IL RITORNO

[…] non una delle quattro famiglie delle vittime dell’attentato del supermercato ha voluto seppellire i morti in Francia, tutti hanno deciso di dare loro riposo in Israele.
Ugo Volli, qui.
vittime-supermarket

La gelida umidità di quel giorno perduto d’inverno ci trafigge le ossa e ci obbliga ad abbassare la testa. Avrei voluto riuscire a restare diritta, ma guardiamo i nostri piedi che sprofondano nel fango. È piovuto per tutta la settimana. I sentieri del cimitero non si distinguono più dalle sepolture. Ad ogni istante temiamo di inciampare e, nel buio, avanziamo a piccoli passi, dandoci la mano, come una banda di clandestini.
Perché è stata scelta l’alba per autorizzarci a riesumare il corpo di Ilan? Non avremmo potuto farlo uscire di qui in pieno giorno e alla vista di tutti? Avrei voluto che tutti noi vedessimo dissotterrare mio figlio assassinato all’età di ventitré anni, ma la prefettura di polizia ci ha convocati questo mercoledì 7 febbraio 2007 alle sei del mattino, e Ilan lascerà il cimitero di Pantin come ha lasciato la vita: in silenzio. Quando lo hanno ritrovato, esattamente un anno fa, non riusciva nemmeno a pronunciare il suo nome. Giaceva nudo lungo un binario ferroviario, solo un rantolo gli usciva dalla bocca. Aveva la testa rasata, le mani legate, il suo corpo interamente coperto di bruciature. Due poliziotti mi hanno detto signora, neanche a un animale si fa quello che hanno fatto a lui.
La sua stele è la ventunesima della terza fila nel viale dei Sicomori. La raggiungiamo infine e cerchiamo di formare un piccolo cerchio intorno ad essa. Il «primo cerchio», la famiglia, gli amici migliori, quelli che Ilan amava riunire quando soffiava sulle candeline dei suoi compleanni. Volati via. Come è possibile che noi siamo lì per lui, senza di lui? In questa mattina così fredda e così nera, come è possibile… Il rabbino intona una preghiera. Canta, ma ho la sensazione che pianga, tanto la sua voce è fievole. A meno che non siano i miei singhiozzi a deformarla? Li sento risuonare dentro di me, e stringo i pugni in fondo alle mie tasche per impedire che esplodano. Voglio essere degna, è tutto quello che mi resta. Guardo lontano. Fisso i piccoli riquadri di luce che si accendono qua e là nelle file di edifici che chiudono l’orizzonte, immagino che siano centinaia di lumi accesi per Ilan. Da tutte le altre parti, la notte resiste. Così ostile che ci costringe ad abbreviare la cerimonia. Il rabbino accelera, e le sue parole volano via nel brusio della città che il vento ci porta a raffiche. Non c’è quiete in questo cimitero nella regione di Parigi, né pace, né silenzio, solo un rumore sordo e incessante che impedisce il riposo dei morti. Forse è per questo che desideravo seppellire Ilan a Gerusalemme…
L’ho desiderato subito, fin dall’inizio, per me era chiaro. Ma suo padre e le sue sorelle la pensavano diversamente. Volevano tenerlo vicino a loro, potergli fare visita ogni volta che ne sentissero il bisogno. Ilan dunque è stato sepolto qui a Pantin, venerdì 17 febbraio 2006.
Centinaia di persone erano venute quella mattina a salutarlo per l’ultima volta, forse un migliaio, chi lo sa? C’erano tante persone che non conoscevo, e tanti altri che non vedevo da anni… Credo che ognuno pensasse al proprio figlio, al proprio fratello. Sì, ognuno deve aver immaginato suo figlio in quella bara, al posto del mio. Un brivido di angoscia percorreva la folla.
Sono tornata sulla tomba di Ilan in marzo, in aprile, in maggio, e poi tutti gli altri mesi fino a questo mercoledì 7 febbraio, primo anniversario della sua morte. Per tutta la durata di questo anno non ho mai abbandonato l’idea di trasferire i suoi resti in Israele. Sentivo che era mio dovere di madre offrire a mio figlio un riposo che giudicavo impossibile qui. Perché è qui, su questa terra, che Ilan è stato affamato, picchiato, ferito, bruciato. Come riposare in pace in una terra dove si è tanto sofferto? Questa domanda, alla quale né le mie figlie, né il mio ex marito hanno saputo rispondere, ci ha convinti che Gerusalemme doveva essere la sua ultima dimora.
Due figure che fino a quel momento erano rimaste in disparte avanzano sulla tomba e mi chiedo chi siano questi uomini. Parenti, amici? Sono solo dei becchini che vengono a dissotterrare mio figlio a colpi di vanga.
Ogni colpo mi fa l’effetto di una contrazione, e la violenza con cui queste contrazioni squassano il mio ventre, in modo così regolare, mi fa credere per un attimo, povera pazza, che Ilan uscirà dalla terra nello stesso modo in cui è uscito dal mio ventre. Mi dico tieni duro, sii coraggiosa. Non perdo d’occhio i due ragazzi che tirano le corde per issare la bara di Ilan, sento il legno che urta le pareti della fossa e, come il giorno della sua nascita, devo urlare per sfuggire a questo dolore. Sì, urlo. Con tutte le mie forze. Con tutta la mia anima. Ma il grido di una madre che partorisce non ha niente in comune con quello di una madre che riesuma suo figlio: questo è un grido senza liberazione.
La bara di Ilan finalmente raggiunge la superficie. Guardo, senza crederci, questa lunga scatola passare all’altezza dei nostri visi come un’ombra gigantesca. È possibile che il mio bambino sia lì dentro? Il bambino che ho portato, messo al mondo, nutrito al seno? È possibile che quel corpo sia ormai una «spoglia»?
I becchini la buttano sul carro funebre, e le porte si chiudono con uno scatto metallico. La macchina si avvia lentamente, poi si allontana. Si allontana. Si allontana… e io penso ecco, è finita. Ilan se ne va. Ilan lascia il cimitero di Pantin, lascia Parigi, lascia la Francia, e voi che l’avete massacrato, non potrete mai più fargli del male. Sono venuta a cercarlo per questo motivo, ora lo so, l’ho fatto uscire di qui perché un giorno voi sarete liberi, e sareste potuti venire a sputare sulla sua tomba.
Ruth Halimi – Émilie Frèche, 24 giorni La verità sulla morte di Ilan Halimi, Belforte, pp. 23-25
tombIlan

