PICCOLO DIARIO DA GERUSALEMME

8 marzo 2015
oggi è stata senz’altro una giornata particolare : shopping insieme a mio figlio che in genere non chiede mai nulla e che mal sopporta i negozi.
aveva cominciato all’alba andando a salutare due suoi compagni che questa mattina si sono arruolati. dopo questa commovente prima mattinata mi ha chiesto di accompagnarlo a comprare tutto ciò che dovrà mettere nello zaino, suo compagno di viaggio, di giorno e di notte, per i prossimi tre anni: domenica prossima sarà il suo turno, il giorno del suo ghius (arruolamento).
abbiamo comprato calzini anti-fungo, mutande anti-infiammazione, magliette anti-sudore, sacco anti-odore, zaino anti- dolore alla schiena, insomma è stato tutto un “anti”. ma è stata anche una giornata emozionante : non c’è stata commessa o venditore che non gli abbia chiesto il perché degli acquisti. alla risposta “domenica comincio la zavà (esercito)” , uno gli ha stretto la mano, una gli ha dato una pacca sulla spalla, un altro gli ha piazzato un “five” ed un vecchio signore gli ha regalato una collanina con la ‘benedizione della strada” ( che augura di uscire be-shalom-in pace- e di ritornare be-shalom-in salute-) e lo ha abbracciato forte come fosse stato suo nipote, sussurrandogli ad un orecchio di “essere vigile su se stesso” .
sulla porta del negozio mio figlio ha incontrato un suo compagno di scuola col quale ha condiviso dall’asilo, tutte le classi. non si vedevano da tempo. il suo compagno inizierà giovedì prossimo, e anche lui faceva lo stesso shopping. si sono abbracciati e detti ” behazlacha’ achì- buona fortuna, fratello mio!- “, così, semplicemente, ma con tutto l’amore che hanno sempre avuto l’uno per l’altro.
siamo ritornati a casa ed abbiamo scaricato i pacchi.
ho visto mio figlio sfilarsi la collanina e legarla allo zaino. mi ha guardato e, accorgendosi che la cosa un po’ mi dispiaceva, mi ha detto che ai soldati è vietato portare catenine al collo perché si dovrà portare solo il dischetto di identificazione, ma la “benedizione della strada” che il vecchio signore oggi gli ha regalato , sarà con lui, appesa allo zaino.
non nascondo che ho dovuto ingoiare una lacrima , mi sono allontanata in modo che imanuel non si accorgesse di nulla.
anche questo è l’8 marzo delle mamme qua in Israele.

15 marzo 2015
“In un mondo in cui non ci sono uomini, cerca di essere un uomo”. Pirkè Avot- Massime dei Padri Così abbiamo salutato nostro figlio e tutti i soldati che sono anche loro nostri figli. Preghiamo che tornino in pace ed in salute e che gli insegnamenti ricevuti in famiglia, nella scuola, nella mehinà e nella società, illuminino la loro strada, non sempre facile e felice.
Tutte le famiglie che accompagnano i loro figli alla Ghivat Hatacmoshet, si stringono attorno ai loro ragazzi e i loro amici, si scambiano telefoni ed informazioni. Ed i genitori, prima di lasciarli andare, seguendo un’antica tradizione pongono le mani sulla testa del loro figlio e lo benedicono.
E come sempre continueremo ad evocare la pace, vocabolo più usato nelle nostre preghiere.

16 marzo
Kerry ieri aveva dichiarato che per mettere fine alla guerra in Siria non c’è che una strada: trattare con Assad, 300.000 morti sono troppi. La risposta dell’Inghilterra è stata ferma: Assad non è previsto nel futuro della Siria. In nottata, una nota della Casa Bianca chiariva la posizione americana e affermava che la politica estera degli USA non cambierà nei riguardi della Siria.
E mancano due lunghi anni alla fine di questa amministrazione.

18 marzo
Elezioni politiche, il giorno dopo
Di analisi del prima e del dopo, non ne posso più.
Profonda ed onesta una critica che ho sentito alla radio poco fa: la vittoria di Netaniahu ci farà avere molte sorprese quando si scoprirà che molte persone, quelle che ieri si vergognavano di dire per chi avevano votato, oggi lo dichiarano. E non sono delle periferie ma del centro del paese, quello ricco ed acculturato, perfino di Rh Shenkin , nel cuore di Tel Aviv, perché alla fine hanno scelto l’unica persona che si è mostrata leader. La stampa deve fare una bella autocritica e anche mettere al bando quelle organizzazioni , che , a suon di milioni di dollari, hanno tentato di deviare le scelte politiche degli Israeliani.
Io, personalmente, speravo in un risultato che portasse sul piano delle priorità i problemi più urgenti da risolvere, ma il popolo ha detto la sua ed il popolo è sovrano. Questa è la democrazia e che non vengano a darci lezioni quegli italiani che hanno dei governi che da tre mandati non sono frutto di elezioni popolari.
Buon giorno da una bella e tiepida giornata di sole da Gerusalemme.

