Nir Oz è un kibbutz al confine con Gaza: quella che vedete subito dopo il campo è Khan Yunis
e in mezzo al campo c’era lo sbocco di uno dei tunnel costruiti – al costo di milioni di dollari ciascuno e di tanti bambini morti nel corso dei lavori e di operai assassinati a lavoro concluso perché non potessero parlare – per andare a portare terrore in Israele.
Prima era tutto così
(l’orizzonte è più storto del solito perché l’ho fatta dall’autobus, al volo e in equilibrio precario). L’acqua disponibile è pochissima, quindi per gestirla è stata installata questa centralina computerizzata
che controlla ogni singola goccia emessa.
Prima, dicevo. Perché poi c’è stata la guerra, ed è di qui che sono passati i carri armati per le operazioni di terra. Questo, all’inizio dell’estate, era un campo di grano, oggi è così
e la polvere sollevata dai carri è finita sui melograni lì accanto
Di verde, oggi, ci sono solo le fronde cresciute dopo la fine delle operazioni,
per il resto bisognerà aspettare la pioggia. Sotto la polvere, comunque, quelle melagrane sono come questa
lavata e offerta dal contadino che ha guidato la nostra visita. Se della visita poi volete un resoconto dettagliato, oltre che appassionato, vi invito a leggere questo, bellissimo, scritto da una compagna di viaggio.
barbara
Grazie, Barbara, per questo risveglio della coscienza oltre che del corpo, che ci regali stamattina con le parole di Ariel Shimona, con quei frutti maturi e rossi, il cui colore e succosità non possono inaridire nemmeno sotto la polvere del deserto.
Nelle melagrane di Nir Oz c’è il simbolo di chi non si arrende e ama e conserva la vita con tutte le sue forze, e la difende fino allo stremo dall’aridità di chi continua a portare avanti la guerra dell’odio cieco: grazie ad entrambe per averci portato là con voi, a vedere coi vostri occhi e a sentire col vostro cuore.
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Sì, la sua narrazione è così bella che ho ritenuto superfluo aggiungervi qualcosa di mio, a parte le immagini (peccato che senta solo chi è capace di sentire…)
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Barbara,ho guardato le foto, ho letto il resoconto della Signora Besozzi .
Il tutto ha reso ben chiaro gli effetti distruttivi delle bombe e l’ intenso esperto amorevole
lavoro del cittadino israeliano che lavora con grande fatica e mostra e dona i frutti di quello che è rimasto in vita. Inoltre emerge la sua grande dignità ‘ e degli altri componenti
di quella comunità…’ facendo trapelare i momenti cruciali di quei…fatidici 15 secondi..
e se troppo lontani una preghiera, un pensiero su’ in alto nella speranza che tutto vada bene. Non ha mostrato acredine o sentimenti di forte risentimento, che forse per lui sarebbero autodistruttivi per la sua interiorità e sorridendo …spera di poter ricavare un
raccolto diverso dal grano , cercando di dare vita ad un’ altro frutto di grande duro lavoro.
Credo che quello che ha trasmesso sia un grande messaggio ed insegnamento.
Intense le foto…il resoconto scritto. Altamente descrittivo al pari degli articoli di Molinari su’
IC.
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Ecco, dignità è la parola giusta: vestito da contadino, sporco di terra, mani callose, e tuttavia era un autentico signore.
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capperi, finalmente leggo parole dalla parte di Israele, l’unica democrazia mediorientale.
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Beh, siamo pochi, ma ci siamo. E cerchiamo di farci sentire.
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tieni conto che io non sono ebreo. ed anzi, io un tempo ero “dalla parte” dei palestinesi. oggi la penso diversamente. solo gli sciocchi non cambiano idea
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Anche io ero dall’altra parte, quando mi abbeveravo unicamente ai mass media nostrani. Poi un po’ alla volta ho aperto gli occhi e ho cominciato a vedere, al di là della propaganda, i fatti veri.
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Bene! Mi sono piaciute le vostre asserzioni…Condivido appieno!
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Bentornata Barbara, mi sei mancata, in questo manicomio che mi sembra diventato il mondo. Posso domandarti? Ho letto i commenti: davvero anche tu una volta eri dalla parte dei palestinesi?
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Sì. La storia, nel caso ti interessi, la puoi leggere qui.
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Sì, mi interessava, sono andata a leggere. Grazie.
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Grazie a te.
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Interessava anche a me, e sono andata a leggerlo anch’io. Non avrei mai pensato che una volta tu fossi “dall’altra parte”… Grazie anche da me per la storia, anche quella del ragazzo iracheno (anche se la sua storia fa accapponare la pelle, e piange il cuore a leggere la sua fine). Grazie anche da me.
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Grazie a te per la partecipazione (aveva 35 anni).
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