UNA LUCE NELLE TENEBRE

Una sopravissuta della Shoah adotta il nipote del comandante di Auschwitz

Eva oggi
Eva Mozes, 80 anni, sopravvissuta alla Shoah, ha accettato di adottare Raines Höss, nipote del comandante di Auschwitz all’epoca della sua deportazione.
Questa iniziativa fa parte della missione che Eva Mozes si è data di perdonare chi ha fatto del male durante questo periodo buio in cui lei è stata vittima di crudeli esperimenti dei medici nazisti, compreso il famigerato medico Joseph Mengele.
La dolorosa storia di Eva Mozes ed il suo percorso finale verso il perdono è stata presentata in un reportage sul sito VICE NEWS in cui lei descrive gli inimmaginabili esperimenti che ha subito, e come, fino ad oggi, ha trovato la volontà di sopravvivere.
Eva e sua sorella Miryam facevano parte di un gruppo di un migliaio di gemelli utilizzati per gli esperimenti ad Auschwitz dal dottor Mengele conosciuto anche col nome di «SS, Angelo della morte».
L’anno scorso Eva ha ricevuto da Höss una mail in cui esprimeva il suo desiderio di incontrarla di persona e abbracciarla, riferisce il sito VICE.
Eva dapprima ha pensato che si trattasse di un impostore. Non riusciva a immaginare che il nipote di un nazista sarebbe stato capace di parlare contro il proprio nonno. Ma Höss ha inviato una seconda mail chiedendo a Eva di diventare la sua nonna adottiva. Allora ha deciso di riceverlo.
Nel luglio scorso si sono incontrati in Auschwitz ed Eva è stata immediatamente affascinata dalla sua intelligenza e dal suo coraggio. È stata colpita, confida al sito VICE, dal fatto che Höss, che è cresciuto nell’ambiente del Male, era tuttavia riuscito a diventare un essere umano decente.
Eva decide allora di accettare l’offerta di Höss di adottarlo come suo nipote. «Lo ammiro e lo amo. Aveva bisogno dell’amore della famiglia che non ha mai avuto».
Höss ha interrotto ogni rapporto con la sua famiglia nel 1985 ed è particolarmente arrabbiato con suo nonno a causa di crimini che ha commesso durante la Shoah.
Tuttavia, proprio come Eva ha perdonato chi è stato crudele con lei, ha esortato Höss a perdonare suo padre e suo nonno.
«Ho delle discussioni con lui, perché non sempre concordo con tutto ciò che fa. Ma lo amo veramente. C’è un vero cameratismo e una comprensione emotiva reciproca. Due persone estranee che si chiamano nonna e nipote possono dare un segno di speranza», ha detto.
Nata in Romania nel 1934 in una famiglia di contadini ebrei, Eva ha conosciuto il dolore della discriminazione fin dalla più tenera infanzia. Quando aveva 6 anni, il suo villaggio è stato occupato dai nazisti ungheresi.
I bambini del villaggio venivano incoraggiati a chiamare Eva e sua sorella «le sporche ebree».
Nel 1944, la famiglia Mozes viene trasferita in un ghetto ebraico e nel maggio dello stesso anno, sono deportati ad Auschwitz in un carro bestiame, stipati come sardine praticamente senza cibo durante tutto il viaggio.
Eva descrive i primi momenti del suo arrivo nel famigerato campo di concentramento.
«Quando siamo arrivati ad Auschwitz, abbiamo chiesto dell’acqua, ma abbiamo ricevuto ordini urlati in tedesco. Mi sono guardata intorno e in un attimo mio padre e le mie due sorelle più grandi (Edith e Alice) erano scomparsi tra la folla. Stavo attaccata a mia madre per salvarmi la vita. Pensavo che potesse proteggerci», racconta Eva.
Poi un ufficiale tedesco si è avvicinato a Yaffa, la madre di Eva e le ha chiesto se le sue figlie erano gemelle.
Quando lei ha risposto affermativamente, le due ragazze sono state prelevate dall’ufficiale. Questa è stata l’ultima volta che Eva ha visto sua madre.
«Abbiamo pianto entrambe e nostra madre ha alzato le mani al cielo in segno di disperazione. Non ci siamo neanche potute salutare, avevo la madre migliore del mondo», dice Eva.
Questo è stato solo l’inizio di una serie di esperienze traumatiche che Eva ha sopportato. Dopo essere state separate dalla madre; Eva e sua sorella Myriam sono state portate in una stanza dove sono state spogliate, rasate e tatuate.
Eva si è dibattuta con tanta forza che ci sono voluti 4 guardiani per domarla e tenerla ferma in modo che sulla sua pelle fosse inscritto un tatuaggio indelebile con il numero A-7063.
eva
Eva e sua sorella venivano sottoposte a esperimenti 6 giorni la settimana. Le gemelle erano poste sotto osservazione ogni lunedì, mercoledì e venerdì, erano spogliate e tutte le parti del loro corpo erano esaminate per più di 8 ore di fila.
«Passavano più di 3 ore sul mio bulbo oculare, era incredibilmente umiliante. Mi trattavano come se fossi niente, un pezzo di carne sul banco del macellaio», dice Eva.
Martedì, giovedì e sabato, Eva e le altre gemelle venivano torturate nei «laboratori del sangue» dove i medici con 5 enormi aghi trasfondevano nel braccio destro il sangue contemporaneamente prelevato dal braccio sinistro.
Eva non sapeva che cosa le iniettassero. Questi test la facevano regolarmente finire all’ospedale per diverse settimane. Eva dice che è stato durante questi periodi di ospedalizzazione, mentre soffriva di forti attacchi di febbre, che ha deciso di superare a qualunque costo malattie, e di restare unita a sua sorella.
La volontà di sopravvivere di Eva ha salvato la vita anche a sua sorella Myriam.
I medici nazisti avevano progettato di uccidere Myriam dopo la morte di Eva per consentire Mengele di effettuare esami comparativi.
Eva e Myriam sono sfuggite al loro terribile destino e sono riuscite a resistere fino al 18 gennaio 1945 quando i nazisti hanno ordinato a tutti i prigionieri l’evacuazione del campo per quella che è stata poi chiamata la «marcia della morte», durante la quale coloro che erano più in grado di camminare venivano abbattuti…
Dopo la Shoah, Eva e Myriam sono ritornate in Romania a vivere con la zia. Le ragazze sono emigrate in Israele nel 1950 dove Eva ha confessato di aver «dormito per la prima volta senza timore di persecuzioni in quanto ebrea».
Dopo aver studiato all’istituto agrario ed essersi arruolata nel corpo del genio dell’esercito israeliano, nel 1960 si è sposata con Michael Kor, un sopravvissuto della Shoah. Poi si sono trasferiti negli Stati Uniti, dove hanno avuto due figli, Alex e Rina.
Dopo il trasferimento nel suo nuovo paese, Eva ha iniziato un lungo processo di perdono nel 1978 al fine di liberarsi dai suoi sentimenti di vittimizzazione.
Eva e sua sorella hanno ritrovato altre 80 gemelle in una settimana e un po’ più tardi altre 42, riferisce il VICE.
Nel 1984, le sorelle Mozes hanno creato la Fondazione di CANDLES [candele, simbolo sia di memoria che di luce, ndb] (Children of Auschwitz nazi deadly labor experiments survivors) per diffondere il messaggio che c’è sempre una speranza nella disperazione.
Eva-good
Dopo l’incontro con il dottor Hans Munch, un ex medico nazista e aver letto la sua testimonianza più di 50 anni dopo la liberazione di Auschwitz, Eva ha deciso di scrivere una lettera in cui perdonava i nazisti per i loro crimini.
Eva ha impiegato 4 mesi per lavorare contro il dolore, ma ha detto: «quando ho finito questo lavoro, ho realizzato che la cavia aveva il potere di perdonare il Dio di Auschwitz».
«Io avevo il potere di perdonare. Nessuno poteva darmi o togliermi questo potere. Mi sono rifiutata di essere una vittima, e ora sono libera», ha concluso Eva.

