ESTATE

E continua questa lunghissima, caldissima, meravigliosa estate (di là a quest’epoca per fare la doccia occorre accendere la stufetta elettrica), che sembra non voler finire mai.


E mentre cammino con le onde che lentamente, dolcemente, ritmicamente mi battono sui polpacci, davanti l’ultima luce che arriva dal sole già da un pezzo tramontato, il cielo una fantasmagoria di colori che sfrangiano uno nell’altro, e quando faccio dietrofront una sfolgorante luna piena su un cielo blu cobalto che diventa di attimo in attimo più scuro, il pensiero corre a quando, mentre camminavo con le onde che lentamente, dolcemente, ritmicamente mi battevano sui polpacci mi dicevo ancora tre giorni e poi finito, ancora due giorni e poi finito, e adesso invece dico fra due giorni avrò ancora le onde che mi battono sui polpacci, e fra tre giorni avrò ancora le onde che mi battono sui polpacci, e se verrà un giorno di pioggia prima o poi tornerà un giorno di bel tempo e io avrò di nuovo le onde che mi battono sui polpacci, per sempre, per sempre, per sempre, in un paradiso senza fine…
(Io adesso vado in Israele, noi ci vediamo fra una decina di giorni)

barbara

DOSSIER HITLER

Non è un libro su Hitler, bensì sulla storiografia su Hitler, su come gli storici che se ne sono occupati ne hanno parlato, come lo hanno rappresentato, con quali fonti, con quali – eventuali – pregiudizi, favorevoli o negativi, con quanta attendibilità, e quale immagine di Hitler emerge da tutto questo. Detto così potrebbe far pensare a uno di quei mattoni intellettualoidi che a uno viene la tentazione di mollare a metà e invece no, è un libro agevole che si legge piuttosto in fretta (precisando comunque che non ho letto le note, che rappresentano circa la metà del libro. Non lo faccio mai; so che faccio male, ma leggere le note mi annoia a morte). È fatto bene, e secondo me vale la pena di leggerlo. Qui ne riporto una pagina, che prende in considerazione un tema che mi sta molto a cuore, e quando scritto dall’autore rispecchia al cento per cento il mio pensiero.

Ma prima di tornare agli storici e ai loro – ai nostri – problemi, debbo dedicare qualche parola a un grave malinteso che riguarda tanto gli storici quanto il pubblico in generale. Si tratta dell’idea popolare che Hitler fosse pazzo. Affermando – e pensando – che era pazzo, noi falliamo due volte. Facciamo sparire il problema di Hitler sotto il tappeto. Se era pazzo, allora l’intero periodo hitleriano non fu nient’altro che un episodio di follia; esso perde ogni importanza per noi, e non occorre stare a pensarci sopra più di tanto. Contemporaneamente, qualificandolo come «pazzo» solleviamo Hitler da ogni responsabilità (specialmente in questo secolo, quando un certificato attestante una malattia mentale vale ad annullare una condanna pronunciata dai tribunali). Ma Hitler non era pazzo; era responsabile per ciò che fece e disse e pensò. E, prescindendo dalla questione morale, abbiamo prove sufficienti (accumulate da ricercatori, storici e biografi, inclusi resoconti clinici) del fatto che, tenuto il debito conto delle malcerte e fluttuanti frontiere tra malattia e salute in campo mentale, egli era un essere umano normale. Questo mi conduce all’aggettivo «malvagio» (e alla questione del «male»). (Di nuovo, esistono persone che si interessano a Hitler perché sono interessate al male: la sindrome di Jack lo Squartatore, se non peggio.) Sì, nei desideri e nei pensieri espressi di Hitler, nelle sue dichiarazioni e decisioni, il male abbonda. (Insisto su espressi, perche il nostro esame deve restare nei limiti dei documenti.) Ma bisogna tenere a mente che non solo il bene, ma anche il male è parte della natura umana. Le nostre inclinazioni al male (che si concretizzino in atti oppure no) sono reprensibili, ma normali. E bisogna negare che la condizione umana conduca ad asserire l’anormalità di Hitler; d’altro canto, appiccicargli l’etichetta di «anormale» lo solleva, di nuovo, da ogni responsabilità (lo fa anzi in maniera categorica). Il punto non è soltanto che aveva notevolissimi talenti intellettuali. Era anche un uomo coraggioso, sicuro di sé, in molte occasioni risoluto, leale verso gli amici e coloro che lavoravano per lui, capace di autodisciplina e morigerato nei bisogni fisici. Ciò che questo suggerisce non va equivocato, o frainteso, o male interpretato. Non significa: guarda guarda! Hitler era cattivo solo al 50 per cento. La natura umana non funziona così. Una mezza verità è peggiore di una menzogna, perché una mezza verità non è un 50 per cento di verità: è un 100 per cento di verità e un 100 per cento di falsità mescolate insieme. In matematica, con i suoi numeri rigidamente fissi e immobili, 100 più 100 fa 200; nella vita degli uomini 100 più 100 fa un’altra specie di 100. La vita non è costante; è piena di 100 neri e di 100 bianchi, di 100 caldi e di 100 freddi, di 100 che crescono e di 100 che si contraggono. Ciò vale non soltanto per le cellule dei nostri corpi, ma per tutti gli attributi umani, inclusi quelli mentali. In conclusione, Dio dette a Hitler molti talenti e molte risorse; e proprio per questo egli porta la responsabilità di averne fatto un cattivo uso.