22 marzo
Due giorni fa le tanto impeccabili quanto solerti Nazioni Unite, hanno condannato Israele per le sue violazioni ai diritti delle donne. Se si voleva una prova ulteriore che all’ONU si occupano solo ed esclusivamente di Israele, ora non avrete dubbi. A memoria mi sembra che sia l’unica condanna su questo tema. Abbiamo preceduto l’Arabia Saudita, l’Afganistan e vi risparmio una lunga lista di nazioni del mondo che non solo considerano le donne meno che animali (senza offesa naturalmente per queste creature), ma possesso assoluto dell’uomo e del padre che ne decidono vita, schiavitù e morte.

23 marzo
La Commissione dei Diritti dell’Uomo alle UN, dedicherà l’intera giornata di oggi a discutere ben 7 punti all’ordine del giorno , tutti dedicati a Israele e che lo vedranno unico paese al mondo sul banco degli imputati per crimini contro l’umanità.
Alla radio reshet bet, hanno riferito che in Israele , questa giornata è stata definita “il giorno dell’odio contro Israele organizzato dall’ONU.”
Qualcuno si preoccupa delle conseguenze di questo bombardamento di veleno ?
E già sappiamo come andrà a finire.

25 marzo
Devo dire che l’intervento di Obama che la tv israeliana ha trasmesso ieri sera, mi ha inquietato abbastanza.
Non trovo del tutto campate per aria le argomentazioni di Netaniahu circa la realizzazione di uno Stato di Palestina, nella situazione attuale e nella geopolitica caotica e pericolosa nella quale ci troviamo ( non solo in Israele). L’Isis è alle porte anche dell’Europa; guerre religiose interne al mondo islamico, guerre civili e tribali hanno prodotto disgregazioni di Regimi e Stati e annullamenti di frontiere; l’Iran firmerà a breve con USA e UE un accordo vantaggioso solo al suo programma nucleare, e Obama si preoccupa di “scongiurare il caos in Israele”? In questo momento credo fermamente che sia compito d’Israele difendere i suoi confini alla luce di tutte le minacce che la riguardano direttamente. Non credo che rispetto a questo punto, altri governi israeliani si comporterebbero diversamente.
Credo anche che sia piuttosto “ingenuo” il pensiero di Obama: “si eviterebbe il caos se si realizzano le aspirazioni legittime dei Palestinesi e quindi, di conseguenza, si garantirebbe la sicurezza di Israele e la stabilità nella regione”.
Intanto tutte le scelte di questa amministrazione americana che avrebbero dovuto portare garanzia e stabilità sono fallite ovunque, e, sono proprio quelle, che hanno portato instabilità e caos. Fossero vere le affermazioni di Obama, avremmo dovuto vedere Abu Mazen seduto al tavolo di una trattativa già da anni, ma perché mai dovrebbe farlo, se in questo modo avrà la strada spianata alle NU, evitando la guerra civile con Hamas e tutti gli altri gruppi di jahadisti presenti a Gaza e in Cisgiordania?
Ho molto ragionato sul personaggio Obama e penso fermamente che questo accanimento gli venga dal suo complesso represso di inferiorità dovuto al colore della sua pelle: per lui i palestinesi sono una minoranza da difendere e non si rende conto che la minoranza da difendere è invece Israele con la metà del popolo ebraico che ci vive. Israele non ha avuto nessuna assicurazione alla sua sopravvivenza dall’oltre un miliardo di musulmani che abitano intorno allo Stato Ebraico e nel mondo e abbiamo imparato, a nostre spese e troppo spesso, che la legittimazione del mondo non basta per sopravvivere.

25 marzo
Immaginate , solo per un momento, che Israele chiuda i rubinetti che forniscono il gas nella Striscia di Gaza. Il motivo è l’enorme debito, in centinaia di milioni di dollari che Hamas ha accumulato e mai pagato. E immaginate, solo per un momento, quale sia la risposta del mondo.
Questa mattina l’Egitto, senza se e senza ma, l’ha fatto e per le stesse motivazioni. E il mondo?
Angela Polacco Lazar

Un’occhiata dal di dentro può essere utile, ogni tanto.