Per gentile concessione di Ynet (qui, traduzione mia)

Ho conosciuto anch’io una signora sopravvissuta. Ai turisti tedeschi che le chiedono qualche informazione per strada è solita rispondere gentilmente in buon tedesco, e alla figlia che se ne stupisce e quasi la rimprovera replica: «E cosa dovrei fare? Passare la vita a odiare e vendicarmi? Ho cose più importanti da fare, io!» Perché “loro”, la stragrande maggioranza, sono così: si rattoppano le ferite, si rimettono in piedi e ripartono. Tornano a VIVERE. E poi ci sono quegli altri, i figli dei carnefici che scelgono di guardare in faccia il male di cui sono eredi e di imboccare una strada diversa.

barbara

Una risposta

  1. Le colpe dei padri non devono essere fatte ricadere sui figli (e tanto meno quelle dei nonni sui nipoti).
    Tuttavia bisogna avere molto amore per il prossimo per poter superare certi traumi e, soprattutto, per perdonare.certe azioni.
    E gioia di vivere da condividere con chiunque, comunque.
    Auguri, Eva. E complimenti.

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    • ? Nessuno si è sognato di far ricadere le colpe dei padri sui figli e dei nonni sui nipoti. Sono i figli e i nipoti che, in piena libertà e consapevolezza, hanno scelto di assumersene il carico e di fare quanto in loro potere per riparare al male fatto.

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      • Certamente, Barbara (ovviamente non era riferito al tuo blog), ma il criterio della ricaduta di colpa è connaturato negli esseri umani (basta pensare alle “faide” familiari e tribali e, addirittura, etniche).
        Solo una educazione al perdono, autonoma o indotta (religione) può evitare di caderci.

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        • Temo di non essere d’accordo: che io sia disposta a fare a meno di ammazzare tuo figlio se tu hai ammazzato il mio è un conto e può senz’altro essere una cosa positiva (a patto che ci sia uno stato di diritto che provveda a fare giustizia); che io ti debba perdonare – autonomamente o indotta da una religione – è cosa totalmente diversa, totalmente slegata dalla prima, e non lo trovo né logico, né necessario, né utile. Se poi io perdonando mi sento meglio, buon per me, ma è una questione esclusivamente personale.

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  2. Forse Eva è arrivata a perdonare le persone..che l’ hanno trattata in maniera disumane e
    folle dopo un lavoro interiore cercando di arrivare allo stato mentale che le permettesse di vivere al meglio.Cioè il perdono.
    …Non sò se sarei riuscito ad arrivare al suo pensiero molto elevato. Forse sarei riuscito a
    conviverci con dei periodi di acuzie nei quali i ricordi si fanno piu’ intensi. Perdonare..molto difficile. Ricordo….E quello che rende piu’ difficile raggiungere questo
    è il persistere,l’ intensificarsi dell’ odio verso gli ebrei con tutto quello che comporta.

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  3. “Io avevo il potere di perdonare. Nessuno poteva darmi e togliermi questo potere. Mi sono rifiutata di essere una vittima, e ora sono libera”. Questa consapevolezza l’ha salvata e le ha consentito di dare un senso ai suoi giorni. Di vivere, ancora. Purtroppo per tanti altri superstiti la morte ha continuato ad essere un’ angosciante presenza.

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    • Nel modo in cui reagiamo alle situazioni che la vita ci presenta entrano in gioco talmente tanti fattori che è impossibile fare confronti fra un caso e l’altro. Lei, tra l’altro, sentiva una forte responsabilità per la sorella, sapendo che morendo avrebbe automaticamente condannato a morte anche lei. Però questa cosa del “potere”, se ci pensi, è una cosa grandiosa: in un certo senso equivale a un potere di vita e di morte che lei sente di avere acquisito nei confronti dei propri aguzzini.

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  4. Sì, vero, “potere”: direi anche di non dare “potere” (a chi se lo era preso con la forza) di annullare completamente la persona. In altre parole: se gli dimostro che sono perduta, hanno vinto loro, mi hanno “uccisa” anche se sono sopravvissuta. E invece no, non solo sono sopravvissuta: ma VIVO in maniera degna questa esistenza. Faccio cose che persone che non hanno nemmeno vissuto questo, manco riescono a fare (pensiamo a quanti di noi non riescono a “perdonare” cose irrisorie in confronto a queste). Riguardo al nipote del nazista: è giusto quello che fa. Ma tutti lo dovremmo. Anche chi non è nipote di nazisti. Dobbiamo farci carico tutti quanti di che cosa l’umanità compie, e ha compiuto. Se ci interessa il genere umano, beninteso. Ecco perché l’indifferenza, i vari “io non c’ero”, “io che cosa c’entro”, sono un fatto gravissimo. Così, se modifichiamo un momento il “nazista” ad esempio in un più generale, universale, “essere umano che non sembra più tale e compie cose atroci”, vale a dire in un soggetto malato, talmente pervertito, da avere dimenticato egli stesso di essere un essere umano (e non fa questo anche un qualsiasi assassino? Leggo da qualche parte, di recente, non so se uno psichiatra o chi altri, che dice, forse partendo dallo spunto di islamisti di oggi che decapitano: se un essere umano “pensasse”, in quel momento, che sta uccidendo un altro essere umano, non potrebbe MAI riuscire a farlo), e perciò di trattare gli altri come tali, allora potremo forse capire meglio di come tutti, sempre, siamo responsabili. In questo senso, allora, questo giovane si è fatto carico di un peso notevole: mentre invece dovrebbe essere diviso con tutti noi. Così dovremmo dire: “siamo tutti nipoti dei nazisti”, così come siamo tutti antenati di altre efferatezze (anche se nessuna ha raggiunto mai quelle del nazismo, per certe sue particolarità) compiute nella Storia dal genere umano. Per questo diffido di tutta questa voglia di “leggerezza”, in giro, per giunta ostentata continuamente. Ahinoi.