Aggiungo che la pazzia è una patologia specifica con una sintomatologia specifica, che non è riscontrabile in Hitler. Confondere clinica e morale è un’operazione pericolosa che, come prima conseguenza, impedisce di affrontare i problemi nella loro specifica realtà. Con conseguenze disastrose. Il libro comunque, se vi capita in mano, leggetelo: ne vale la pena.

John Lukacs, Dossier Hitler, Longanesi
Dossier Hitler
barbara

E POI INVECE ALLA FINE FORSE NO

Ho mantenuto un prudente silenzio quando, subito dopo il fatto, sono emersi i primi dubbi su quelle scritte coi caratteri tondeggianti, come li fanno gli arabi, e non squadrati, come li fanno gli ebrei.
Duma 1
Duma 2
Ho continuato a mantenere un prudente silenzio quando è stato reso noto che la casa si trovava al centro del villaggio, facendo sorgere pesanti dubbi sulla possibilità che i “coloni ebrei estremisti” potessero avere scelto un bersaglio in posizione tale da dover poi, una volta appiccato l’incendio che avrebbe svegliato l’intero villaggio, attraversarlo tutto – conoscendolo poco o niente, e al buio – per rientrare nelle proprie case.
Poi però sono successe ancora altre cose, e adesso il silenzio lo rompo. È successo che i “coloni ebrei estremisti” in detenzione amministrativa (come? Detenzione amministrativa? Ma non era quella cosa orrendissima che Israele usa solo per i palestinesi? No? Ah) hanno cominciato a essere liberati per totale mancanza di indizi, o perché i loro alibi hanno retto alle verifiche. È stato appurato che tra la famiglia Dawabsha, vittima dell’attacco di quella notte, e un’altra famiglia del villaggio, è in atto una vecchia faida. E che quella stessa notte era stata incendiata anche un’altra casa, sempre di un appartenente a quella famiglia. E un’altra era stata incendiata in febbraio, e ancora una l’altro ieri, e poi un’auto: sempre appartenenti alla stessa famiglia.
Possiamo considerare tutto questo alla stregua di una prova, spendibile in tribunale, dell’innocenza dei “coloni ebrei estremisti”? Penso di no. Ma sufficiente a porre seriamente in discussione le prime affrettate conclusioni, credo proprio di sì. Soprattutto se pensiamo alla “strage della spiaggia di Gaza” con la solita scena strappalacrime della bambina che strepita sgangheratamente di fronte alle telecamere per la morte del padre – non senza aver provveduto, prima di chiamare la stampa e mandare in scena la bambina, a far sparire ogni traccia del missile palestinese che aveva colpito e sterminato la famiglia. O la povera famiglia di Gaza sterminata nella casa fatta saltare in aria, salvo poi vedere chiaro come il sole dalle riprese aeree che la casa era saltata da sola per “simpatia”, dato che era stata trasformata in una santabarbara, quando un missile israeliano aveva centrato i terroristi che trasportavano esplosivo poco lontano da lì. O tutte le montature di “Piombo fuso”. O la strage del mercato di Shijaiyah. O i nove bambini uccisi nel parco giochi di Shati – e qui mi fermo, perché fra quattro giorni parto, e per elencare e documentare tutti gli omicidi, stragi, massacri perpetrati dai palestinesi e spacciati per opera israeliana, quattro giorni non bastano davvero. Penso comunque che questa pur ridottissima panoramica possa bastare a dare un’idea di quanto sia opportuna la prudenza nell’attribuzione di responsabilità per i fatti che succedono da quelle parti.
Forse qualcuno si starà chiedendo se provo sollievo. No, naturalmente: il dolore per la morte atroce di un infante bruciato vivo non può certo trovare sollievo nel fatto che l’assassino sia qualcuno invece che qualcun altro. Né, se alla fine risulterà che anche questo attacco, come gli altri quattro, fa parte della faida interna al villaggio, se ne dedurrà che gli ebrei e gli israeliani siano tutti buoni e tutti santi (“Israele sarà un Paese normale quando avrà i suoi ladri e le sue puttane”, diceva Ben Gurion. E i suoi figli di puttana, aggiungo io, che non possono mancare).

