Una sopravissuta della Shoah adotta il nipote del comandante di Auschwitz
Eva Mozes, 80 anni, sopravvissuta alla Shoah, ha accettato di adottare Raines Höss, nipote del comandante di Auschwitz all’epoca della sua deportazione.
Questa iniziativa fa parte della missione che Eva Mozes si è data di perdonare chi ha fatto del male durante questo periodo buio in cui lei è stata vittima di crudeli esperimenti dei medici nazisti, compreso il famigerato medico Joseph Mengele.
La dolorosa storia di Eva Mozes ed il suo percorso finale verso il perdono è stata presentata in un reportage sul sito VICE NEWS in cui lei descrive gli inimmaginabili esperimenti che ha subito, e come, fino ad oggi, ha trovato la volontà di sopravvivere.
Eva e sua sorella Miryam facevano parte di un gruppo di un migliaio di gemelli utilizzati per gli esperimenti ad Auschwitz dal dottor Mengele conosciuto anche col nome di «SS, Angelo della morte».
L’anno scorso Eva ha ricevuto da Höss una mail in cui esprimeva il suo desiderio di incontrarla di persona e abbracciarla, riferisce il sito VICE.
Eva dapprima ha pensato che si trattasse di un impostore. Non riusciva a immaginare che il nipote di un nazista sarebbe stato capace di parlare contro il proprio nonno. Ma Höss ha inviato una seconda mail chiedendo a Eva di diventare la sua nonna adottiva. Allora ha deciso di riceverlo.
Nel luglio scorso si sono incontrati in Auschwitz ed Eva è stata immediatamente affascinata dalla sua intelligenza e dal suo coraggio. È stata colpita, confida al sito VICE, dal fatto che Höss, che è cresciuto nell’ambiente del Male, era tuttavia riuscito a diventare un essere umano decente.
Eva decide allora di accettare l’offerta di Höss di adottarlo come suo nipote. «Lo ammiro e lo amo. Aveva bisogno dell’amore della famiglia che non ha mai avuto».
Höss ha interrotto ogni rapporto con la sua famiglia nel 1985 ed è particolarmente arrabbiato con suo nonno a causa di crimini che ha commesso durante la Shoah.
Tuttavia, proprio come Eva ha perdonato chi è stato crudele con lei, ha esortato Höss a perdonare suo padre e suo nonno.
«Ho delle discussioni con lui, perché non sempre concordo con tutto ciò che fa. Ma lo amo veramente. C’è un vero cameratismo e una comprensione emotiva reciproca. Due persone estranee che si chiamano nonna e nipote possono dare un segno di speranza», ha detto.
Nata in Romania nel 1934 in una famiglia di contadini ebrei, Eva ha conosciuto il dolore della discriminazione fin dalla più tenera infanzia. Quando aveva 6 anni, il suo villaggio è stato occupato dai nazisti ungheresi.
I bambini del villaggio venivano incoraggiati a chiamare Eva e sua sorella «le sporche ebree».
Nel 1944, la famiglia Mozes viene trasferita in un ghetto ebraico e nel maggio dello stesso anno, sono deportati ad Auschwitz in un carro bestiame, stipati come sardine praticamente senza cibo durante tutto il viaggio.
Eva descrive i primi momenti del suo arrivo nel famigerato campo di concentramento.
«Quando siamo arrivati ad Auschwitz, abbiamo chiesto dell’acqua, ma abbiamo ricevuto ordini urlati in tedesco. Mi sono guardata intorno e in un attimo mio padre e le mie due sorelle più grandi (Edith e Alice) erano scomparsi tra la folla. Stavo attaccata a mia madre per salvarmi la vita. Pensavo che potesse proteggerci», racconta Eva.
Poi un ufficiale tedesco si è avvicinato a Yaffa, la madre di Eva e le ha chiesto se le sue figlie erano gemelle.
Quando lei ha risposto affermativamente, le due ragazze sono state prelevate dall’ufficiale. Questa è stata l’ultima volta che Eva ha visto sua madre.
«Abbiamo pianto entrambe e nostra madre ha alzato le mani al cielo in segno di disperazione. Non ci siamo neanche potute salutare, avevo la madre migliore del mondo», dice Eva.
Questo è stato solo l’inizio di una serie di esperienze traumatiche che Eva ha sopportato. Dopo essere state separate dalla madre; Eva e sua sorella Myriam sono state portate in una stanza dove sono state spogliate, rasate e tatuate.