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    • Sulla riflessione psichiatrica non sono per niente d’accordo: ciò che fa godere certe persone fino all’orgasmo – e in tanti casi non è una metafora o un modo di dire – è proprio la consapevolezza di stare uccidendo un essere umano.

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      • Sì, è possibile anche questo. “Godere” nell’uccidere sarebbe però (è) comunque sempre una perversione e potrebbe avvenire anche questo solo NON pensando precisamente che si stia uccidendo un altro essere umano, ma comunque facendolo e anzi riuscendo a farlo PROPRIO non pensandoci. A mio avviso – per quello che posso arrivare a pensare razionalmente, o a tentare di immaginare io – avviene sempre una dissociazione, in ogni caso.

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        • Non credo, sai: è proprio la consapevolezza che quello che si sta uccidendo, quello che si sta squartando vivo guardando quegli occhi terrorizzati e sentendo quelle urla strazianti è un essere umano a far sentire l’assassino simile a D.o, con potere di vita e di morte sugli esseri umani (io lo so. Io l’ho vista in faccia quell’ebbrezza di potere assoluto).

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        • Non credo proprio che tutti coloro (tanti) che si sono prestati a realizzare il diabolico disegno dello sterminio siano stati ” vittime” di una dissociazione della personalità! Fantascienza! C’è stata piuttosto una consapevole volontà, progettata e caparbiamente perpetrata. E questa è la terribile realtà.

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        • PS: non avevo letto gli altri commenti… Diciamo che da una riflessione sul nazismo mi ero spostata, in generale, su una riflessione su chi compie un assassinio. Però sì, certo che Hitler era pazzo. Come si è trattata di una follia collettiva tutto quello che è successo. Ma questa mia – personale – interpretazione non è l’unica; faccio insieme diverse altre riflessioni, intorno al nazismo e all’Olocausto, e ciò non significa affatto, una forma di difesa e un voler rimarcare la totale estraneità, semmai il contrario. Solo, semmai, rimarcarne la complessità e perciò la necessità di tornare a rifletterci.

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        • Ecco, vedi, se c’è una cosa sulla quale mi sento di avere una certezza pressoché assoluta è che Hitler NON era pazzo. E anche “follia collettiva” secondo me è un modo di dire che in realtà non significa niente di concreto. Poi c’è anche chi sostiene che sia pazzo chiunque si suicidi perché una persona sana di mente non sceglierebbe mai di togliersi la vita, e anche questa secondo me è un’affermazione priva di senso.

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        • Hitler stupido lo era. Pazzo non credo, anche se molti lo scusano.

          Dico che era stupido non per dire qualcosa di dispregiativo (sebbene Hitler se lo merita), ma in base a molte cose che leggo su di lui nel periodo pre-nazismo, e anche leggendo i suoi discorsi (discorsi simili a quelli di un noto genovese dei giorni nostri).
          Inoltre, in un documentario che avevo visto, spiegavano che Hitler aveva bisogno di dei bracci destri più abili ed intelligenti di lui per governare la germania. Hitler aveva il carisma e le idee, ma da solo non era capace di realizzarle in modo concreto, ci pensavano altri nazisti – himmler and Co a pettere ‘ordine’, ed ad un certo punto alcuni dei suoi fedelissimi approfittavano pure di lui e del suo potere.
          Hitler era talmente preso dalle paranoie complottiste che fregarlo era diventato facile, bastava adularlo e fargli dei regali, e lui si fidava.
          Tutto questo senza togliere nulla. In fin dei conti, senza la mente partoriente (pur non brillante) di hitler e senza comunque la sua ambizione, Himmler e tutti gli altri parassiti (perchè in fondo questo erano) sarebbero stati, per qualcuno il vicino di casa con pensieri un pò violenti, o il postino strano, o l’uomo dalla mente chiusa, e non si troverebbero sui libri di storia.

          Inoltre tentare di invadere un paese grande dieci volte il tuo (dicasi Russia) non mostra un grande intelletto

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      • Che poi, se vogliamo, fuori dalla norma neanche poi tanto: ha solo avuto strumenti migliori dei predicatori francescani che giravano tutta l’Europa a scatenare pogrom, o dei cosacchi nell’impero zarista, e quelli che eseguivano i pogrom li facevano proprio a pezzi, letteralmente, con le proprie mani, altro che versare un barattolo di ciclon B dentro un’apertura. E se la soluzione finale si è potuta mettere in atto è perché era ampiamente condivisa. Quando ha cominciato a gassare gli handicappati, i preti hanno tuonato nelle chiese, la gente è scesa in strada a protestare, Hitler è stato addirittura fischiato!

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      • Infatti. In questi giorni, proprio grazie a questa discussione, sto facendo ulteriori riflessioni. Il fatto che ci fosse un “progetto”, nel nazismo, per esempio, e che Hitler fosse “lucido” (ma sulla sua figura sono ancora piuttosto carente), e così come tanti altri come lui che potevano sembrare normalissimi fino a poco prima, non rende tutto quanto accaduto “meno folle”: semmai di più. E di una follia, come dicevo sopra a Barbara, ancora più complessa e difficile da comprendere e sulla quale si dovrebbe riflettere continuamente.

        Un’altra cosa su cui riflettevo è la gradualità. Cioè su come, gradualmente, piano piano, poco alla volta, una follia, si possa aggravare e ampliare (e nel singolo e nella collettività), così tanto sino a qualcosa che non si poteva nemmeno immaginare. Eppure sì, mi dico, forse si doveva immaginare. Certo non si poteva arrivare a immaginare quello che è successo: ma si poteva e doveva allora immaginare almeno un vago “qualcosa di terribile che dobbiamo cercare di prevenire”, almeno. Tant’è che alcuni sono riusciti a fuggire prima.
        Si deve iniziare a farsi domande quando, ad esempio, qualcuno dice: da oggi i neri di qua, i bianchi di là. Quindi? Quindi l’equilibrio mentale non deve essere una cosa poi così sicura, stabile, statica, per nessuno di noi: siamo in un continuo “riassestamento”. Perché io posso essere tutta “normale” e tranquilla ora, seduta sulla sedia a scrivere, ma se vengono a bussarmi alla porta, e mi dicono: “senta un po’, questa è una disposizione del quartiere. Da domani, lei che è bionda, non potrà più andare ai giardinetti a sinistra della sua casa, ma solo a quelli a destra” io che faccio? Sbotto e li mando a fare in culo, gli dico “ah ah ah, è uno scherzo? Siete IMPAZZITI? Ma neanche per idea eccetera” oppure gli dico, rassegnata: “ah, un’altra trovata, e vabbè, tanto, giardinetti a sinistra o a destra, che fa, tanto ormai fate tutti come vi pare… Noi non contiamo niente ecc. ecc.” e chiudo la porta come nulla fosse?