Sollievo certamente no, dicevo, ma una punta di soddisfazione maligna sì, quella la provo proprio, nei confronti di uno squallido personaggino che pochi giorni dopo il tragico evento si è permesso di dichiarare che

Mi è sembrata insufficiente la reazione dei rabbini in Israele e nel mondo di fronte agli abbietti omicidi perpetrati nei giorni scorsi da alcuni giovani israeliani nei confronti di un infante arabo in un villaggio della Cisgiordania e di una ragazza ebrea nelle strade di Gerusalemme. Gli uccisori […] erano o erano stati tutti allievi di accademie rabbiniche, o presunte tali, agivano in nome di principi che, a loro dire, derivavano dalla tradizione ebraica, e si prefiggevano obiettivi dettati, sempre a loro dire, dalle norme dell’ebraismo. In sintesi, il programma degli assassini e delle altre (non molte) migliaia di persone che sono accomunate nella stessa ideologia, è lo stabilimento di uno stato fondato sull’applicazione integrale della halachah (il diritto ebraico tradizionale) su tutto l’antico territorio storico della Terra d’Israele, qualunque esso sia, e senza alcuna esclusione di mezzi, compreso l’omicidio.” (qui)

Ecco, lo voglio proprio vedere, questo signore dalla faccia come il ****, lui che trova insufficiente l’immediata condanna, senza appello, senza giustificazioni, senza attenuanti, dell’intero rabbinato israeliano e mondiale, lui che sa con certezza, prima di ogni indagine, che gli assassini sono usciti dalle scuole rabbiniche, lui che sa che cosa hanno fatto, per quale causa lo hanno fatto, a quale fine lo hanno fatto, lo voglio proprio vedere con quale faccia oserà presentarsi al mondo il giorno in cui avessimo davvero prove spendibili in tribunale dell’infamia della sua uscita. Io, nel frattempo, me ne sto seduta sulla riva del fiume, e aspetto.

barbara

MALALA DI NUOVO IN PERICOLO

Dopo essere miracolosamente sopravvissuta all’attentato di tre anni fa, quando i talebani tentarono di fermarla sparandole in faccia
Malala 1
(e quando parla ci si rende pienamente conto di quanto la sua faccia sia rimasta deformata), Malala ritorna nel mirino dei nemici della vita e del genere umano. Per ora la sua vita viene protetta tenendola sotto scorta 24 ore su 24, ma resto convinta che l’unica vera protezione, per lei e per tutti noi, dovrebbe consistere nel decidersi a combattere come si deve la guerra che i nemici dell’umanità stanno combattendo contro l’umanità, esattamente come si è combattuta la guerra contro il nazismo, che ha messo letteralmente in ginocchio la Germania, permettendo così la nascita di una nuova, fiorente democrazia.
Nel frattempo: FORZA MALALA!
Malala 2
barbara