barbara

AGGRESSIONI: QUELLE FASULLE STROMBAZZATE E QUELLE VERE IGNORATE

La svastica a Berkeley

“Vorrei con tutto me stesso essermi sbagliato. Spero e prego perché l’ondata di antisemitismo che avverto sia una profezia sbagliata”. Purtroppo per Lawrence Summers, allora presidente di Harvard (2001-2006), la sua profezia si è rivelata corretta. Alla University of California di Irvine, la confraternita ebraica ha trovato svastiche sugli edifici del campus, e lo stesso nei giorni scorsi è accaduto alla Vanderbilt University, alla University of Oregon e alla Emory University. Incidenti sempre legati alle attività antisraeliane. Newsweek lo chiama “il problema della svastica a Berkeley”. L’antisemitismo attecchisce come una pianta malefica nella Ivy League, la lega dell’edera, i laboratori delle “equal opportunities” e della counter culture inebriata di benessere, del “Black is beautiful” e del continuo ricatto delle minoranze etniche o sessuali, dove il ragazzo nero del profondo sud siede nello stesso banco dell’erede Rockefeller, le oasi verdi fatte di sole, ginnastica, jogging, piazze animate da concerti, manifestazioni di studenti, in un reticolo di strade costellate di librerie, caffetterie, ristorantini, pizzerie. E in mezzo, i premi Nobel e i templi della conoscenza. E’ possibile che i college più liberal del mondo stiano adesso incubando l’antisemitismo assieme al cinismo sull’occidente, al sospetto sul capitalismo e al politicamente corretto? I primi segni di quest’odio nuovo si ebbero proprio a Berkeley nel 2002, quando sulla scalinata della Sproul Hall nell’Università di Berkeley, dove nacque il Free Speech Movement, alzò la voce una nuova generazione di studenti. Stavolta contro Israele e il popolo ebraico. Il 54 per cento degli studenti ebrei del college oggi dice di aver subito aggressioni antisemite o di esserne stato testimone, secondo la ricerca pubblicata dal “Center for Human Rights Under Law” del Trinity College. E quando gli studenti hanno denunciato i disagi alle relative amministrazioni delle facoltà, le università non l’hanno quasi mai presa seriamente. Jessica Felber, una studentessa ebrea, ha denunciato Berkeley dopo essere stata aggredita da un altro studente, Husam Zakharia, mentre partecipava a una dimostrazione in favore di Israele. L’università era a conoscenza che Zakharia era un capo del gruppo “Studenti per la giustizia in Palestina”, e che si era reso responsabile di altre aggressioni nel campus. Nelle facoltà dove professori e studenti cercano maggiormente di proteggere i diritti etnici e delle minoranze razziali, i discorsi dell’odio contro la comunità ebraica sono diventati un problema dilagante. Dopo l’ultimo conflitto a Gaza, la scorsa estate, sono apparse sui muri del campus di Berkeley le scritte “Morte a Israele” e “Uccidiamo tutti gli ebrei”. Nei giorni scorsi è stata poi la volta dello slogan: “I sionisti dovrebbero essere mandati nelle camere a gas”. A Berkeley la madrina delle campagne contro Israele è la professoressa Judith Butler, che ha inventato gli “studi di genere” così popolari oggi anche in Europa. La Butler finì sotto accusa per una intervista in cui denunciava i memoriali per le vittime dell’11 settembre: “Dopo l’11/9, sono rimasta scioccata dal fatto che c’era un lutto pubblico per molte delle persone che sono morte negli attacchi al World Trade Center e nessun lutto pubblico per i lavoratori illegali del WTC”. Gary Tobin nel suo libro “Uncivil University” scrive che “antisemitismo e antisraelismo sono sistematici nel campo dell’istruzione superiore e possono essere rilevati nei campus di tutti gli Stati Uniti”. Ovunque nelle aule i professori dipingono i palestinesi come vittime degli “occupanti israeliani” e lo stato ebraico è ritratto come “razzista”, “stato di apartheid”, “genocida”. Negli edifici dei campus, i gruppi antisraeliani organizzano picchetti, conferenze per il boicottaggio, e i sostenitori di Gerusalemme sono quotidianamente interrotti, è loro impedito di parlare e