DUE PAROLE SULLA MORTE DI SIMONE CAMILLI

La morte del giovane fotoreporter pitiglianese è sconvolgente, ma è indicativa del modo in cui Hamas conduce la guerra

di UMBERTO MINOPOLI

Media italiani, fate bene a nascondere dietro la retorica la morte del nostro giovane connazionale. Dovreste porvi altrimenti delle domande. E sarebbero imbarazzanti per voi. State cantando da tempo la tragedia di Gaza con il metro logoro del racconto epico della lotta tra Davide e Golia. Vi state assumendo la responsabilità di trattare quelle strade polverose e minate di Gaza come un normale teatro di guerra. Dove mandate a rischiare la vita giovani cronisti a cui fate credere di fare un lavoro eroico. E invece voi, direttori di giornali, di TV, di struttura associate di stampa, state facendo solo un lavoro sporco. Sì, sporco. Perché vi state prestando, senza battere ciglio, all’idea insopportabile della guerra, della vita e della morte di una banda di terroristi. Perché quel nostro cronista era lì? Cosa c’è da comunicare nel disinnesco di una bomba? E perché non farlo da lontano, come sempre si fa in questi casi? Non diteci balle: non era un’azione di guerra da riprendere. Era un’operazione di sminamento normalissima dappertutto e che si svolge dappertutto osservando banalissime regole di sicurezza. La prima? Sul posto ci stanno solo gli artificieri. Invece a Gaza una pericolosissima ma ordinaria azione di sminamento si svolge sotto telecamere e taccuini. Pazzesco! Perché quello che è normalissima regola dappertutto, non lo è a Gaza? Perché solo a Gaza governanti assatanati e terroristi concepiscono la guerra come spettacolo di propaganda. E misurano la vittoria in termini di numero di vittime civili della propria gente. Questa è Hamas. Per loro il teatro di guerra devono essere case, ospedali, scuole. Per loro le scene di guerra, anche uno sminamento, vanno amplificate con video e servizi che emozionino il mondo perché mettono davanti le vittime civili, le case distrutte, le bombe inesplose nei cortili. Tutto da riprendere con foto e video per emozionare. Hamas ha ideato, a tavolino, una guerra che deve svolgersi non in campo aperto o intorno ad obiettivi militari come avviene nella terribile convenzione della guerra. Ed esponendo “al minimo” i civili, dandosi cioè regole di ingaggio che espongano al minimo i civili (compresa la regola di allontanare giornalisti e curiosi durante azioni di sminamento). No! Hamas concepisce la guerra come spettacolo della morte dei civili. Ha trasformato strade, scuole, ospedali nel teatro di guerra. Ha inventato gli scudi umani, i soldati-bambino. Costringe la gente durante gli attacchi a stare sotto le bombe. Ha costruito centinaia di canali per colpire Israele ma non li usa come rifugio per i civili ma, solo, per i capi terroristi. Hamas massimizza il rischio per i civili perché concepisce l’esibizione di morti civili come successo militare: perché così mostrifica l’avversario e punta ad isolarlo confidando sull’emozione del mondo per le vittime civili. Perché non figurano mai combattenti di Hamas tra i morti palestinesi? Perché gli israeliani morti sono solo soldati e i palestinesi solo civili? Primo: perché Hamas trucca i dati per emozionare il mondo. Secondo: perché Hamas ha trasformato la popolazione civile in combattenti ma indifesi. Solo esponendoli allo spettacolo della morte. Perché quella è la guerra per Hamas. E i morti civili sono il suo trofeo. E i media internazionali consentono tutto questo. Tacciono la denuncia dei metodi di Hamas. Titillano questa concezione bestiale, primitiva, odiosa della guerra-spettacolo e del sacrificio ricercato dei civili. Tacciono perché lo spettacolo è anche il loro scopo. Loro non dovrebbero solo raccontare e filmare. Dovrebbero contribuire a denunciare la miserabile concezione della guerra, della vita e della morte che hanno i terroristi. Per contribuire ad isolarli. E a perdere. Invece se li fanno amici per raccontare lo spettacolo. Ignobile. E per niente eroico. Continuate pure a criticare Israele, se vi aggrada, ma fate il vostro dovere e dite la verità su Hamas.