GLI AMANTI TRISTI DI MONTESACRO ALTO

Ora ti racconto la storia degli amanti di Montesacro alto, che è un quartieraccio presuntuoso e reietto della capitale. Sorge dove si rifugiarono gli schiavi ribelli di Spartaco e dove Menenio Agrippa raccontò il suo celebre apologo sulle membra lo stomaco e la testa… Le case sono tutte di 14 piani, parallelepipedi grigiastri con qualche alberello  disperato messo lì per far pisciare i cani. Ceto medio criminalpretenzioso e miseria ben mimetizzata, in un quartiere che  ha gli abitanti di Bologna più Ravenna messi assieme, ma un solo commissariato e due farmacie. Niente cinema, niente teatri, niente di niente. In questa landa romana viveva una coppia di giovani sposi. Lui rappresentante di commercio lei casalinga annoiata. Come tutti i lunedì il giovane sposo prende il campionario, bacia la moglie e via! a ”far piazza” fuori Roma. Ma giunto al casello dell’autostrada, si accorge di aver sbagliato borsa. Rapida conversione  a ”U” e ritorno a casa. Ma la porta è chiusa dall’interno e la moglie non apre e neanche risponde. Suona, suona suona, ma niente. Eppure la signora è in casa. Sinceramente preoccupato il povero marito pensa a un collasso, un incidente domestico, forse un suicidio. Chiama la polizia la quale di fronte alla porta blindata modello Fort Knox (tutti a Montesacro vivono blindati) chiama i pompieri. C’è una donna che forse è svenuta nel bagno, forse folgorata dal ferro da stiro, forse… in ogni caso non c’è tempo da perdere e i generosi pompieri danno la scalata a quella montagna di cemento grigio. Cinque piani con l’autoscala e altri tre con la scala a ganci! Una tecnica acrobatica, usata solo in Italia, che consiste nell’agganciare l’esigua scaletta da cornicione a cornicione da davanzale a davanzale. Il Vigile giunge alla finestra giusta, attraversa un bucato, scansa i gerani morenti, spacca il vetro,  apre, scavalca, entra e….. Davanti a lui il classico amante in mutande che col ditino sul naso lo implora di fare silenzio, di andarsene e far finta di nulla. Intanto la fedifraga in pianto rifaceva il letto per cancellare ogni traccia del tradimento.
”Vada via, torni giù… dica che… dica quello che vuole… ma vada via, lui non sospetta niente, ma è gelosissimo, ha un caratteraccio e… fa lotta grecoromana, essendo un rappresentante di preziosi è anche armato, ci ucciderà!” Il pompiere si grattò la testa sotto l’elmetto e gli spiegò che le scale erano affollate di condomini in ansia, sulla cui sincerità non si sentiva di garantire, ma erano tutti lì col nasino in su nella tromba delle scale. E anche tutto il commissariato era sul pianerottolo, così come il portiere, la famiglia del portiere e i portieri delle case attigue. Tutti lì a fingersi preoccupati per le sorti della signora, in realtà tutti a pregustare il botto, l’uxoricidio, la vendetta, il sangue! ”E poi” concluse il pompiere” con la scala a ganci si può solo salire e non scendere … Ce tocca uscì dalla porta, siete fottuti”. Ma prima di aprire fu folgorato da un lampo di genio, che avrebbe salvato la vita ai due adulteri e a lui un sacco di tempo a far verbali.  ”Signora svenga!” Ordinò il pompiere senza concedere appello alla povera casalinga in pianto. ”Lei è appena riemersa da un infarto, un coccolone un deliquio… quello che le pare, ma stramazzi, si faccia venire una sincope un accidenti, e accidenti pure a voi che pe salì fino a qui me parevo Walter Bonatti me parevo, ma potevate annà a scopà ner mezzanino?!” Poi il geniale milite mise il suo elmetto in testa all’amante, gli legò la sua cravatta al braccio in modo da dargli un aspetto da milizia popolare, e come ultimo tocco da grande artista, gli mise l’accetta in una mano e la scala a ganci nell’altra. Assieme aprirono la porta e fecero entrare il marito della signora, il commissario, il portiere, il vicino dottore, il vicino preoccupato, la moglie del portiere, il parroco, i volontari della caritas, i sette figli del portiere, e una ventina di inquilini che improvvisamente erano stati colti da inaspettato affetto per quella giovane coppia di sconosciuti. Nessuno si chiese come avessero fatto a salire in due con la scala a ganci, e il matrimonio fu salvo. Ogni anno, ancora oggi, quando ricorre l’anniversario di questo fatto, alla stazione dei VVFF di via Genova arrivano quattro bottiglie di champagne francese e un centinaio di paste. È il tributo riconoscente di quelli che nell’ampia mitologia dei pompieri romani vengono  ricordati come: “gli amanti tristi di Montesacro alto”.

