L’EBREO ERRANTE

Un racconto di tanti tanti anni fa.

C’era una volta un ebreuccio piccolo piccolo, che camminava. Camminava, camminava sempre; non sapeva dove andava, non sapeva perché andava, ma andava. Non aveva una famiglia, non aveva un lavoro, non aveva denaro, non aveva niente: non aveva tempo di fare niente, niente altro che andare, perché questo doveva fare: andare.
Un giorno, stanchissimo, decise di fermarsi un momento. Si sedette su un sasso, poco oltre il ciglio della strada, e sospirò tristemente. Un passero, che saltellava tra i radi fili d’erba cercando qualche seme, si fermò a guardarlo, incuriosito.
“Perché sospiri?” chiese.
“Perché sono stanco di andare” rispose l’ebreuccio.
“Ma tu devi andare!”
“Sì, questo lo so; ma perché devo andare?”
“Perché tu sei l’Ebreo Errante”.
“E perché sono l’Ebreo Errante?”
Il passero si strinse nelle spallucce, allargò le ali con aria sconsolata e volò via.
L’ebreo si alzò stancamente, e riprese il suo triste cammino. Da quanto tempo camminava ormai? E come saperlo? Aveva visto i bambini crescere, e invecchiare, e morire, e poi morire i loro figli e i figli dei loro figli, ma lui continuava a camminare, col suo viso triste senza tempo, col suo corpo stanco senza età.
Un giorno ebbe sete, e si fermò a bere sulla riva di un ruscello. Bevve lungamente, e sospirò. Un pesciolino che vagava lì intorno, alla ricerca di qualche larva, lo guardò incuriosito.
“Perché sospiri?” chiese.
“Perché sono l’Ebreo Errante”.
“Certo che sei l’Ebreo Errante, e con questo?”
“Ma perché sono l’Ebreo Errante?”
“Perché Dio ha voluto così”.
“E perché ha voluto così?”
Anche il pesciolino si strinse nelle spallucce, allargò le pinne con aria sconsolata, e guizzò via. Tutti gli altri, tutti, proprio tutti, vivevano in una casa, in una capanna, in qualche posto, e si sposavano, e avevano figli, e poi morivano. Solo lui, l’Ebreo Errante, non poteva fermarsi mai, non poteva riposare il capo su un petto di donna, non poteva stringere fra le braccia il corpo di un bambino, non poteva, alla fine, chiudere gli occhi e riposare per sempre.
Un giorno ebbe fame, ed entrò in un campo per cogliere un frutto. Morse il frutto, e sospirò. Un grosso bue, che vagava nei pressi cercando un po’ d’erba da brucare, lo guardò incuriosito.
“Perché sospiri?” chiese.
“Perché Dio ha voluto che io fossi l’Ebreo Errante”.
“Naturalmente”.
“Ma perché lo ha voluto?”
“Perché il mondo deve avere un Ebreo Errante!”
“E perché deve averlo?”
Il bue si strinse nelle sue grosse spalle, agitò un po’ la coda con aria sconsolata, e se ne andò.
Ecco, tutti gli altri sceglievano che cosa essere nel mondo: chi sceglieva di essere contadino, chi muratore, chi falegname, e tutti sapevano perché il mondo avesse bisogno di loro. E poi un giorno arrivava la morte, e qualcun altro prendeva il loro posto. Solo l’Ebreo Errante era stato scelto, e non sapeva perché il mondo avesse bisogno di lui e, a quanto pareva, nessuno poteva prendere il suo posto.

Un giorno, nel cortile di una casa, vide una bellissima fanciulla che piangeva disperatamente.
“Perché piangi?” le chiese.
“Il signore del castello ha ordinato che ogni famiglia consegni mille scudi, oppure la figlia più bella, per i suoi piaceri. La mia famiglia è molto povera, non possiede neanche uno scudo, e io sono la figlia più bella”.
“Scava ai piedi del pero – disse l’ebreo – e sotto mezzo metro di terra troverai una cassa con duemila scudi”.
La fanciulla scavò, e sotto mezzo metro di terra trovò la cassa, e nella cassa c’erano i duemila scudi.
“Come facevi a saperlo?” domandò sbalordita.
“Sono già passato una volta di qui, tanto tempo fa, e ho visto tuo nonno seppellire quella cassa. Poi morì all’improvviso, e non ebbe il tempo di rivelare il suo segreto”.
L’ebreo sospirò, e riprese il cammino.
Un giorno vide un uomo, seduto presso un pozzo, che si stringeva la testa fra le mani, con l’aria avvilita.
“Perché sei così avvilito?” gli chiese.
“Io sono un attore – rispose l’uomo – il più grande attore del mondo. Ho recitato tutte le commedie, tutte le tragedie, tutto quello che si può recitare in un teatro. Adesso non ho più niente da recitare”.
“Scava presso questo pozzo – disse l’ebreo – e troverai una scatola. Dentro ci sono cento commedie, le più belle che tu abbia mai letto nella tua vita. E non sono mai state recitate”.
L’attore scavò, trovò la scatola, e dentro c’erano le commedie, le più belle che avesse mai letto nella sua vita.
“Come potevi saperlo?” chiese stupito.
“Sono già passato di qui, tanto tempo fa. Anche allora viveva qui un attore, uno grandissimo. E non era contento delle commedie che recitava: nessuna gli sembrava abbastanza bella per la sua bravura, e così decise di scriverne lui stesso. ‘Ma gli uomini del mio tempo non potranno capirle – disse quando ebbe finito – è troppo presto. Le seppellirò, e quando i tempi saranno maturi, qualcuno sicuramente le troverà: e allora sarà il momento giusto per recitarle!”
Sospirò, e riprese il cammino.
Un giorno, mentre attraversava una foresta, vide un uomo tristissimo, ancora più triste di lui.
“Possibile – si chiese – che esista un uomo più triste di me? Cosa potrà mai essergli accaduto?”
Gli si avvicinò, ma l’uomo era così immerso nella sua tristezza, che non si accorse di lui, finché non gli ebbe posato una mano sulla spalla.
“Che ti è accaduto, fratello? – ­chiese -. Che cosa può causare una tristezza tanto grande?”
E l’uomo raccontò:
“Un giorno, quando ero molto piccolo, vennero degli uomini cattivi, e uccisero tutta la gente del villaggio: uomini e donne, vecchi e bambini; solo io mi salvai, nascosto sotto il corpo di mia madre. Così sono cresciuto solo, non ho imparato la lingua dei miei padri, non conosco le loro usanze, la loro sapienza, la loro storia. E quando avrò dei figli, che cosa potrò insegnare loro? Valgo meno di quell’albero laggiù che affonda le sue radici profondamente nella terra.”
“Non preoccuparti – disse l’ebreo -. Sono già passato di qui in un tempo lontano, quando la tua gente viveva in questo villaggio. E ho sentito la lingua dei tuoi padri, ho visto le loro usanze, ho conosciuto la loro sapienza, ho imparato la loro storia. Ora ti insegnerò tutte queste cose”.
Si sedette accanto a lui, e gli restituì le sue radici.
“Sia benedetto Iddio che ti ha posto sulla mia strada!” gridò l’uomo, quando l’ebreo ebbe finito.
Comparve in quel momento un leone.
“O Ebreo Errante – ruggì – hai capito, adesso?”
L’ebreuccio piccolo piccolo chinò il capo e, per la prima volta nella sua vita, l’ombra vaga di un sorriso comparve sul suo volto senza tempo.
Riprese il cammino. E questa volta non sospirò.

barbara