studenti ebrei sono aggrediti, anche fisicamente. Nel giugno 2009, Tammi Rossman-Benjamin, che insegna all’Università di Santa Cruz, ha presentato una denuncia al dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti contro i campus universitari di Santa Cruz che sponsorizzavano conferenze e film “violentemente anti-Israele”, usando i soldi del campus, per diffondere antisemitismo in contrasto con il “Civil Rights Act” del 1964. Nell’ottobre 2010 il Dipartimento dell’Educazione ha stabilito che le università finanziate a livello federale sono obbligate a eliminare ogni pregiudiziale antisemita. Non va dimenticato che il simbolo del pacifismo antisraeliano nel mondo è Rachel Corrie, una studentessa universitaria americana, rimasta uccisa a Gaza sotto un bulldozer israeliano, nel tentativo di bloccare la demolizione di una casa di terroristi. Il mito di Corrie ha ispirato opere letterarie, boicottaggi, e articoli in tutto il mondo. La sua storia ha contribuito a diffamare Israele in un modo persino peggiore della storia di Mohammed al Dura. Dopo la morte di Corrie, la Caterpillar è stata bersaglio di molte campagne e persino la Church of England ha venduto le azioni di quella società. Hamas ha adottato il suo viso come mascotte e l’Iran le ha dedicato una strada. Una delle navi della flottiglia per Gaza portava il suo nome, come se fosse stata un’inerme ragazza occidentale. Corrie, invece, era nella Striscia di Gaza per fare da scudo umano ai terroristi. Alla Evergreen State University, gli ex professori di Corrie alle cerimonie di laurea indossano pantaloni cachi e kefiah, in omaggio alla loro ex studentessa. Nei giorni scorsi il David Horowitz Freedom Center, un think tank conservatore in California, ha diffuso la lista nera dei peggiori campus d’America. Svetta in testa alla classifica la Columbia University. I primi a denunciarla sono stati alcuni studenti con un documentario, “Columbia Unbecoming”, prodotto da un gruppo di Boston chiamato The David Project, il cui obiettivo dichiarato è “contrastare l’atteggiamento ingiusto e sleale delle nostre università, dei mezzi di informazione e delle comunità”. Il film mostra una serie di studenti che accusano i docenti della Columbia di allontanarli, intimidirli e offenderli quando fanno sfoggio di opinioni filoisraeliane. “Quanti palestinesi hai ucciso?”, chiede il professor Joseph Massad a uno studente che ha fatto la leva in Israele. Nel documentario, uno dei più illustri islamisti del paese, George Saliba, a una ragazza ebrea dice che non può vantare diritti sulla Palestina perché non aveva “occhi abbastanza semitici”. La Columbia è l’ateneo di Rashid Khalidi, direttore del Middle East Institute di quella Università, che ha definito “legittima resistenza” il terrorismo suicida contro Israele e l’esercito israeliano “un’arma di distruzione di massa”. La Columbia è un centro strategico perché è l’Università dove ha insegnato Edward Said, l’accademico palestinese più illustre del XX secolo. Said era la quintessenza dell’intellettuale occidentale, coccolato dai liberal e bestseller di lungo corso nelle librerie europee. E, al tempo stesso, l’esponente culturale più prestigioso del fronte del rifiuto palestinese. Celebre la foto in cui Said si fece ritrarre, al confine del Libano meridionale, mentre tirava sassi contro i soldati israeliani. Fu lui a inventarsi una patria palestinese, molto prima che Yasser Arafat piazzasse bombe negli aeroporti europei per rivendicarla. Fu Said a scrivere lo storico discorso con cui il rais si presentò nel 1974 all’Onu, con il ramoscello d’ulivo in una mano e nell’altra la pistola. La sua definizione dei palestinesi come “vittime delle vittime”, “profughi dei profughi”, ha avuto una risonanza straordinaria in occidente. E’ l’attrazione fatale per la vittima che diventa carnefice. In una intervista del 1989 Said disse, senza equivoci: “Quello che fanno i palestinesi per mezzo della violenza e del terrorismo è comprensibile”. Questa condiscendenza ha seminato nel