La storia è vecchia, e la conosciamo bene: i giornalisti che vogliano lavorare nei territori controllati dall’Autorità Palestinese (o da Hamas) devono impegnarsi a rispettare un certo numero di regole – anche se, c’è da dire, la maggior parte dei giornalisti non ha affatto bisogno di imposizioni per incensare i terroristi e buttare fango su Israele. Ricordiamo tutti, credo, l’infame storia dell’infame Riccardo Cristiano (meno nota, ma altrettanto autentica, la vicenda del corrispondente belga che un bel giorno ha fatto le valigie ed è tornato a casa, spiegando poi ai telespettatori che gli era stata presentata l’alternativa: o raccontare quello che volevano loro o rischiare la pelle). Ultimamente il tema è stato trattato da Rightsreporter, ma se ne era già occupato, un po’ più di cinque anni fa, Ugo Volli, sotto forma di saggi consigli ai giornalisti impegnati a fare “informazione” sul Medio Oriente. Su questo suo lavoro due amici e io abbiamo fatto un video, nel quale compare questa schermata: (clic per ingrandire)
Ebbene, nella pagina FB di Arrigoni è comparso in questi giorni questo commento
Sembrerebbe una barzelletta, o meglio, la caricatura di una barzelletta, e invece l’autore di quel commento è serissimo – ed è questa la cosa tragica! Convinti di essere quelli furbi, quelli che non si bevono la “verità ufficiale” (propagandata dalla famosa lobby ebraica, as you know), quelli che sanno “che cosa c’è dietro”, quelli che smascherano i complotti. E non sono che dei poveri cagnetti di Pavlov, che appena suoni il campanellino con l’etichetta “Israele” cominciano a sbavare il loro odio purulento.
Per chi fosse interessato a vederlo, comunque, il video è questo:
I padri della situazione attuale, intendo. Sono tre.
Il primo, il vero peccato originale, è il rifiuto arabo. Il rifiuto di quella Risoluzione 181 che raccomandava la creazione di due stati per due popoli: quei due stati per due popoli di cui oggi le anime belle – pretendendolo, non si capisce perché, da Israele – si riempiono la bocca; quei due stati per due popoli che sembrerebbero la panacea di tutti i mali; quei due stati per due popoli che secondo i pacivendoli dovrebbero rendere felici i palestinesi e far sorgere il sole della pace. Due stati per il popolo ebraico e per il popolo arabo – NON per un “popolo palestinese” perché quest’ultimo ancora non era stato inventato, e sarebbero passati circa due decenni prima che a qualcuno venisse in mente di fabbricarlo. I due stati per due popoli, qualunque cosa dichiarino di fronte alle telecamere politicamente corrette, gli arabi non li vogliono. Non solo: non vogliono neppure un solo stato arabo “dal fiume al mare”, non vogliono uno stato di Palestina di nessun tipo, con nessuna estensione, non è mai stato in programma niente del genere. Perfino il presunto laico Arafat – i cui uomini hanno sterminato i cristiani di Damour in Libano al grido di Allah akhbar – lo dice chiaramente: l’obiettivo finale è il grande califfato che copra l’intero mondo islamico.
Quindi è chiaro che il problema per loro non è che cosa faccia Israele, quanta terra occupi, quanti insediamenti costruisca, quanti palestinesi ammazzi: il problema è la sua esistenza, che impedisce la realizzazione del grande califfato islamico. Finché il mondo arabo-islamico non cambierà idea su questo punto, la pace non potrà mai essere realizzata.
Il secondo padre nobile del disastro attuale è Rabin. Quel Rabin che con gli accordi di Oslo ha portato in Giudea e Samaria – aka Cisgiordania aka West Bank – quelli che i palestinesi onesti hanno chiamato “i terroristi di Tunisi”, che hanno distrutto la loro vita e annientato il loro futuro. E dopo averceli portati ha inaugurato due mantra uno più delirante dell’altro: “combattere il terrorismo come se non ci fosse il processo di pace, portare avanti il processo di pace come se non ci fosse il terrorismo” – col risultato di ingrassare il terrorismo a dismisura, nutrendolo col fantomatico processo di pace – e “terra in cambio di pace”, e fino al momento in cui non è stato fermato ha insensatamente continuato a dare terra, terra e ancora terra ricevendone in cambio guerra, terrorismo, morte e distruzione. È stato grazie a lui che Israele ha conosciuto il più devastante terrorismo a memoria d’uomo, reso tra l’altro possibile dai miliardi di dollari affluiti con la nascita dell’Autorità Palestinese. È stato grazie a lui che il terrorismo palestinese ha potuto cominciare a pensare di riuscire davvero a smantellare lo stato di Israele e a impiegare ogni propria energia e ogni propria risorsa per il raggiungimento di questo scopo. Per avere un’idea dell’ottenebramento della sua mente basti leggere queste frasi:
“Le storie di orrore del Likud sono familiari; infatti essi ci hanno promesso anche missili da Gaza. Già da un anno la striscia di Gaza è in gran parte sotto il controllo dell’autorità palestinese, e non c’è ancora stato alcun missile e non ci sarà nessun missile, eccetera eccetera eccetera. Tutte chiacchiere; il Likud ha un terrore mortale della pace. La “pace dei vigliacchi”, questo è il Likud di oggi. Questo non è il Likud di Menachem Begin di benedetta memoria, che ha osato e ha preso iniziative ed era disposto a pagare un prezzo doloroso per promuovere la pace. Il Likud di oggi ha un terrore mortale della pace, e di conseguenza, reagisce in un modo veramente infantile.” (qui, traduzione mia. Chi conosce l’ebraico lo può ascoltare qui)
Se non fosse stato fermato, non so se Israele esisterebbe ancora. Il disastro provocato dalla sua cieca ostinazione ad assecondare il terrorismo palestinese, comunque, è ancora tutto qui.
Il terzo padre nobile del disastro è Sharon. Straordinario eroe di guerra, autore di imprese eccezionali, al tramonto della sua vita il nobile falco si è improvvisamente trasformato in un miserevole pollo. Dopo che il ritiro unilaterale dal Libano aveva fatto aumentare vertiginosamente il lancio di missili sulla Galilea e favorito infiltrazioni e rapimenti sotto lo sguardo benevolo delle forze Onu, anche la mente di Sharon, ottenebrata al pari di quella del secondo padre nobile, ha partorito l’idea che avrebbe completato il disastro: la deportazione degli ottomila ebrei che risiedevano a Gaza nella demenziale convinzione che ciò avrebbe favorito la pace. Chiunque avesse qualche conoscenza di quello scenario e dei suoi attori non aveva dubbi su quali ne sarebbero state le conseguenze, che infatti si sono puntualmente realizzate: carneficina intra-palestinese all’interno di Gaza, aumento esponenziale del terrorismo verso Israele.
Poi, naturalmente, c’è anche un gran numero di figure di contorno, padrini e compari e valletti di ogni sorta che si sono dati da fare a completare il disastro. Ma i pilastri sono loro. Tutto il sangue versato lo hanno sulla coscienza interamente loro.