(E ogni volta che rileggo un brano di questo libro ritorna, viva e insopprimibile, la sofferenza straziante che abbiamo provato, Elena e io, nel tradurlo, nell’immergerci in questa storia allucinante, in queste disumane sofferenze inflitte a un essere umano e alla sua famiglia per l’unica colpa di essere ebrei. Ricorre in questi giorni il nono anniversario del suo rapimento e dell’inizio del suo martirio: non dimentichiamolo. Non dimentichiamolo mai)
FRANCE: Kidnap and murder of Ilan Halimi, young French Jew

Ottant’anni fa, sui muri di mezza Europa, gli antisemiti scrivevano “Ebrei, tornatevene in Palestina!” Adesso si chiama Israele, ma gli antisemiti continuano a chiamarla Palestina e adesso, su quegli stessi muri, scrivono “Ebrei, fuori dalla Palestina!” Già: a parole li invitano ad uscirne, ma nei fatti li costringono ad andarci. Vivi, quelli che, oggi come allora, riescono a fuggire in tempo. Oppure morti, quelli che, oggi come allora, si sono attardati troppo.

barbara

Una risposta

  1. Cara Barbara, posso rispondere a Ruth, anche se non ci legge? (credo che Ruth sia la mamma di Ilan).
    Cara Ruth, sono Samuele e ho letto un pezzo della tua vita in questo blog di Barbara.
    Sono certo che per una mamma la cosa più infinita e senza consolazione, sia seppellire un figlio. Non trovo le parole giuste per dirti quanto piango per te e Ilan. Ti vorrei offrire il mio rispetto e il mio sostegno, e così, se me lo permetti:
    il D-O dei nostri Padri ha creato il mondo e tutto l’Universo. Io so che i legami fondamentali nella Fisica sono la gravità, la forza nucleare debole e altre due che non ricordo bene. Sono le Forze che legano insieme l’Universo intero.
    Mentre l’unico legame che unisce gli esseri umani é l’ingarbugliatore universale: l’Amore.
    é più potente della velocità della Luce, perché la luce ci mette del tempo per attraversare il tempo e lo spazio, mentre l’amore raggiunge il cuore all’istante.
    Sai perché, Ruth? perché il tuo amore per Ilan sfida gli assassini, sopravvivendo all’infinito. E’ potente nel piccolo spazio terrestre eppure ha profondi effetti sulla distanza. Nessuna distanza vi dividerà. Mai più. Adesso Ilan è dentro di te e tu lo proteggi come quando era nel tuo ventre.
    Ciao Ruth, Samuele.