Poi, tra l’altro, viene fuori che

Sulla Stampa online di ieri [13.08, ndb]: “Per le prime versioni locali l’ordigno era una bomba inesplosa di un F-16 israeliano, ma altri testimoni locali hanno precisato che si trattava di un barile di esplosivo TNT adoperato da Hamas come trappola per i tank israeliani. Secondo quest’ultima versione, la polizia di Gaza voleva recuperare l’esplosivo impegnato nella trappola anti-tank ma qualcosa è andato storto e vi è stata la violenta esplosione. Quattro ingegneri sono rimasti uccisi assieme a Camilli e Abu Afash mentre il fotografo dell’Ap Hatem Moussa ha subito gravi ferite.”

E quando è sfumata la possibilità di incolpare, almeno indirettamente, Israele, la notizia è più o meno scomparsa. Comunque, bomba israeliana o tritolo palestinese che fosse, la sostanza di quanto contenuto nell’articolo non cambia. La zona in cui vivo io, durante la prima guerra mondiale era tutta prima linea, e fino a pochi anni fa si continuavano a trovare bombe inesplose. In quei casi il sabato l’intera popolazione nel raggio di almeno due chilometri veniva avvertita che la domenica mattina avrebbero dovuto evacuare l’area fino al completamento delle operazioni. Due chilometri. Perché quelli che dovevano intervenire erano artificieri esperti, che di errori non ne commettevano, ma quando si maneggiano esplosivi od oggetti potenzialmente esplosivi, non si lasciano estranei nei paraggi. D’altra parte qui abbiamo a che fare con gente che, per i motivi chiaramente esposti nell’articolo, lascia gli esplosivi a mezzo metro dalla culla dei figli
esplosivo-culla
e, in previsione di un bombardamento israeliano, piazzano sui tetti i propri civili, bambini compresi.
scudi umani
Come stupirsi se per la causa sono pronti a sacrificare a cuor leggero qualche giornalista, così come era accaduto, dodici anni e mezzo fa, a Raffaele Ciriello? CIRIELLO 

barbara

Una risposta

    • Se può avere un senso rischiare la vita per documentare l’attuazione di un crimine da denunciare poi al mondo, anche nell’ipotesi che l’ordigno fosse israeliano e che ciò rappresentasse un crimine, il crimine sarebbe la sua presenza, non certo il disinnesco. Quindi, con tutto il rispetto per un morto, anche sulla competenza professionale potrebbe esserci qualcosa da ridire. Fermo restando che sarebbe stato compito degli operatori allontanare tassativamente tutti gli estranei.

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  1. Questo il mio commento alla notizia, inviato il 13.08.2014 – 17:53 al sito di un quotidiano nazionale:
    “Documentare il disinnesco di un missile inesploso israeliano più che fare informazione sembra essere stata una pirlaggine pagata a caro prezzo”.