profondo i campus americani. A Berkeley è stato tenuto un corso sulla “Politica e Poetica della Resistenza palestinese”. Nemmeno a Georgetown, l’ateneo dei gesuiti lautamente finanziato dai mercanti arabo-islamici, si lesina moderazione. Yvonne Haddad, docente di storia dell’islam e di Relazioni cristiano-musulmane, ha detto che Intifada, quella dei kamikaze, significa “non mi rompere le palle”. Hamid Dabashi, docente di Studi iraniani alla Columbia, ha fatto proiettare pellicole dove s’inneggia alla fine di Israele. A Yale è durato appena quattro anni l’Initiative for Interdisciplinary Study of Anti-Semitism, il primo centro accademico al mondo completamente dedicato allo studio dell’antisemitismo. Quattro anni dopo è stato chiuso, essendo stato accusato di “servilismo verso Israele”, a causa della pressione dei diplomatici palestinesi negli Stati Uniti, del politicamente corretto e delle laute donazioni dei paesi arabi. Come ha scritto sul Washington Post il professor Walter Reich, che insegna alla George Washington University, “Yale ha ucciso il miglior istituto americano per lo studio dell’antisemitismo” perché “critico dell’antisemitismo arabo e iraniano”. Nessuna polemica invece venne sollevata quando gli studenti del Jackson Center for Global Affairs di Yale vennero portati dai loro docenti a incontrare il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in visita all’Onu (in quell’occasione il leader iraniano negò nuovamente la Shoah). Ci sono diciassette centri di studi mediorientali negli Stati Uniti e quasi tutti ospitano ricercatori antioccidentali e antisraeliani. Lo scorso ottobre centinaia di antropologi in tutto il mondo hanno firmato un appello per il boicottaggio di Israele. C’erano anche tredici professori dalla Columbia University, nove da Harvard e otto da Yale. Tra loro nomi importantissimi del mondo dell’antropologia, come i professori Jean e John Comaroff di Harvard, decani degli studi post coloniali e africani, e Michael Taussig della Columbia, lo studioso della mimesi e dell’America latina. L’American Studies Association ha recentemente aderito alla campagna internazionale di boicottaggio contro le università israeliane. E viene da Harvard il professore che ha scritto “Israel Lobby” (si tratta di Stephen Walt), la versione dei “Protocolli dei Savi Anziani di Sion” aggiornata a Israele. E’ anche un problema di fondi che arrivano dai paesi islamici. Basta scorrere l’elenco delle donazioni dai potentati arabi del Golfo dal 1995 a oggi: Boston University (1,5 milioni), Columbia University (500 mila dollari), George Washington University (12 milioni), Georgetown University (16 milioni), Harvard (12 milioni), Mit (10 milioni), University of Arkansas (18 milioni). L’intolleranza intanto dilaga ovunque. Dall’Hampshire College, dove uno studente pro Israele è stato aggredito da parte di individui dai volti coperti al grido di “Baby Killer”, alla Rutgers University, dove in un evento i palestinesi sono stati paragonati alle vittime dell’Olocausto. Intanto, dalla mensa della Università di Harvard, è scomparsa la Sodastream, azienda israeliana leader nella gassificazione dell’acqua. Il pensiero corre al 1934. L’anno in cui Harvard accolse Ernst Hanfstängl, sodale di Hitler nonché finanziatore del “Mein Kampf”. Quando un rabbino gli chiese delle violenze antisemite a Berlino, Hanfstängl rispose: “Sono in vacanza fra vecchi amici”. E si avviò a prendere un tè con il presidente di Harvard, James Conant. Questa ondata di irrazionalità antisemita e di isteria antisraeliana nei campus d’America è l’inveramento della profezia non soltanto di Lawrence Summers, ma anche di Allan Bloom, il docente di Filosofia all’Università di Chicago che deprecò la caduta di questi santuari della conoscenza con un libro che destò scalpore, “La chiusura della mente americana”. Dove tutto ormai deve essere istantaneamente gratificante. Compreso l’odio per Israele. Quest’oppio delle élite. L’ultima buona causa liberal e umanitaria.
Giulio Meotti