    A te, Barbara, volevo dire che la zia me l’ha corretto un pò, senza “snaturare il senso” – parole sue – ma oggi credo di aver capito che scuola cercherò. Una scuola che mi faccia imparare le lingue e a scriverle. Voglio diventare uno scrittore e scrivere in tutte le lingue che conoscerò:
    Evviva Israele!!! Evviva la sua gente!!! e anche la libertà!!!
    Buonanotte, vado a dormire perché oggi mi sono alzato presto. A domani.
    Grazie per l’ospitalità, samuele.

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  2. Empatia…
    Si avverte, si sente ..si convive.Si può provarla in varie occasioni. Sul lavoro …conoscenze..amicizie. Estranei. Le occasioni non mancano..a chi appartiene le sente in maniera profonda…qui è arrivata molto forte con tutte le tinte.
    Compreso il senso di rabbia dolorosa nei confronti di questi esseri che hanno provocato
    questa morte insensata, assurda. Assassini da accompagnare da tanti aggettivi.I piu’ bassi..
    Io.non solo per la lingua..ma certe.espressioni,,gli occhi parlerebbero senza bisogno di parole abbraccerei ..Ruth ……

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  3. Come sai, non ho avuto il coraggio di leggere il libro, ma stasera voglio dire almeno che leggere le parole di questo ragazzo Samuele – bellissime, come gli dici tu – mi riempie di commozione e perfino di speranza: augurargli buona strada è il minimo che si possa fare. Che incontri altre Persone come lui, che riesca a portare a termine il suo progetto di vita.. Forza, Samuele, che coraggio e cuore ne hai da vendere!

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  4. Una cosa che non si riesce a capire è questo odio plurisecolare contro gli ebrei.
    Si può cercare di trovare delle spiegazioni, ma non bastano.

    Per esempio l’abominio dell’accusa di “Deicidio”, imputata a tutte le generazioni di secolo in secolo: le colpe dei padri che ricadono sui figli, cosa priva di fondamento etico, religioso, giuridico, con la presuntuosa pretesa di sostituirsi a Dio e alla Sua misericordia.nel giudizio (“Perdona loro perché non sanno quello che fanno”, ragionevole e valido persino per i non credenti).
    E questa è stata la colpa di generazioni di ecclesiastici cristiani.

    Poi, evidentemente, il fastidio per una diversità comportamentale, come la solidarietà fra correligionari, non considerata un valore positivo, dimenticando che la “diaspora” induceva questa necessità per la sopravvivenza del popolo, straniero in terra straniera anche se in fase di apertura alla convivenza.

    Poi il fatto che era stato praticamente demandato ai soli ebrei per lungo periodo la trattazione dello “sterco del denomio”, il denaro, che, peraltro, era poi stato recuperato anche dai cristiani, che si erano accorti che, come è noto, non “puzza”………. (amici ebrei mi fanno notare che rientra nella logica della nota parabola evangelica dei talenti, se gestita con onestà: cosa alla base di un capitalismo sano).
    Non dimentichiamo la conseguente nomea di avarizia (peraltro comune a scozzesi e genovesi……ma persone povere e con forti difficoltà di sussistenza non possono fare altro per sopravvivere, finché, lavorando duramente, ne vengono a capo).

    Poi “Stron….” propagandistiche come i famigerati falsi, “I protocolli dei savi di Sion”, o il sacrificio di bambini per cavarne il sangue, da usare in rituali mai esistiti nell’ebraismo.

    Poi fattori geopolitici derivati dalla “guerra fredda”: Israele con gli U.S.A. e palestinesi con l’ U.R.S.S. (e quindi anche i “nostri” comunisti, che non hanno mai smesso l’odio contro Israele).

    Poi, collegato a questo, il fatto che, in più, una democrazia di tipo occidentale in Medio Oriente costituisce un fastidio intollerabile per le teocrazie islamiche (MAI DARE IL POTERE POLITICO DI GOVERNO AI PRETI, compresi i “miei”.
    Un “cattivo esempio” per i loro sudditi (soprattutto per le donne).
    Un “macigno” sulla loro strada, retrograda ed oscurantista.
    E la consapevolezza che, senza il petrolio, andrebbero ancora in giro con capre e cammelli…….

    Su tutte queste cose si è “seduto” quel diabolico criminale di Hitler, mettendoci del suo in abbondanza, e quel cretino di Mussolini per compiacerlo.

    Forse si possono trovare anche altre motivazioni, ma si continua a non capire.

    E’ UNA COSA DA IMBECILLI.