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  2. E’ nauseante folle ed insensato il loro inneggiare alla morte,al martirio.Allo stesso livello
    gli occidentali che guardano,assistono parteggiano per questi assassini. I terroristi,gli
    Hamas.
    E’ impensabile per una mente sana l’ esporre al pericolo i loro figli. Si và da ferite fino
    alla morte con tutta la scala di menomazioni che può comprendere.
    Comportamenti degenerati con la piu’ sadica follia. Armi, esplosivi,bombe collocate nei
    posti piu’ impensabili, ma sempre pericolosissimi per la vita umana. I bambini, si si
    comincia da loro. Esposti in prima linea, usati dall’ indrottinamento all’ odio,all’ uso delle
    armi,una specie di materia scolastica e apprendimento per il loro futuro, nel nome di
    questo insensato proseguimento del terrorismo sempre piu’ tecnicizzato.L’ obbiettivo
    lo conosciamo. Ultra folle!!! Le dinamiche anche.
    Il tutto và guardato in maniera piu’ critica e realistica.
    La rabbia che sento nei confronti dell’ occidente, con il suo lassismo.la cecità,assoluta
    mancanza di orgoglio nel difendere la democrazia. Trovo vergognoso le tante dinamiche
    che mirano a colpire Israele in maniera cosi assurda che occorrono tanti aggettivi per
    qualificarli.
    La cosa piu’ assurda che dovrebbe essere compresa , è Israele a dover essere Tutelato.E’ continuo bersaglio di attacchi fino all’ attuale.
    E’ impensabile che un popolo continui ad essere all’ offesa. Questo andrebbe penalizzato o corretto .
    L’ articolo..ok!
    Certi cervelli..sempre con un blocco mentale ostinato.Provino…il gioco dei ruoli!

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    • Mi ha colpito il fatto che Camilli padre sia sindaco di Pitigliano, la “Piccola Gerusalemme” d’Italia, dove c’è un’antica e – credo – amata comunità ebraica.
      Riporto qualche informazione in merito, col tuo permesso, Barbara, e certo non per te o Rachel, ma per chi passa e ne sa meno.