        Ma per fare un altro esempio: quando le donne vengono uccise da compagni violenti io penso: la violenza c’era già prima, ma c’è una gradualità. Si comincia in un modo e un po’ alla volta sempre peggio. E la persona che ne è vittima vede, subisce, la violenza, ma è come aspettare ancora di peggio: prima di capire che sì, quella persona è proprio violenta, è proprio fuori di testa. Non c’è bisogno di arrivare a farsi ammazzare, per capirlo. Qui, secondo me, c’è uno dei *nodi* per quello che è successo col nazismo: perché si è dovuto aspettare di vedere/lasciare accadere il peggio del peggio del peggio? Perché si “negava” ciò che non era giusto e che era sbagliato? Iniziava già qui la pazzia? Quando non c’era reazione? Si allargavano le braccia, si sminuiva il problema, si stava rassegnati, ci si diceva “pazienza, tiriamo avanti”? E a negare che ci fosse della pazzia già in partenza, ossia ad accettare cose ingiuste, illegali, inaccettabili, incivili, definitele come volete, guarda un po’, si sono lasciate accadere poi cose di una pazzia tale che ancora oggi ci sembrano fuori dal mondo. Quindi? Sì, sì, a me pare che Hitler dovesse essere proprio pazzo, certo, ma pure tanti altri, allora, come… Oggi.

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        • Evidentemente col termine di pazzia intendiamo cose completamente diverse, e se questa è la base di partenza dubito che potremo accordarci su questo.
          Della questione della violenza sulle donne mi sono occupata spesso. Ci sono donne che al primo “sta’ zitta cretina” fanno le valigie e chiudono il discorso: queste donne sono tutte qui tra noi. Poi ci sono quelle che vengono ammazzate e regolarmente leggi sui giornali che dietro ci sono anni e anni di violenze sopportate, raccontando a se stesse che ha avuto un brutto momento, sicuramente gli passerà, forse dopotutto l’ho provocato ma se evito di farlo lui si calma. E ad ogni nuova violenza lasciata correre lui vede un’autorizzazione ufficiale ad andare oltre. Nel momento in cui, dopo anni di autorizzazioni ad andare oltre, tu dici basta me ne vado, lui ovviamente lo vive come un affronto intollerabile e incomprensibile, e ti ammazza. E, se vogliamo, è una reazione logica sulla base di come hai impostato il rapporto. Tornando al nazismo, per quello che riguarda gli ebrei, le limitazioni iniziali non avevano niente di diverso da quelle che hanno punteggiato tutta la loro storia, e difficilmente potevano immaginare che stavolta sarebbe stato qualcosa di radicalmente diverso. Per quanto riguarda i non ebrei, non hanno reagito perché gli andava benissimo, trovavano giusto e logico che fossero buttati fuori da scuole e università, che fossero espropriati di quanto possedevano. Probabilmente non tutti erano d’accordo sul fatto di ammazzarli, ma sicuramente molti di loro erano contenti di liberarsene. E dunque perché avrebbero dovuto reagire e protestare?

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        • Sì, te lo stavo per scrivere anche io, che ci dovremmo mettere d’accordo su che cosa intendi tu per equilibrio psichico e che cosa consideri pazzia. Ne ho dato accenno a Carla prima: io non credo in un “equilibrio dato per certo”, definitivo, diciamo così, come non credo che la pazzia debba essere necessariamente qualcosa di offuscato e di “non lucido”: trovo che la pazzia più pericolosa possa anzi essere proprio quella in chi anche estremamente lucido, e in cui il soggetto, abbastanza meccanicamente, riesce come ad aprire e chiudere cassetti al momento opportuno; opportuno per volere, e riuscire, sembrare, di fronte agli altri, del tutto normale e appunto lucido, nonché anche “rassicurante” e non necessariamente, in apparenza, così “malvagio”, “violento”, “pericoloso” eccetera.

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        • Beh, diciamo che sicuramente il pazzo non è consapevole delle proprie azioni, o della loro gravità, o delle loro conseguenze. Hitler voleva eliminare gli ebrei, era consapevole di voler eliminare gli ebrei, era consapevole delle conseguenze della sua scelta, ed era così pienamente consapevole della sua gravità che per attuarla li ha fatti spostare a centinaia di chilometri, lontani dagli occhi del mondo, e ha inventato un lessico speciale per le operazioni necessarie: reinsediamento per deportazione, trattamento speciale per la gassazione, azione per i massacri di massa, gruppi impegnati per le squadre che li dovevano attuare. Nessun cassetto da aprire o chiudere. Quanto alla faccia da mostrare al pubblico, hai mai visto un video dei suoi discorsi? Ti sembra uno che recita una parte diversa da quella dello sterminatore? Se c’è una qualità che davvero non gli si può negare è l’assoluta coerenza in tutte le sue azioni!
          Ovviamente non mi sono mai sognata di parlare di equilibrio psichico, ma se è per quello neanche io potrei essere definita una persona equilibrata. Il che, spero, non fa di me una pazza.

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        • Io non sono una psichiatra, ma credo che la pazzia sia una patologia. O no? Perciò pensare che tutti coloro che compiono atti di terrorismo o che si sono macchiati di crimini contro l’ umanità siano pazzi è francamente inverosimile! Sono altri i fattori che hanno portato ad assumere comportamenti deprecabili e inumani.
          Barbara ci può aiutare in un’ analisi più precisa sulle ragioni psicologiche, storiche e sociologiche che hanno indotto a certi comportamenti difficilmente concepibili e impossibili da accettare, ma che hanno una motivazione. Che non è la pazzia.

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        • Neanche io sono psichiatra, ma siamo senz’altro d’accordo sul fatto che la pazzia è una patologia. Soprattutto credo sia del tutto fuori luogo usare il concetto di normalità: potremmo citare un miliardo di azioni che non si possono minimamente considerare normali, dallo scaccolarsi in pubblico da parte di una persona adulta al lavarsi una volta al mese avendo il bagno in casa: vogliamo dire che chi fa queste cose, dal momento che non sono “normali”, è pazzo? Poi il concetto di normalità varia a seconda del tempo e dei luoghi: ci sono culture in cui ruttare a tavola è segno di apprezzamento per quanto si è mangiato, e quindi vale come un complimento alla padrona di casa. Oltretutto va anche considerato il fatto che il pazzo è, per definizione, non responsabile delle proprie azioni, e infatti non va in galera, qualunque crimine abbia commesso, e direi che questo dovrebbe essere, da solo, più che sufficiente a usare con molta cautela e molta parsimonia il concetto di pazzia applicato ai criminali.