Come dicevano i latini, ubi maior minor cessat: di fronte a un’aggressione verbale all’ebrea buona Noa, che saranno mai le aggressioni fisiche ad ebrei che non si sa mica se siano buoni o no, capaci magari di essere addirittura sionisti?

barbara

CARA NOA

Lettera aperta di Deborah Fait

Cara Noa,
Ero fresca di aliyah quando, nel lontano 1996, a Tel Aviv, sono andata al teatro Habima per un tuo concerto. La tua voce ti aveva già resa famosa in Italia, paese da cui venivo, e l’idea di vedere dal vivo un’artista che, per la sua bravura, portava lustro a Israele, mi emozionava. Quando sei apparsa sul palcoscenico, tutta vestita di bianco, mi sono resa conto che c’era qualcosa che non andava, il teatro era stracolmo ma gli applausi non arrivavano, sei stata accolta da un gelo che si poteva tagliare col coltello. Hai cantato una prima canzone, benissimo come sempre, e sei tornata dietro le quinte seguita da qualche fischio. Io mi sentivo imbarazzatissima perché non capivo bene il motivo di tale freddezza nei confronti di un’artista così brava e per giunta israeliana.
Il mio vicino di poltrona mi ha spiegato l’arcano: avevi fatto alcune dichiarazioni molto forti incolpando praticamente tutto Israele per l’assassinio di Izhak Rabin, avvenuto un paio di mesi prima, e avevi in un certo senso giustificato il terrorismo palestinese. Israele che per quella tragedia aveva pianto tutte le sue lacrime, non te lo aveva perdonato e da quel momento ebbe inizio il difficile e sofferto rapporto con il tuo popolo. Poi sei tornata sul palcoscenico con un foglio in mano, nel silenzio generale e con voce un po’ tremante, hai letto una lettera di scuse a Israele. All’improvviso, come una cannonata, è scoppiato un applauso così forte da far tremare il teatro. Eravamo tutti in piedi a gridare il tuo nome colla gola chiusa e le lacrime agli occhi.
Quanto poco ci vuole per commuovere gli israeliani, basta un po’ d’amore in mezzo all’odio che ci circonda. Era tutto finto? Erano scuse interessate? La tua storia di questi ultimi 20 anni dice di sì. Dopo quel concerto hai continuato imperterrita a fare la pacifinta e a esprimere giudizi velenosi contro Israele. Da alcuni giorni i media italiani e soprattutto i social network, parlano di come tu sia stata contestata al tuo ritorno in Israele, sei stata apostrofata a male parole e, sempre a parole, minacciata. Non doveva accadere ma, come si dice, chi la fa l’aspetti!
Nessuno ti ha sfiorata eppure in Italia parlano di “Noa aggredita, Noa assalita all’aeroporto di Tel Aviv”. Sono incapaci di usare le parole giuste, ai nostri nemici fa gioco imbrogliare la gente. Gad Lerner, dal suo blog, fa anche di più e di meglio, se no non sarebbe Gad Lerner cioè uno che non sopporta Israele, che come altri ex comunisti odia la nostra democrazia, che al pari di altri ritiene Israele responsabile di ogni male del mondo. Lerner, oltre a strepitare istericamente che eri stata aggredita in Israele, non incolpa solo i due che ti hanno insultata, ma tutti gli israeliani, ci accusa di razzismo e arriva a demonizzare, senza nominarlo, l’unico premier democraticamente eletto, con voti liberi e democratici, di tutto il Medio Oriente e anche di qualche nazione europea… e chi ha orecchie da intendere intenda!
Nessuno ti ha aggredita, Noa, nessuno ti ha assalita, tu lo sai e dovresti dirlo, dovresti gridarlo forte per farti sentir bene fino in Italia dove vanno a nozze ogniqualvolta possono accusare Israele. Sei stata presa a male parole, “nemica di Israele” ti hanno gridato, “ la pagherai”. Io al posto tuo incomincerei a farmi un sano e doveroso esame di coscienza. Cara Noa, perché ti consideriamo, e mi ci metto anch’io, “nemica di Israele”? Per quale motivo un’artista del tuo calibro, che dovrebbe renderci gonfi di orgoglio, ci fa vergognare?
Vediamo un po’:
Anni fa hai cantato davanti al Papa la più bella canzone israeliana, quella che tocca nel profondo il cuore di tutti noi, “Jerushalayim shel Zahav – Gerusalemme d’oro”, eravamo felici, ecco la Noa che amiamo, avevamo pensato, e poi? Poi hai usato la censura, con un colpo di forbici, hai profanato il capolavoro di Naomi Shemer, hai offeso la sua memoria e tutto il popolo di Israele, togliendo l’ultima strofa, quella che fa:

”Siamo ritornati alle cisterne d’acqua, al mercato e alla piazza,
uno shofar risuona sul Monte del Tempio, nella Città Vecchia.
E nelle grotte che ci sono nella roccia splendono mille soli:
torneremo a scendere verso il Mar Morto, sulla strada di Gerico”.

