I palestinesi di Gaza, per esempio, si sono scelti come nemico Israele. Basta che uno di loro si faccia un graffio, non importa se bambino o adulto, non importa se disarmato o armato fino ai denti, non importa se innocente o assassino, non importa se stava facendo una passeggiata o eseguendo un attentato, non importa, addirittura, se sia stato colpito da un israeliano o da un palestinese: basta che si faccia un graffio e il mondo intero si mobilita, marcia, protesta, brucia bandiere, boicotta, invoca (e ottiene) condanne Onu. Prendi invece i palestinesi di Yarmouk (esattamente come quelli di Giordania, del Kuwait, di Tell al Zatar): li ghettizzano, li discriminano, li opprimono, li affamano, li massacrano, e al mondo non gli scuce un baffo.
La storia di quelli di Yarmouk ce la racconta Lorenzo Cremonesi, giornalista non di rado poco onesto quando c’è di mezzo Israele (ci ho anche personalmente litigato, e lì è stato proprio disonesto al massimo grado), ma che ogni tanto si ricorda di essere giornalista e racconta le cose come stanno, come per esempio nell’articolo scritto dopo la liberazione della Natività dai terroristi che vi avevano fatto irruzione: chi desiderasse rileggerlo, lo troverà all’interno di questa recensione). E lo fa anche in questo articolo che vi propongo.
L’assedio del campo profughi: ‘Uccisi dall’Isis mille palestinesi’
Spari sui civili nei campi profughi e inevitabilmente colpisci i bambini. Non fa eccezione il grande campo profughi palestinese di Yarmouk, a otto chilometri dal centro di Damasco, dove dal primo aprile si combatte una furibonda battaglia contro i jihadisti dello Stato Islamico (Isis) e del gruppo radicale Al-Nusra. Pare abbiano il controllo sull’80 per cento dell’area. Sui social network di Isis sono già stati postati video delle decapitazioni di almeno due combattenti palestinesi. Altri sette sarebbero stati fucilati. Alcune fonti riportano una settantina di morti nell’ultima settimana. Ieri in serata il deputato arabo israeliano Ahmed Tibi ha dichiarato al quotidiano Ha’aretz che «il movimento fascista di Isis» avrebbe ucciso «mille palestinesi» tra cui l’imam della moschea di Hamas e accusava i Paesi arabi di «vergognosa passività».
Testimoni parlano di 25 decapitati. Ma per ora sono cifre difficili da verificare. «Almeno 18.000 profughi intrappolati sotto i bombardamenti e tra questi 3.500 bambini. Le loro condizioni sono gravissime, oltre l’inumano. In ogni momento rischiano di essere feriti o uccisi. Nel campo mancano cibo, acqua, elettricità. Si vive con meno di 400 calorie al giorno. Scarseggiano le medicine, gli ultimi medici sono scappati qualche giorno fa», avvertono le agenzie dell’Onu e le ong. Le Nazioni Unite rilanciano gli appelli al cessate il fuoco e per la costituzione di corridoi umanitari. Ma per ora cadono nel vuoto, solo 2.000 persone sarebbero riuscite fortunosamente a scappare. C’è chi fa già il paragone con Srebrenica, la città martire della ex Jugoslavia dove nel luglio 1995 circa 8.000 musulmani bosniaci vennero massacrati dalle milizie serbe sotto lo sguardo passivo del contingente dell’Onu . Non è la prima volta che si combatte in questo che è il più grande campo profughi della diaspora palestinese. Prima dello scoppio delle rivolte contro il regime di Bashar Assad, nel 2011, era abitato da circa 150.000 persone. Al suo interno c’era una pletora di gruppi in lotta tra loro, sostanzialmente facenti capo al fronte laico dell’Olp, più legato al regime, e ai radicali islamici di Hamas, che rapidamente si schierarono con la miriade di formazioni siriane decise a defenestrare Assad.
Ma queste divisioni sono venute a scemare negli ultimi mesi, con l’avanzata di Isis verso la capitale. E oggi sono uniti per fermare il nemico comune. Pare che Isis in questa fase abbia stretto alleanza con Al Nusra, riuscendo così a penetrare Yarmouk. Il regime ha risposto con furia devastatrice. Ormai da due o tre giorni i suoi mortai sparano nel mezzo dei quartieri abitati e gli elicotteri sganciano i famigerati «barili bomba», ordigni primitivi e brutali che distruggono palazzi interi. L’organizzazione internazionale non governativa «Save the Children» riporta: «Le testimonianze degli operatori umanitari ancora sul posto raccontano di civili feriti per le strade da giorni, senza che nessuno possa andare a soccorrerli a causa dei combattimenti continui». L’inviato locale della Bbc in lingua araba spiega della presenza letale di cecchini che impediscono ogni movimento, specie verso le vie di fuga.
Interessante e meritevole di essere letta anche questa analisi di Carlo Panella.
barbara