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      • Il fatto tragico è che, su queste basi razionalmente inconsistenti, si sviluppano faide infinite, martirizzando persone incolpevoli prese a caso, per “vendetta”.

        La cosa è sintetizzata dal recente assassinio dei tre giovani autustoppisti israeliani, seguito a breve da quello del giovane arabo.

        Alla fine restano solo dei morti. E individui marchiati dal segno di Caino.

        Naturalmente ci sono molti più assassini fra quelli che non danno valore alla vita, a causa di una “educazione” religiosa distorta.

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        • C’è da dire comunque che l’orrendo assassinio del ragazzino palestinese in risposta all’assassinio dei tre israeliani è un’eccezione assoluta, che infatti ha fatto inorridire l’intera Israele, per niente abituata a vedere simili orrori.

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  5. “Un uomo muore in me tutte le volte che un uomo muore in qualche luogo, assassinato dall’odio e dalla fretta di altri uomini. Un uomo muore in me ogni volta che in Asia o sulle rive di un fiume d’Africa o d’America o nel giardino di una città d’Europa la pallottola di un vivente fa cadere un vivente”. (Jaime Torres Bodet – nella raccolta di poesie intitolata Civiltà)
    Le parole di questa madre ti lasciano senza fiato. Il dolore di questa donna ti lacera nello spirito. Il giudizio di un giovane uomo ti ridona la speranza.
    Il primo pensiero che la mia testa ha partorito subito dopo la lettura è stato: l’agonia che avrà potuto provare quella madre mentre la mano di quei miserabili si macchiava delle peggiori nefandezze. Una prigionia del corpo e della mente durata 24 giorni che si è conclusa con un corpo martoriato avvolto in un takhrikhim. Questi episodi mi fanno vergognare in quanto essere umano, ma quello che mi spaventa maggiormente è la matrice tutt’altro che mostruosa, purtroppo ordinaria, dei carnefici. Uomini che continuano a regalarci episodi di barbarie. Ma per fortuna un ragazzo a ciglio asciutto, senza retorica ci regala una riflessione sul senso più profondo del reale permettendoci di credere nell’amore.
    Grazie Ruth, Ilan, Barbara e Samuele.

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    • E non solo gli aguzzini: pensa agli inquilini dello stabile in cui era tenuto prigioniero, che quando lui cominciava a urlare per le torture andavano a godersi lo spettacolo. E poi pensa alle centinaia di messaggi con cui il capo banda per ventiquattro giorni ha torturato la famiglia (“Non vedo l’ora di mandarti una foto di tuo figlio con un manico di scopa infilato nel culo. Buonanotte. Baci”). E i messaggi di sfida e minaccia, ancora dopo la sua morte, al padre e alla ragazza di Ilan. Davvero, è qualcosa che va al di là di ogni umana comprensione.
      Per fortuna abbiamo tra noi persone come Samuele, che ci permettono di non abbandonarci alla disperazione.

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      • Buongiorno cara Barbara.
        Qualche volta nella mia vita, mi sono sentito disperato anche io, però. Te lo confesso. Ce l’ho fatta a superare tutto quando la zia mi ha detto della bisnonna Ebrea e anche altre cose che non posso dire. Forse aveva capito che avevo bisogno di una spinta emotiva (non so cosa vuol dire ma me l’ha detto lei).
        La zia dice sempre che non crede alle coincidenze e quindi, nemmeno io. Se leggo i tuoi bellissimi articoli è perché Qualcuno mi ha portato su questo posto. Anche se è stato un caso che ho trovato il tuo sito, credo che in realtà non è stato così. Le anime simili si trovano sempre, ha detto qualcuno, e si parlano.
        So che i miei zii e mio cugino ti hanno conosciuta e ti hanno stretto la mano, a Milano, e spero che se andiamo in Israele per la ricorrenza della Shoà, mio padre mi lascia venire così ti bacio anche io e ti conosco.
        Forse a febbraio mi portano da Eylah in pizzeria così mi iscrivo anche io all’Associazione Amici di Israle.
        Ciao ciao ciao Amica mia.
        Samulele