      Gli Ebrei a Pitigliano

      Pitigliano, che ospitò gli ebrei forse fin della fine del quattrocento, divenne per loro un importante centro di rifugio nell’Italia centrale, insieme ai vicini luoghi feudali, a seguito delle restrizioni dovute alle Bolle papali del 1555 e 1569 nello Stato Pontificio e ai provvedimenti del Granduca di Toscana del 1570 e 1571. Infatti rimasero immuni alle restrizioni i piccoli feudi indipendenti al confine tra Toscana e Lazio, come la Contea di Pitigliano degli Orsini e quella di Santa Fiora degli Sforza e di Castell’Ottieri degli Ottieri, oltre al Ducato di Castro dei Farnese. In questi piccoli staterelli si rifugiarono numerose famiglie di ebrei, che potevano qui vivere più liberamente ed esercitare le loro attività, a cominciare dal prestito di denaro. Numerosi furono i banchieri ebrei e tra questi spiccarono i familiari del famoso medico David de Paris, al servizio degli Orsini di Pitigliano e degli Sforza di Santa Fiora. Anche a Pitigliano il gruppo ebraico si consolidò tanto da erigere un Tempio nel 1598. Quando, ai primi se seicento, i Medici aggregarono al Granducato di Toscana anche le piccole Contee nel confine meridionale, gli ebrei qui residenti furono confinati nei ghetti. Ma ben presto, rendendosi conto del loro notevole ruolo economico e commerciale, la condizione degli ebrei fu migliorata con la concessione di fondamentali privilegi personali. Così gli ebrei di questa zona conservarono anche la possibilità di possedere beni stabili, del tutto eccezionale all’epoca. Nel frattempo, verso Pitigliano si indirizzò una lenta, ma costante immigrazione di ebrei dai centri vicini, man mano che i gruppi e le Comunità ebraiche, che vi risiedevano, andavano in decadenza o scomparivano. Significativo è l’arrivo di ebrei dalla città di Castro, distrutta 1649 e di cui Pitigliano fu moralmente l’erede. Altri ebrei giunsero da Scansano, Castell’Ottieri, Piancastagnaio, Proceno e poi nel settecento da Santa Fiora e Sorano, le cui Comunità ebraiche si avviavano alla fine, mentre Pitigliano rimaneva l’unica Comunità ebraica in Maremma. Nella seconda metà del settecento, la riforma illuministica dei Lorena, nuovi Granduchi di Toscana, permisero anche agli ebrei di accedere parzialmente alle cariche comunali. Così a Pitigliano gli ebrei ebbero i loro rappresentati nel Consiglio comunitario. A Pitigliano, unica erede delle “città rifugio” del territorio, le favorevoli condizioni conservatesi per secoli resero possibile lo svilupparsi di eccezionali rapporti di convivenza e di tolleranza tra la popolazione ebraica e quella cristiana, tanto che la cittadina venne designata come la “piccola Gerusalemme”. Lo straordinario rapporto tra cristiani ed ebraici fu definitivamente cementato da un singolare episodio del 1799, quando il popolo e i maggioranti cristiani difesero gli israeliti dai soprusi dei militari antifrancesi, che volevano saccheggiare il Ghetto. A ricordo dell’accaduto, la Comunità ebraica istituì un’apposita cerimonia, celebrata ogni anno nella sinagoga fino a qualche decennio fa. Si apriva così l’Ottocento, il secolo di maggiore espansione demografica, economica e culturale degli ebrei di Pitigliano, che raggiunsero un’alta percentuale (fino al 12%) sull’intera popolazione pitiglianese. Le istituzioni della Comunità ebraica si rafforzarono con la fondazione di una Biblioteca e del Pro Istituto Consiglio per opere caritative, grazie al generoso lascito nel 1854 di Giuseppe e Fortunata Consiglio. Pitigliano fornì rabbini a varie importanti Comunità italiane e personaggi di levatura regionale al mondo ebraico, come i fratelli Flaminio e Ferruccio Servi, fondatori del “Vessillo Israelita”, primo giornale ebraico italiano, e Dante Lattes una delle più forti e poliedriche dell’ebraismo italiano del Novecento. Per motivi commerciali Pitigliano divenne a sua volta centro di disseminazione di ebrei in numerosi paesi della Maremma toscana e laziale. Ma tutti rimasero legati alla Comunità di Pitigliano, alla cui Sinagoga usavano tornare per le maggiori festività religiose. Le mutate condizioni economiche e sociali determinarono nel Novecento una lenta, ma costante, emigrazione degli ebrei pitiglianesi verso città e centri più grandi, finche le leggi razziali e le persecuzioni dell’ultima Guerra Mondiale accelerarono la fine della Comunità, la cui ultima fiammella si spense con la chiusura della Sinagoga nel 1960. Ma durante la guerra molti ebrei si salvarono grazie alla generosa protezione della popolazione locale, che offrì ospitalità, rifugio ed assistenza nonostante i rischi evidenti nel momento più buio della storia. Si chiudeva così degnamente la lunga vicenda di rapporti di tolleranza, di stima e molto spesso di amicizia e di affetto tra cristiani ed ebrei, che costituiscono il valore fondamentale dell’esemplare esperienza pitiglianese. Perciò a Pitigliano, nonostante che gli ebrei siano oggi ridotti a poche unità, quell’antico rapporto continua in altre forme; da restauro e conservazione dei monumenti ebraici (Sinagoga, forno degli azzimi, bagno rituale, cimitero, museo ebraico,) alla scelta di produrre vino kasher nella Cantina Cooperativa di Pitigliano, alla fondazione dell’Associazione “La Piccola Gerusalemme”, che ha come fine la promozione di iniziative per la valorizzazione della storia di Pitigliano.(Nota a cura del Prof.Angelo Biondi)

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    • Diciamo che il padre, fino a un certo punto, lo posso anche capire: se ti muore un figlio, devi pure attaccarti a qualcosa per trovare la forza di andare avanti, e la consapevolezza che è morto per aver fato una cazzata non credo che aiuti molto per cui devi per forza inventarti qualche bella storia da raccontarti. Certo che eroe magari è un tantino esagerato, questo sì.

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  3. Anche il nostro presidente Napolitano si è unito al coro della retorica: “…l’ Italia di nuovo a piangere la scomparsa di un giovane cittadino partito per testimoniare le atrocità della guerra.”
    Ecco un altro eroe da innalzare agli altari… della stucchevole retorica di cui si nutre il popolino dalla lacrima facile.