Eva si è dibattuta con tanta forza che ci sono voluti 4 guardiani per domarla e tenerla ferma in modo che sulla sua pelle fosse inscritto un tatuaggio indelebile con il numero A-7063.
Eva e sua sorella venivano sottoposte a esperimenti 6 giorni la settimana. Le gemelle erano poste sotto osservazione ogni lunedì, mercoledì e venerdì, erano spogliate e tutte le parti del loro corpo erano esaminate per più di 8 ore di fila.
«Passavano più di 3 ore sul mio bulbo oculare, era incredibilmente umiliante. Mi trattavano come se fossi niente, un pezzo di carne sul banco del macellaio», dice Eva.
Martedì, giovedì e sabato, Eva e le altre gemelle venivano torturate nei «laboratori del sangue» dove i medici con 5 enormi aghi trasfondevano nel braccio destro il sangue contemporaneamente prelevato dal braccio sinistro.
Eva non sapeva che cosa le iniettassero. Questi test la facevano regolarmente finire all’ospedale per diverse settimane. Eva dice che è stato durante questi periodi di ospedalizzazione, mentre soffriva di forti attacchi di febbre, che ha deciso di superare a qualunque costo malattie, e di restare unita a sua sorella.
La volontà di sopravvivere di Eva ha salvato la vita anche a sua sorella Myriam.
I medici nazisti avevano progettato di uccidere Myriam dopo la morte di Eva per consentire Mengele di effettuare esami comparativi.
Eva e Myriam sono sfuggite al loro terribile destino e sono riuscite a resistere fino al 18 gennaio 1945 quando i nazisti hanno ordinato a tutti i prigionieri l’evacuazione del campo per quella che è stata poi chiamata la «marcia della morte», durante la quale coloro che erano più in grado di camminare venivano abbattuti…
Dopo la Shoah, Eva e Myriam sono ritornate in Romania a vivere con la zia. Le ragazze sono emigrate in Israele nel 1950 dove Eva ha confessato di aver «dormito per la prima volta senza timore di persecuzioni in quanto ebrea».
Dopo aver studiato all’istituto agrario ed essersi arruolata nel corpo del genio dell’esercito israeliano, nel 1960 si è sposata con Michael Kor, un sopravvissuto della Shoah. Poi si sono trasferiti negli Stati Uniti, dove hanno avuto due figli, Alex e Rina.
Dopo il trasferimento nel suo nuovo paese, Eva ha iniziato un lungo processo di perdono nel 1978 al fine di liberarsi dai suoi sentimenti di vittimizzazione.
Eva e sua sorella hanno ritrovato altre 80 gemelle in una settimana e un po’ più tardi altre 42, riferisce il VICE.
Nel 1984, le sorelle Mozes hanno creato la Fondazione di CANDLES [candele, simbolo sia di memoria che di luce, ndb] (Children of Auschwitz nazi deadly labor experiments survivors) per diffondere il messaggio che c’è sempre una speranza nella disperazione.
Dopo l’incontro con il dottor Hans Munch, un ex medico nazista e aver letto la sua testimonianza più di 50 anni dopo la liberazione di Auschwitz, Eva ha deciso di scrivere una lettera in cui perdonava i nazisti per i loro crimini.
Eva ha impiegato 4 mesi per lavorare contro il dolore, ma ha detto: «quando ho finito questo lavoro, ho realizzato che la cavia aveva il potere di perdonare il Dio di Auschwitz».
«Io avevo il potere di perdonare. Nessuno poteva darmi o togliermi questo potere. Mi sono rifiutata di essere una vittima, e ora sono libera», ha concluso Eva.
Per gentile concessione di Ynet (qui, traduzione mia)
Ho conosciuto anch’io una signora sopravvissuta. Ai turisti tedeschi che le chiedono qualche informazione per strada è solita rispondere gentilmente in buon tedesco, e alla figlia che se ne stupisce e quasi la rimprovera replica: «E cosa dovrei fare? Passare la vita a odiare e vendicarmi? Ho cose più importanti da fare, io!» Perché “loro”, la stragrande maggioranza, sono così: si rattoppano le ferite, si rimettono in piedi e ripartono. Tornano a VIVERE. E poi ci sono quegli altri, i figli dei carnefici che scelgono di guardare in faccia il male di cui sono eredi e di imboccare una strada diversa.
barbara