è un argomento che, in un mondo in cui la desertificazione avanza ovunque, non finisce mai di affascinarmi. Prendete per esempio il kibbutz Lavi, legato alla storia dei Kindertransporte. All’inizio le abitazioni erano così
All’interno di questa baracca c’è una foto di quei tempi
Quella che si vede nello sfondo, in mezzo al nulla, è la torre dell’acqua, questa
E oggi il kibbutz si presenta così
Oppure prendete il kibbutz Kalya, sulla riva nord del mar Morto. Il kibbutz è stato costruito in mezzo al deserto,
e deserto era anche l’area occupata dal kibbutz, che dal deserto che era è stato fatto diventare così
O ancora l’avamposto del kibbutz Saad, di fronte a Gaza, in prima linea nella guerra del 1948, di qui ho già parlato qui. Dalle foto conservate all’interno della torre possiamo vedere ciò che era il kibbutz ai suoi esordi
e guardandoci intorno possiamo vedere come è oggi.
Come ci sono riusciti? In parte coi metodi che già in altre occasioni ho illustrato: scavare nel deserto fino a quando non si trova l’acqua (se si scava a sufficienza si trova sempre), con l’irrigazione a goccia, proteggendo le piantine neonate con tubi che le proteggono dai parassiti, ne conservano l’umidità e ne mantengono il microclima. In parte con altri metodi che illustrerò alla prossima puntata.
(Poi magari, visto che si è appena parlato di Golda Meir, e visto che uno dei temi più scottanti del momento è la vicenda dell’aereo della Malaysia, andate anche a leggere questa storia straordinaria)
Che in realtà era una settimana fa ma me n’ero dimenticata. Ma siccome questa cosa è troppo carina per rinunciare a metterla, ve la do in ritardo, ecco.
UNA PICCOLA AGGIUNTA: CON CHI, PER ESPRIMERE IL MASSIMO DISPREZZO POSSIBILE, USA CON GRAN GUSTO IL TERMINE “MONGOLO”, MI RIFIUTO DI DISCUTERE. HITLER È VIVO E LOTTA INSIEME A LORO, E IO CON TALI BATTAGLIE NON HO NIENTE DA SPARTIRE.
L’avete sentita anche voi un sacco di volte, vero? Assicurati di avere le mutande pulite, non sia mai che fai un incidente e ti devono visitare. Ecco, io l’incidente l’ho fatto, e anche piuttosto brutto. E mi hanno dovuta visitare. E avevo le mutande pulite. Beh, ci fosse stato un cane che avesse avuto l’idea di venirmele a controllare.
Sprecato un paio di mutande pulite per niente.
(Lei, comunque, le aveva)
barbara
e non sapere che cosa fare, ecco qui qualche suggerimento
Ricordando sempre che nel 1909 Tel Aviv era questa
Se poi qualcuno volesse allargare un po’ lo sguardo
Poi magari leggete questo che, a parte un paio di piccole sviste, è uno dei migliori racconti di viaggio che mi sia capitato di leggere.
Shabbat shalom