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        • Ora, va bene tutto, ma vedere banalizzare e distorcere ciò che dice l’interlocutore, prendendolo in giro finendo a parlare della – ovviamente variegatissima – normalità relativa (che io non ho nemmeno menzionato, finché non mi è stato chiesto in qualche modo di dare una qualche definizione di pazzia), sino allo scaccolamento o alla poca igiene, no, non mi sta bene, quindi serenamente dopo questo addio.

          Il messaggio solo adesso è veramente chiaro; ricapitolando: non si può parlare, qui, di pazzia, riguardo nazisti, islamisti ecc. (e fino all’omicida qualunque): si rischia che poi il criminale (soprattutto lo psicopatico) non vada in galera. E figuriamoci allora a parlare di follia collettiva: a cui molti partecipano, poi nessuno paga e però alla fine pagheremo tutti, ma sereni, tranquilli, sono solo tutte questioni astratte mie, senza senso, che non portano a nulla! E infatti: “Ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto”, diceva uno parecchio sveglio e parecchio preoccupato, parlando – che esagerato! – di “morte universale”, altro che crimini consapevoli, altro che galera dopo crimini consapevoli.

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    • A proposito di islamico che decapita, non credo proprio sia in grado di fare una riflessione di questo tipo! Un tale ragionamento può essere applicato e compreso da una mente “occidentale”, non certo da un terrorista musulmano che odia la vita e chi non crede nel suo Dio. E non è pazzo! Ma un fanatico che è stato educato secondo i dettami di una religione alla quale crede ciecamente e acriticamente. Non c’è una ricetta per salvare il mondo dal male; è tutto molto più complesso. E non si può pensare che possa bastare una riflessione collettiva con un mea culpa liberatorio: è un’ illusione che non porta da nessuna parte.

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      • Sì, sono d’accordo. La bambina palestinese che dichiara con espressione rapita che il suo sogno più grande è diventare martire, ossia morire facendo fuori più ebrei possibile, non è minimamente pazza, è semplicemente indottrinata, le è stato insegnato così come a noi è stato insegnato ad accendere le candele davanti alla Madonna o a metterci la mano davanti alla bocca quando si tossisce.

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      • Carla, sono d’accordo con quanto scrivi, ma un po’ al contrario. : )
        Questa tua parte la trovo particolarmente calzante: “un fanatico che è stato educato secondo i dettami di una religione alla quale crede ciecamente e acriticamente”. Solo che tu affermi “non è pazzo!”. Invece per me questa è proprio la pazzia, purtroppo. Il fanatismo, credere ciecamente, acriticamente: sono proprio le basi, guarda, di una dissociazione, di un distacco dalla realtà (che dicevamo è complessa). E il nazista, questo occidentale però, indottrinato, educato ciecamente, acriticamente, all’odio verso gli Ebrei (e verso altri) che cos’era?
        Quindi un soggetto, chiunque sia, tirato su a non pensare, ad agire acriticamente, a obbedire a qualsiasi cosa sia (uccidere, decapitare, pensare che l’ebreo sia il male, il cristiano sia il male, lo yazida sia il male, l’infedele sia il male ecc.), per voi è uno normale? Per me è un povero essere umano ucciso… Una “semi-macchina”, con un corpo, una vita sì, ma una testa che non credo che si potrà recuperare più.

        PS: io – almeno credo – non sto facendo nessun mea culpa liberatorio, non sono nemmeno sicura di che cosa sia, sono a malapena stata battezzata… Certo, faccio parte di questa cultura cattolica. Ma me esiste il concetto di responsabilità. La riflessione, l’analisi, l’interrogarmi e l’interrogare sono parte di me, sono una cosa normale per me. Con tutti i miei limiti, beninteso.

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        • MayFly, l’ indottrinamento e l’ educazione, qualunque essa sia, non portano alla pazzia, ma inducono a determinati comportamenti in linea con quanto appreso. Come sostiene Barbara, e sono d’accordo, la normalità è un concetto relativo: ad esempio è normale per i fanatici di Allah perseguire la jihad, è un obiettivo fondamentale del loro credo religioso. Credi veramente che tutti i terroristi islamici sparsi nel nostro mondo occidentale e pronti ad uccidere facendosi esplodere siano dei pazzi? Possiamo ridurre tutto questo ad una devianza dovuta alla pazzia? Sarebbe un’ analisi sempliciotta e fuorviante.
          E’ evidente che la civiltà occidentale, che è di matrice giudaico-cristiana non si riconosce in questa visione e questo testimonia che la nostra ” normalità”
          ( parola che hai usato tu ) è un’ altra.
          Sostieni che siano irrecuperabili e su questo mi trovi d’accordo, tanto irrecuperabili da non poter avere un confronto. Inevitabile lo scontro di civiltà.
          Ma non abbiamo a che fare con dei pazzi… ma con qualcosa di ben peggiore!

          Non devi pensare che si voglia sminuire il tuo pensiero o addirittura deriderlo. Non mi sembra proprio sia avvenuto questo. Non era di certo mia intenzione, nemmeno di Barbara, credo. Il confronto è proficuo quando ci si misura su posizioni diverse perché ci induce a valutare anche altre possibilità di analisi.
          Ciao

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        • Certo che andremo incontro a qualcosa di peggiore: se un soggetto, poi una società, poi più società, non vogliono vedere la propria malattia (chiamiamola così, va bene? Meglio? Vi piace di più? Comunque la sostanza non cambia, eh?) o quella di altri, sarà un po’ difficile “curarsi”.

          Se uccidere (e ciò in qualsiasi parte del mondo) deve essere considerata cosa “normale”, e ciò perché qualcuno (che poi diventa, ed è già diventato: molti) lo considera tale, lasciatemi dire: e annamo bene!

          Mentre io devo essere rimasta indietro, mi pare: che il genere umano debba ripartire da concetti universali, basilari, fondamentali. Per cui non è che ci possano essere differenze “geografiche”: trattandosi di genere umano (così come per le altre specie). Che forse il gatto che vive in Cina ammazza gli altri gatti, e sembra proprio desiderare di ammazzarli poi tutti, rispetto a quelli che stanno in Europa?
          Sto dicendo QUESTO. Sto dicendo che il genere umano dimostra una “malattia”. Una dissociazione, una perversione: che significa distruggere sé stesso. Ma di sicuro, se non parte nemmeno dal vedere e dall’analizzare questo, non si trova la cura, di s-i-c-u-r-o.