Hai avuto paura Noa? Hai temuto che ti considerassero troppo sionista? Andiamo avanti con le perle uscite dalla tua bocca. Durante la commemorazione dei caduti nel giorno del ricordo, Yom haZikaron, hai detto di voler ricordare anche i “caduti” palestinesi! Quali caduti, Noa? Quelli che venivano in mezzo a noi per farci esplodere? Hai offeso le famiglie “orfane” di figli, padri, sorelle, madri, tutti i morti in guerra e per terrorismo, hai di nuovo offeso tutto Israele. Perché? Sei diventata la paladina del pacifismo israeliano, cieco come tutti i pacifismi del mondo. Quel pacifismo ipocrita, che urla al razzismo se Netanyahu invita legittimamente ad andare a votare per contrastare il voto arabo che avrebbe potuto far vincere la sinistra, e poi, senza vergogna, insulta i religiosi ebrei, li demonizza, li accusa di essere un pericolo per Israele, invita la gente a non fare offerte, come si usa, per le famiglie indigenti, se ebree ortodosse. E’ questo il tuo pacifismo, Noa? Come puoi essere complice di un simile orrore?
La tua indiscussa bravura, la tua voce, la tua musica avrebbero potuto far amare Israele nel mondo invece hai scelto l’altra strada, quella del “mi vergogno di quella che sono… perdonatemi se sono israeliana… cercherò di farvelo dimenticare…”
Ma non ti è servito a niente, Noa, chi odia Israele odia anche te e lo dimostrano tutte le contestazioni di cui sei stata oggetto in Italia:
-Ti hanno contestata a Lecce durante la notte della Taranta, il comunicato dice: “Ci chiediamo perché la direzione artistica della Notte della Taranta avalli la complicità di Noa con i crimini dell’esercito di Israele. Ci chiediamo perché le amministrazioni pubbliche (Regione Puglia e Provincia di Lecce), finanzino questo evento senza prendere in considerazione il fatto che la presenza di Noa legittimi il regime di apartheid israeliano.” Questo perché avevi scritto ai tuoi “amici palestinesi” mettendoli in guardia dal fanatismo di Hamas. Che ingenua, Noa, come potevi pensare che i palestinesi considerassero fanatico un gruppo di terroristi che tanto amano! http://www.forumpalestina.org/news/2009/Agosto09/24-08-09NoaContestata.htm
– Ti hanno contestata al San Carlo di Napoli per lo stesso motivo. http://osservatorioiraq.it/campagne-e-iniziative/la-cantante-israeliana-noa-contestata-al-san
– Ti hanno contestata a Firenze. C’erano tutti, estrema sinistra, sinistra moderata, fascisti storici, filopalestinesi, neonazisti del BDS, associazioni pacifiste toscane, tutti a strillare del “genocidio di Gaza”. http://www.controradio.it/cantante-noa-contestata-firenze-durante-concerto/
Perché non hai mai avuto il fegato, Noa, di metterti a gridare che non esisteva nessun genocidio, che era guerra, che sono loro, gli arabi, a voler eliminare noi! Perché non lo hai mai avuto questo coraggio? Perché chi può far sentite la voce giusta di Israele, non solo agli addetti ai lavori, politici e media, ma anche al popolo, a tanti tutti insieme durante un concerto, non lo fa? Perché? Ci vuole coraggio è vero, ma, cara Noa, alla fine il coraggio paga, non ha cachè, non aumenta il conto in banca ma ti fa sentir bene, felice, soddisfatta, orgogliosa di te. Purtroppo a te questo coraggio manca e hai scelto la strada più facile, quella del “io non sono come loro, i sionisti guerrafondai… io amo i nemici di Israele…”
Ma nemmeno questo ti serve a niente perché hai il marchio, Noa, il marchio della “vergogna”, per loro: sei israeliana, sei ebrea. Dovunque tu vada a cantare in Italia, là sei, sei stata e sarai contestata solo perché israeliana, Noa, fattene una ragione. Loro, i tuoi contestatori, se ne fregano se tu predichi la pace, se ne strafregano se tu vuoi commemorare i terroristi palestinesi nel Giorno del Ricordo dei caduti per Israele. A loro, a quelli che tu consideri compagni, interessa solo una cosa: sei israeliana, sei ebrea e questo è sufficiente per odiarti e impedirti di cantare. Il boicottaggio dell’odio, Noa, il boicottaggio dei pacifascisti, Noa. Non ti fa schifo tutto questo? Non ti faceva schifo quell’Arafat che tu difendevi mentre ci ammazzava? Non ti fanno schifo quei palestinesi che ballano di gioia ad ogni morto israeliano, all’attentato alle Torri Gemelle e ad ogni disgrazia che accade nel mondo occidentale che tanto odiano? Non ti fa schifo sentire Abu Mazen parlare di pulizia etnica se Giudea e Samaria diventassero arabe? Non ti fa schifo sentir minacciare di distruzione il tuo Paese? Non ti fa schifo renderti conto di quanto il mondo ci odi solo perché esistiamo? Non ti fa schifo pensare che tutti, da Obama alla Merkel, stanno tentando di rendere nullo il voto popolare e democratico di Israele? Non ti fa schifo sentirti nemica del tuo Paese, dove sei nata, dove hai fatto il soldato, dove hai studiato canto per diventare l’artista che sei? Non ti fa schifo sapere che quelli cui ti assimili hanno, per la quarta volta, imbrattato la bandiera di Israele, la tua, la mia bandiera, esposta, tra le tante, a Milano per l’Expo? Non ti fa schifo sentirti vicina a quelle centinaia di fanatici andati ad applaudire Omar Barghouti, il capo di quel movimento fascista che vuole l’eutanasia di Israele?
Per quale pace ti batti, per quale pace offendi Israele, per quale pace tenti inutilmente di scrollarti di dosso quel marchio indelebile, Noa? Per me, e come me tanti, quello è un marchio di orgoglio. Quando qualcuno mi guarda male, quando qualcuno mi offende, lo guardo negli occhi, a testa alta: “Sì, sono israeliana, sono ebrea… problemi?”
Mi dispiace per te, Noa, sei disprezzata dai nostri comuni nemici perché israeliana e, a causa di un’ideologia malata e vigliacca, sei disprezzata anche dagli israeliani. Su una pagina facebook in ebraico, una giovane, Gila Avidan, pur condannando quelli che ti hanno offesa all’aeroporto Ben Gurion, suggerisce di considerarti “inesistente, invisibile”. Sì, diventerai invisibile per noi, Noa, e lo trovo molto triste. Non è un peccato?
Se tu usassi la tua arte e il tuo talento per far amare Israele, per renderci orgogliosi di te come avremmo voluto, se tu capissi che i nostri nemici sono anche i tuoi nemici, dei tuoi figli, di ogni ebreo e di Israele! Difendere Casa, Noa, è un dovere dell’anima, soprattutto se la casa è costantemente minacciata. Ognuno dovrebbe farlo come può, come sa, chi scrivendo, come me e altri meglio di me, chi rischiando la vita come i nostri soldati, fratelli e sorelle, figli e figlie di tutti noi. Per difendere anche te e i tuoi figli, la tua casa e la tua famiglia come quelle di tutti gli israeliani, anche arabi. Se tu capissi, Noa!