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  4. a me invece non sta bene parlare quasi in senso negativo della morte di Simone Camilli, non sto con hamas né con Israele sto con chi ha fatto del suo lavoro una passione poi pagata con la morte magari in circostanze per le quali possiamo fare critiche, ma basta rispetto per una persona morta, non è né eroe né un pirla, è un uomo.

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    • Innanzitutto l’articolo che ho postato non è su Camilli bensì sul modus operandi di Hamas, che cerca di avere più vittime civili possibile. Detto questo, se il mestiere del giornalista è quello di documentare quello che succede, in quel momento NON stava facendo il suo mestiere, perché da documentare non c’era assolutamente niente. OK, di cazzate ne abbiamo fatte e ne facciamo tutti, e a noi evidentemente non è andata così male, e sicuramente la morte di una persona giovane dispiace sempre; resta il fatto che è morto per avere fatto una cazzata, come chi crepa alla prima pasticca di extasy o in un sorpasso in curva: non è uno sfigato, è uno che ha sfidato la morte e ha vinto la morte, punto.

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    • Qui non è in discussione il rispetto per i morti. Quello c’è sempre. Ehm, quasi… io a volte sono un po’ str…. anche con chi crepa. (Del resto… mica è colpa mia, no? Dipende dal “crepante!)
      E’ per quello che quando mi presenterò in Paradiso dovrò discutere non poco con il “portiere” ma ho già pronta l’arringa difensiva: non potrà negarmi l’accesso. 🙂

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      • Se il discorso è semplicemente che uno è morto, allora anche Hitler è morto, e Stalin, e Pol Pot e Idi Amin, e Bokassa: un po’ troppo comodo pretendere il rispetto solo perché si è morti. Poi per gli altri, certo, della tua vicina di casa magari dici quella stronza mi manda sempre lo stereo a tutto volume e poi se muore stronza non glielo dici più, ma non è che la morte sia di per sé un salvacondotto o un alibi.
        Quanto a quello che succederà di là, io preferisco affidarmi all’improvvisazione, che è una dote che non mi ha mai fatto difetto.

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  5. In un luogo…dove si rispetti la vita avrebbero detto …le autorità di allantanarsi e specificando la distanza..mentre forse avranno continuato incuranti di cio’ che avveniva intorno. Sul luogo solo il personale esperto nel trattare i residui bellici.
    Come del resto a volte capita qui da noi quando viene ritrovato un residuo della 2a guerra mondiale..Interi quartieri, paesi vengono fatte evacuare gli abitanti…
    Li è un mondo dove la vita non è poi cosi importante, da amare rendendola degna di essere vissuta al meglio..
    Continuiamo a vedere video dove i bambini, adulti vivono in mezzo a materiale bellico,
    si espongono a situazioni rischiose cosi un pò come fosse uno spettacolo, mentre è
    altamente rischioso, abbiamo visto bambini a pochi metri curiosi nel guardare il lancio
    di missili, calciare un residuo di bomba…Sono vissuti sempre vicini a questa pericolosità per cui dovrebbero capire l’ entuale fortuita pericolosità.

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  6. ho detto queste stesse cose altrove e in più occasioni facendo sempre la parte dell’insensibile cinico criminale che sto coi criminali ecc. (che te lo dico a fare lo saprai meglio di me) ma prevale sempre la conta dei morti come fosse una partita di calcio, stare dalla parte dei famosi bambini che la tua bella figura la fai sempre, l’odio per il più forte, l’indignazione preconfezionata e le solite baggianate facili, quando a me sembra piuttosto facile invece riconoscere la strategia criminale di hamas da te e da me descritta, ma è inutile perchè è chiaro che per essere “brave persone” non conta pensare ma basta sapere da che parte si deve stare, per cui il ragionamento più profondo diventa se stai di qua sei bravo se stai di là sei cattivo, e c’è poco da fare se il livello è questo
    (poi ci sarebbe anche la malafede ma è un altro discorso ancora)

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