          Quello che dico, ma non mi è stato dato il tempo e il modo di spiegarlo (stavo parlando, come avevo accennato, di una serie riflessioni che sto facendo in questo periodo: non di una tesi di laurea o di saggi che ho scritto, supportati da studi approfonditi! E mi pareva, con serietà, di avere premesso anche questo!).

          “Credi veramente che tutti i terroristi islamici sparsi nel nostro mondo occidentale e pronti ad uccidere facendosi esplodere siano dei pazzi? Possiamo ridurre tutto questo ad una devianza dovuta alla pazzia?”, sì, accidenti, lo credo!

          Ma ciò non significa, niente affatto, voler fare per forza un’analisi sempliciotta e fuorviante! Se i commenti – nonché le mie riflessioni, ci mancherebbe! -, e peggio ancora dei botta e risposta qua e là, sono per forza un mezzo limitato, ciò non significa che ci debba esserci per forza sotto cosa sempliciotta e fuorviante. Solo che non mi pare che si possa riuscire a esporla e spiegarla tanto bene, rispondendo qua e là nei commenti, eh? Tanto meno se poi nel frattempo devo finire a parlare di ovvietà come la relativa normalità, i moti e vari tipi di normalità e pazzie o di scaccolamenti o scoprendo che non si deve nemmeno menzionare la pazzia, perché sarebbe fuorviante oltre che pericoloso. Allora sì, mi sto zitta, allora. Se intervengo seriamente, perché considero un problema un problema gravissimo, ma ciò di base non viene considerato, e rispettando io l’interlocutore, ma allora che parlo a fare? No, che non ha senso, e non solo perché ciò che vorrei dire io potrebbe pure non avere senso (ci mancherebbe) per altri, ma non ha senso proprio la discussione in partenza.

          Qui io avevo accennato a un certo punto alla “follia collettiva”, che esiste, è esistita, eccome, nella Storia! E non è un concetto astratto, come Barbara più sopra lo aveva già interpretato: sono fatti, solo che devono essere analizzati. Se si vuole affrontare e risolvere un problema, beninteso!

          E così io dovrei partire dal considerare che decapitare un essere umano sia un fatto anzi normalissimo, perché quello che decapita lo trova normalissimo? Ma siamo matti, dico! Ma dico, scherziamo?

          Ogni omicidio, per me, di un essere umano verso un altro essere umano, scava scava scava, che sia originato da questioni e riferimenti “culturali”, politici, religiosi, ecc. anche apparentemente “diversi” dai NOSTRI, parte sempre da una “malattia”, vogliamo chiamarla così? E vedere iniziare – nell’opinione pubblica – sottilmente, subdolamente, considerare cose fuori dal mondo, che vanno contro i principi universali del genere umano, come cose “normali” (perché normali sono per qualcuno) è, questo sì, davvero pericoloso, oltre che allucinante per me!

          E questi principi universali, basilari, non sono solo “principi”, ma sono stati “evoluzione” e “natura” insieme, “istinto di sopravvivenza”, sono progresso e “conservazione”: anche della specie umana, se ci interessa, beninteso!

          E visto che i gatti nel frattempo, nei secoli, non si sono messi a sterminare i gatti, i deviati, i malati, siamo NOI. Tante (troppe) cose ce lo hanno già detto e ce lo dicono, ancora e ancora! Ma noi, duri! E allora va bene: prendiamone atto. Allarghiamo le braccia, diciamo pure “le cose peggioreranno”, è tutto “normale” così, non parliamo più di devianza, malattia, pazzia, e basta.

          Così (e perdonatemi se potete, ma è così che la vedo per ora, seriamente e non per scherzo) tranquilli, vedremo che il nazismo, e i nuovi nazismi, così come gli ordigni nucleari disseminati qua e là, vedremo che, essendo fatti normalissimi (per qualcuno, che sappiamo già che diventerà PER MOLTI), saranno confermati certo come fatti normalissimi. Mi pare ovvio.

          Vi saluto cordialmente e vi ringrazio in ogni caso del confronto.

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        • Mayflay, non ci siamo capite, è evidente: abbiamo una diversa concezione di pazzia e hai equivocato sull’uso della parola ” normalità”. Non ho detto che è normale uccidere e che bisogna accettarlo. E, insisto, il genere umano, non è malato di pazzia; le motivazioni per cui agisce in nome del male sono altre: cultura, educazione, religione, vicende storiche. Altro che pazzia! Convengo quando dici che esporre il proprio pensiero in un blog, con botta e risposta,sia complicato e non permette di esprimersi compiutamente. Non solo: le nostre sono semplici riflessioni, non disquisizioni filosofiche supportate da studi storiografici. Non hanno la pretesa di essere verità rivelate. Quindi stai tranquilla e serena che se spariamo cazzate non ci prendono per… pazze!
          Quanto ti è piaciuta questa parola!…
          Buona domenica!

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        • Il punto è che la pazzia è una patologia specifica con caratteristiche specifiche, e non si può usare come etichetta-jolly da appiccicare a tutto ciò che è negativo o che, a ragione o a torto, si considera non normale.

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        • Carla, io non ho parlato di pazzia (come molti mi sembrano fare, ahimè, volendo sminuire proprio così un problema che invece è gravissimo, nella realtà) perché mi piace il termine, o la cosa in sé, o perché la trovo particolarmente affascinante, sai.

          O, peggio ancora, perché è un’etichetta facile da appiccicare a qualsiasi tipo di problema. E d’altra parte mi pare che sarà sempre ancora tutto da dimostrare – nonché sarebbe ancora tutto un etichettare – che un essere umano che ne uccide un altro possa essere del tutto normale, visto che non sarebbe poi proprio del tutto normale-normale nemmeno scaccolarsi o non lavarsi per un mese, quindi figurarsi.

          Anche l’uomo che ne decapita un altro come se questi fosse un animale o una pianta, un vegetale, è stato detto, è convinto di essere normale (anche se secondo me, qualche dubbio… Qualche volta, gli potrebbe pure venire, e molto probabilmente, per non aver dubbi, o fantasmi suppongo di tipo soprattutto “occidentale”, dovrà continuare a reiterare e darsi parecchio da fare, pur di non fermarsi un attimo a pensare).

          Allo stesso modo, allora molto probabilmente anche quando quello che schiaccerà il pulsante della bomba atomica, sarà convintissimo che sia del tutto normale, tanto ormai… E d’altra parte pure lui allora sarà legittimato a pensare, limitatissimamente: ma io eseguo solamente, alla fine, me lo hanno ordinato altri, quelli che stanno sopra di me, che ci posso fare, faccio parte di qualcosa di più grande di me. Dunque, anche qui, non farà una piega: tutto ancora e sempre maledettamente normale.

          Peccato solo che dopo però non ci sarà più rimasto nessuno, a etichettare, mannaggia, che seccatura.