La vicenda di Noa, così come di tutti i vigliacchi suoi simili, dimostra nel modo più lampante che nutrire il coccodrillo, spesso, non serve neppure a farsi mangiare per ultimi: il coccodrillo non distingue tra cibo amico e cibo nemico. E va a finire più o meno come in quella faccenda della guerra e del disonore. E adesso guardatevi questo interessante scambio (clic per ingrandire)
scambio
POST SCRIPTUM: in una cosa dissento da Deborah: a me la sua voce non è mai piaciuta.

barbara

CHE CULO RAGAZZI

Ieri sera il mio modem ha pensato bene di andare in malora. Per fortuna andando al supermercato, che è a 100 metri da qui, avevo visto un negozio di computer proprio lì di fianco. Per fortuna il negozio, che è in fase di trasferimento, si trasferirà ai primi di aprile: se lo avesse fatto prima non lo avrei mai visto e non ne avrei mai conosciuto l’esistenza. Per fortuna aveva lì disponibile un router molto simile al mio, cioè da dover sostituire solo il cavo di alimentazione, mentre per gli altri due andavano bene i miei già collegati, vale a dire che si trattava di una cosa fattibile anche da una come me. Per fortuna il tizio me lo ha configurato lui e oggi pomeriggio sono andata a prendermelo. Per fortuna il tutto, dopo qualche momento di tentennamento, ha preso a funzionare regolarmente. Per fortuna il tizio del negozio è anche tecnico e fa anche assistenza, anche a domicilio, eventualmente (non avendo un portatile bensì una bestia mastodontica, non è molto praticabile per me andarlo a portare). E così adesso, oltre al pc funzionante, dispongo anche di un tecnico.
Quanto al resto, giusto per fare un po’ il punto della situazione, posso dire che dopo quarant’anni di colite spastica, da due settimane ho preso a funzionare come un orologio; che un altro fastidiosissimo problema, che mi affliggeva da un buon paio di decenni e che diventava particolarmente drammatico quando ero sotto stress, è miracolosamente scomparso. E nonostante il superlavoro continui senza tregua, sto tenendo egregiamente botta. Dai, diciamolo: noi ragazzi della primavera del Cinquantuno siamo forti!


E ricordiamoci che la vita…


barbara

DUE PAROLE

Da lunedì mattina a giovedì sera sono stata fuori. Giovedì sera sono rientrata con l’angelo custode che mi ha assistita per il trasloco, giovedì sera e tutto venerdì abbiamo lavorato a imballare cose (in aggiunta alla quindicina di valigie che già avevo riempito io); sabato mattina sono arrivati quelli del trasloco e abbiamo lavorato fino alle quattro del pomeriggio di domenica. Poi siamo partiti e siamo arrivati qui alle undici di sera. Lunedì mattina in piedi alle sei e mezzo, lavoro ininterrotto fino all’una di notte, ieri in piedi alle otto, a mezzogiorno gli operai se ne sono andati e io ho continuato a lavorare con l’angelo custode fino alle due e mezza, quando l’ho accompagnato alla stazione. Sono tornata qui, un po’ di computer, una dozzina di valigie e cartoni vuotati, telefonata all’idraulico, quando finalmente dal caos sono emersi gli ugelli da gas, per sostituirli a quelli da bombola, corsa a un negozio di casalinghi per un paio di cose urgenti, corsa al supermercato appena in tempo prima che chiudesse, un boccone alle dieci e mezza quando sono riuscita a scovare una padella e la bottiglia dell’olio (i piatti no, ho mangiato su un piatto da portata, l’unico che sono riuscita a trovare, e bevuto in un bicchiere di carta), e sono andata a letto all’una e tre quarti. Adesso mi restano ancora un centinaio di cartoni borse e valigie ecc. da svuotare, pulire tutto a fondo e poi sono a posto.
Io sto bene. Sono felice. Sono piena di energia. E vi lascio con uno spettacolo che ha a che fare con ciò che ho davanti agli occhi dal posto in cui mi trovo in questo momento.


barbara