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  6. Barbara, gli ulteriori raccapriccianti e sadici dettagliati che hai fornito in merito alla tragedia di Ilan Halimi mi hanno riempito il cuore di altro dolore e collera. Ho verificato che su Amazon il testo è disponibile mi spiace soltanto non sia disponibile nella versione ebook altrimenti sarebbe già nel mio kindle.
    Ho deciso di leggerlo ma soprattutto di farlo leggere perché la morte di un giovane ebreo, nella placida indifferenza di tutti, mi da l’angoscia. Non posso credere che il pregiudizio antisemita possa essere piu forte dell’urlo di dolore di un uomo. Uomini che hanno avvelenato il proprio spirito e il proprio sangue con l’odio razziale al punto di essere sordi e ciechi di fronte a tali atrocità. Possibile che nessuno abbia avuto il coraggio di ribellarsi ai suoi aguzzini…non ci voglio credere. Costoro sono come il protagonista de “Lo Straniero” di Camus, uomini estranei alle emozioni. Esseri per i quali il rispetto per la vita altrui non merita rispetto. Vorrei dire a tutti quelli che guardano con disprezzo agli ebrei, che dovrebbero non dimenticare quanto devono ad essi, alla loro civiltà, al loro impegno, al loro lavoro ma soprattutto al loro spirito libero che il mondo non riuscirà mai a soffocare.

    Un piccolo messaggio per Samuele: sono contento tu abbia maturato il desiderio di tornare a scuola. Ricorda che ovunque tu decida di andare nel tuo fagotto porta sempre con te un libro perché attraverso le parole possiamo continuare a vivere. Tieni lontano da te quelli uomini il cui spirito è assimilabile a quello di uno sparviero.

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    • Ciao Fabio!!!
      Grazie per esserti ricordato di me. Sì, sono qui dalla zia così troviamo una scuola di lingue che sia a metà strada tra la mia casa e la sua, così mi può venire a prendere a scuola magari nei fine settimana. E poi mi aiuta a capire dove non capisco qualcosa, ma non a fare i compiti mi ha detto. Quello è il mio dovere.
      Ho sempre un libro nello zaino specie quelli che consiglia la Barbara e il tuo l’ho trovato in biblioteca.
      E ti dico che di sicuro terrò lontano gli sparvieri perché sto imparando a riconoscerli già appena aprono bocca. Vedrai che tra poco li riconosco anche se non parlano.
      Anche a me ha colpito la storia di Ilan e chissà quante altre storie come le sue ci sono. Comunque molte le ho trovate nel sito di Barbara e oggi me le leggo tutte.
      Approfitto perché a casa non ho ancora il computer per adesso. Papà mi ha promesso che se non lo uso a sproposito me lo prende.
      Ciao ciao caro Fabio. Anche tu scrivi sempre bene, come Barbara e spero di diventare come voi.
      Evviva Israle!! Evviva noi ebrei e quelli che ci amano!!!
      Samu

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      • Samuele, avrei voluto risponderti prima ma quella odierna è stata una giornata impegnativa.
        Non devi affatto ringraziarmi per essermi ricordato di te è stata la forza delle tue parole. Da quando ho iniziato a leggere i tuoi interventi presenti sul blog di Barbara ho compreso che sei un ragazzo che ha uno spirito generoso. La tua lettera alla mamma di Ilan ha avuto la forza di illuminare di speranza il mio spirito, sono sicuro non solo il mio Sai nella vita, nella gioia come nella disperazione abbiamo bisogno di un dono solo in apparenza modesto: la parola giusta al momento giusto. Questa volta è toccata a te donarcela. Grazie Fabio.

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        • Ciao Fabio.
          Anche io ho avuto un bel pomeriggio impegnativo. Prima ho letto il vecchio blog di Barbara sul Cannocchiale, e ho imparato cose nuove che non sapevo su Israele. Dopo, siccome è Shabbat ho letto un capitolo (non proprio tutto) del libro che si intitola Genesi – Bereshìt di Khumash, scritto sia in ebraico e italiano con i commenti, che ci aveva consigliato Rav Michael di piazza Castello. Ho scoperto che mi piace il nome Rivkà, se non sbaglio è quello di Rebecca la moglie di Isacco.
          Non sono ancora molto osservante e ieri sera e stamattina ho scritto al computer e ho risposto al telefono, ma quando vengo qui è quasi sempre venerdì e sabato e non riesco a non scrivere qualcosa.
          Adesso corro a tavola e domani ti scrivo.
          Ciao ciao e grazie. Buona appetito a tutti. Layla tov
          Samuele

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    • Sì, è un libro che va letto. Per questo Elena e io abbiamo voluto tradurlo e ci siamo battute per quasi un anno per trovare un editore disposto a pubblicarlo: perché sono cose che se non le tocchi con mano non arrivi mica a immaginartele – e non parlo solo degli aguzzini e dei loro complici. E’ stata una sofferenza immane immergerci in quell’abisso di disumanità da una parte e di dolore dall’altra, ma ne valeva la pena.

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