          Ma ci sarà stato magari, fino a pochi istanti prima, che tutta questa – abbondantissima, diffusissima e noiosissima, si vede – normalità degli esseri umani alla fine doveva averli proprio stancati, chi lo sa.

          Buona domenica e buon proseguimento

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    • Personalmente non sono neanche sicura che sia giusto, dopotutto, perdonare; ma d’altra parte nessuno ha il diritto di giudicare il modo in cui una persona che ha vissuto quello che ha vissuto lei gestisce ed elabora la propria sofferenza: se ha trovato una via per stare meglio, quella, per lei, è sicuramente la via giusta.

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      • Sono d’accordo. D’altra parte, non ho mai ben capito in cosa consista il “perdono”, e non solo in questo caso. Se “perdonare” significa non desiderare vendetta, questo mi è comprensibile. Ma poiché nella cultura italiana il “perdono” è associato a un comportamento dettato da una specifica religione, non so se mi è dato comprendere cosa intenda una persona che è vissuta in un’altra cultura. Probabilmente intende altro.

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        • Tra l’altro anche il perdono cristiano viene usato in maniera molto distorta. Il concetto è che tu dopo avere riconosciuto la tua colpa, essertene pentito e avere espiato, allora puoi essere perdonato; la madre che sul cadavere ancora caldo del figlio si vede sbattere davanti alla bocca il microfono col fatidico “lei perdona?”, o che cerca lei stessa il microfono per proclamare “io ho perdonato”, è una cosa che col concetto cristiano del perdono non ha niente a che vedere. Nell’ebraismo il concetto di perdono c’è (a yom kippur si va a chiedere perdono a tutte le persone a cui si ritiene di avere fatto torto o offeso), però è più ristretto che nel cristianesimo, in quanto è strettamente personale: se io ammazzo tuo figlio tu puoi (puoi, NON devi) scegliere di perdonarmi per il dolore che ho dato a te, ma non per la vita che ho tolto a tuo figlio, perché quella è di tuo figlio, non tua, e su quella tu non hai alcun diritto. Per questo il discorso che capita di sentire, degli ebrei rancorosi che ancora non hanno perdonato per l’olocausto, è un discorso del tutto privo di senso: ognuno può, se vuole, se crede, se lo ritiene giusto, perdonare per il male che è stato fatto personalmente a lui, ma nessuno ha il diritto di perdonare per conto terzi.

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        • Cosa che invece lo Stato italiano fa tutti i giorni con i criminali , specie quelli che, commettendo reati cosiddetti minori, ne commettono in grande quantità, con un numero di “terzi” enorme (praticamente tutti il popolo italiano, moltiplicato per n).

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  5. “…perdonare per il dolore che hai dato a me, ma non per la vita che ho tolto a tuo figlio…”
    ” … nessuno ha il diritto di perdonare per conto terzi.” Il perdono concepito così mi sembra sia un grande atto di rispetto. Si perdona dopo un lungo e personalissimo percorso, in assoluta libertà. E anche qui bisogna rispettare chi decide di percorrere questa strada e chi invece non se la sente. Nemmeno la religione può entrare nel merito… è una questione talmente umana…

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  6. Dimenticavo una cosa di forse non trascurabile importanza: non è il mio blog a vietare di mandare in galera i pazzi: è la legge. La non responsabilità delle proprie azioni NON è una mia opinione: fa parte delle caratteristiche CLINICHE di tutta quella serie di patologie che chiamiamo col nome collettivo di “pazzia”. Non a caso nei processi per omicidio, soprattutto nel caso di delitti particolarmente efferati, è tutta una corsa alla perizia psichiatrica, perché se viene riconosciuta l’infermità mentale, ossia la “pazzia” NON SI VA IN GALERA, perché il pazzo è PER DEFINIZIONE non responsabile, e non si può mandare in galera chi non è responsabile di un reato. Quindi parlare di pazzia e CONTEMPORANEAMENTE di responsabilità, è una contraddizione in termini: o Hitler Stalin Pol Pot Bokassa Idi Amin Mao e le centinaia di milioni di loro volenterosi carnefici pronti a denunciare genitori figli fratelli coniugi se deviavano dall’ortodossia di partito e tutti i tagliagole attuali sono pazzi, e allora, per definizione, NON sono responsabili delle loro azioni, oppure sono responsabili delle loro azioni e allora NON sono pazzi. Tertium non datur. A meno di non voler creare una propria psichiatria ad esclusivo uso e consumo personale.

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    • Io non parlavo di cose di legge, né intendevo inaugurare una nuova psichiatria, né posso ritenere utile a una discussione, o a un malinteso, diciamo così, un inutile sarcasmo come questo, di nuovo, che poi mi costringe a riepilogare e rispiegarmi faticosamente ancora (mi auguro proprio per l’ultima volta).

      Ho accennato semplicemente, all’inizio, riportando qualcosa che avevo letto, di una probabile “dissociazione” nell’istante in cui un essere umano compie un omicidio. Il mio commento, per la maggiore, parlava di tutt’altro, ossia del tema del post, e sei proprio tu, Barbara, che ti sei concentrata su quel – veramente piccolissimo – particolare. Mi hai perciò risposto che dissentivi, e da lì è nata una discussione più ampia (credevo io, che sono, per chi mi conosce, notoriamente lenta).

      Ora, a parte che – per quanto ne so, pensa che conosco una rinchiusa in un istituto con TSO, nonostante non abbia mai ucciso una mosca, perché con la sua “pazzia” metteva comunque a rischio sé stessa e gli altri: sapete, il gas acceso è un attimo pericoloso – psicopatici che hanno compiuto delitti sono stati condannati eccome e non è che sono necessariamente liberi tutti e capisco anche che molti sfruttino la “perizia psichiatrica” per sfuggire, o ridurre, la pena (e questo ovviamente non va bene), però non è che per questo uno non possa, allora – in una discussione poi nata in tutt’altro contesto, almeno per me – più nemmeno considerare certi fatti come pazzia, se li legge e interpreta come tali. Anche perché avrei dovuto affermare qualche cosa in cui non credo, che va addirittura in direzione del tutto contraria a riflessioni che sto facendo, sia pure confrontandomi – e in cui poi per larghissima parte ho un giudizio ancora in sospeso e prontissimo a spostarsi nel caso da un’altra parte – e non vedo proprio perché avrei dovuto farlo. Non capisco, francamente, dove starebbe la gravità, se non che non la pensiamo uguale su una cosa. Anche perché, pur pensandola diversamente, almeno consideriamo entrambe il problema un problema grave: e non mi sembra comunque poco.

      Se la tua preoccupazione è che si sminuiscano gravissimi crimini, per tramite della “scusa della pazzia” perché ciò è accaduto nel passato e qualcuno – o la maggioranza – se ne approfitta ancora ora, io questo ora lo posso capire benissimo, ma (e quasi subito) ti avevo pur detto, se ricordi, ti risponderò in privato, anche perché non sapevo – essendo andati fuori tema, ma interessandomi molto l’argomento, e vista la lunghezza che dovevo avere nei miei interventi, e proprio per non essere fraintesa – se avesse potuto essere il caso farlo nei commenti. Poi per educazione non ho potuto non rispondere a chi si era rivolto a me e quindi sono mio malgrado voluta restare qui nella discussione (pensando poi che allora forse interessava anche altri ciò su cui riflettevo), ma la cosa – purtroppo e purtroppo, mi spiace, soprattutto a causa vostra – si è essenzialmente spostata, come spesso accade quando si inizi anche solo a nominare la pazzia e di conseguenza la normalità, evidentemente… Su che cosa sia la pazzia e che cosa la normalità che, si capisce, è cosa abbastanza inutile.

      Ora, in estrema sintesi: io mi sono fatta l’idea che i crimini contro l’umanità siano l’espressione di una più vasta e più profonda deviazione (passata e attualissima) nell’essere umano, e che di qui a un tempo relativamente breve, continuando così, potrebbe portare a una vera… Catastrofe. Bene (cioè male). Se se ne vuole parlare, bene, se non se ne vuole parlare (perché ci sono i furbi in giro che poi usano la scusa della “pazzia” per non pagare i loro crimini), pazienza. Vorrà dire che su queste mie riflessioni andrò a cercare altrove, e non vedo il problema. E se fossero questi, i problemi.

      Di nuovo saluti

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      • Non capisco perché parli di sarcasmo e ti senti offesa. Mi pare di capire che il confronto ti crea problemi e non sei ben disposta ad accettare chi smonta le tue convinzioni. Cosa pretendi che ti venga data ragione per forza? Un po’ infantile, non ti sembra?

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        • Una persona matura che cerca il confronto, a un certo punto (abbastanza presto, e anche se lenta come me…), non appena vede che non c’è discussione e che non ci può essere, perché una delle due parti non la vuole, la discussione, e la parte che non la vuole, non la vuole perché ha già una sua idea (fissa) in testa e solo quella vuole – al massimo – riuscire a vedere nella testa di un altro, del quale sentire, pensare, riflettere ecc. non gli importa veramente un piffero, la chiude lì, a un certo punto. Esattamente come ho fatto (e faccio) io.

          (FINE)

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        • Veramente a me sembrava che quella con l’idea fissa, incrollabile, granitica, resistente a qualunque tentativo di discussione fossi tu (Però sì, certo che Hitler era pazzo). Prendo atto che per te discutere significa unicamente darti ragione, abbandonare istantaneamente le proprie opinioni perché le uniche giuste sono le tue, e che ogni dissenso, comunque argomentato, lo prendi come un attacco personale. Pazienza, me ne farò una ragione.

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        • Ah ecco, quindi io, dopo paginate di cose che ho scritto (tentando di uscire dall’angolo della “pazzia”: in cui pretendevi proprio TU di mettermi e farmici restare, e non c’era verso di riuscire a spostarsi di un millimetro, come continui a fare anche adesso, e nemmeno – mi pare, a questo punto – rendendotene bene conto), ero venuta qui per dire solo che “Hitler era pazzo”.
          Grazie dell’informazione: non lo sapevo.

          La prossima volta sarò almeno sicurissima che le mie riflessioni (in divenire, che sono ancora cosa aperta, in corso) sarebbero – anche se non scritte – comunicate in ogni caso “telepaticamente” a te: tanto, sai già tutto e sai sintetizzare (=ridurre in niente) tutto così straordinariamente… Perciò mi sarà almeno evitato di perdere un sacco di tempo per poi dovermi solo sentire cascare le braccia. Ciao ciao.

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        • MayFly, sei fuori strada, hai perso la bussola e rischi di dire stupidaggini, anzi in questi ultimi commenti ne hai dette a iosa. Continua a stare qui tra noi e piantala di sentirti una vittima. Nessuno ce l’ha con te o con le tue idee. Dai, non essere ridicola!

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      • Sì, sinceramente anch’io, come Carla, continuo a non capire il motivo per cui attribuisci ai tuoi interlocutori motivazioni offensive nei tuoi confronti non appena si dissente dalle tue affermazioni, e perché ad ogni dissenso tu reagisca in maniera così aggressiva.

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        • Scusatemi, ma ero (sono) andata a proseguire (pacificamente) altrove con le mie riflessioni.
          OT per Carla: non mi sento affatto una vittima. Ma già che ci sono: quindi tu, anche se qui fosse entrato Einstein in persona, a buttar là che se si continua così è una… “follia” e si rischierà la fine dell’intero genere umano la prossima (vicina) volta (d’altra parte, 50 milioni mi pare, la volta scorsa, non sono bastati, al genere umano, e quindi è ancora tutto e sempre normalissimo), gli avresti risposto che lui, suvvia, avrebbe preso le cose troppo sul personale, in maniera infantile, si sentiva una vittima ed era ridicolo. Ho capito.
          Ciao ciao.

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        • Vedo – con amarezza e dispiacere – che continui ad allontanarti sempre più dal tema, dalla logica, dal buon senso, talmente persa nel tuo divagare e cambiando ogni volta argomento, da non sapere neppure più, tu stessa, di che cosa stai parlando. Peccato davvero.

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        • Barbara, sì, peccato, e mi dispiace per la tua amarezza e dispiacere, sinceramente, e che spero già ampiamente superate: in fondo non è mica accaduta una vera tragedia. Spero di trovarti d’accordo almeno su questo.
          Semplicemente non mi riconosco come tu mi descrivi: aggressiva ecc., e quindi te lo dico, come non ritengo – se tu permetti – di essere entrata qui per dire ciò che tu hai riassunto, o non dire sostanzialmente niente, o che mi sono persa e non so neanche quello che volevo dire ecc. Più che questo non saprei che dire. Io so soltanto – al di là di questa discussione per me fallita miseramente – che ti voglio bene lo stesso. Non chiedermi perché ti voglio bene, e perché ti voglio bene lo stesso, perché non lo so nemmeno io. Pazienza per tutto il resto.
          Buone cose e buon proseguimento, in pace

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  7. Cosa c’entra Einstein… Sì, probabilmente gli avrei detto le stesse cose che ho esposto a te, solo che, ne sono convinta, lui non avrebbe mosso il vespaio che hai sollevato tu. Avrebbe capito il mio ragionamento, sfuggito invece a te. E non perché tu non sia un genio… ( dai concedimi la battuta!). Mi rammarico che ancora una volta dimostri di non accettare il confronto e, perdona la franchezza, sei anche un po’ arrogante nel giudicare con tanta veemenza i tuoi interlocutori. Ha ragione Barbara: peccato davvero.

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