Storia autentica raccontata da Adriano Mordenti il 24/06/2001. E se non sapete chi è Adriano Mordenti, tanto peggio per voi, che non sapete che cosa vi perdete.

barbara

IN AGGUATO

Se ne sta lì appostato, all’uscita del supermercato, pronto a piombarti addosso per offrirti il suo aiuto non appena hai messo fuori mezzo piede. Solo se hai il carrello, beninteso: se esci con quattro borse piene in mano e magari un bambino di tre anni attaccato alla gonna, scordati pure di poter contare su un’offerta di aiuto. E dunque appena esco si proietta in avanti e dice: serve aiuto? No, dico. Quando uno offre aiuto si dovrebbe dire no grazie, ma con chi sta cercando di spillarmi soldi non mi sento in dovere di essere né gentile, né educata. Al contrario, essere sufficientemente sgarbata lo ritengo praticamente un obbligo. Arrivo alla macchina, prendo le borse, comincio a riempirle, e lui arriva lì: serve aiuto? (Dai cazzo, hai il carrello pieno, sei una vecchia coi capelli grigi anche se hai la macchinona sportiva da duecento all’ora, NON PUOI non avere bisogno di aiuto!) No. Ma… No. Se ne va. Finisco di svuotare il carrello e sistemare le borse in macchina, riporto il carrello alla base e lui si rifionda: metto io il carrello? Grazie, so come si fa. A questo punto va in onda il piano B: con un’espressione da moribondo e voce da agonizzante accasciato tra le dune del deserto sotto il sole di mezzogiorno, alza faticosamente il braccio a indicare la catasta di bottiglie di acqua minerale che campeggia subito dopo l’ingresso e rantola: “Comprare acqua…” Quella di rubinetto qui è buonissima, dico, io bevo solo quella. “Acqua…” Siccome è abbastanza probabile che ci siano complici appostati da qualche parte, tutti di altrettanto sana e robusta costituzione fisica e altrettanto floridamente nutriti, evito di mandarlo affanculo a voce alta e mi accontento di farlo col pensiero.
Anche nei parcheggi sono lì in agguato, normalmente due per ogni parcheggio, che dietro adeguata ricompensa si offrono di “proteggere” la tua macchina, che non ti capiti di ritrovarla con una fiancata squarciata con un chiodo o con le gomme tagliate. In Sicilia si chiama pizzo: quello che paghi alla mafia perché non ti vada accidentalmente a fuoco il negozio o la fabbrica.
E alla stazione. Se hai bagaglio arrivano lì e offrono aiuto. Poi ovviamente ti chiedono i soldi. Ora, se ho una valigia pesante da caricare in treno, mi può anche andare bene di pagare un paio di euro (non di più, sia ben chiaro: si tratta di un minuto di lavoro, e sessanta euro all’ora direi che possono bastare) perché qualcuno lo faccia al posto mio; a patto che sia chiaro che mi sta proponendo una prestazione lavorativa a pagamento, e non la butti là come un’offerta di aiuto. Poi una volta mi è capitato che ero già salita in treno quando mi sono accorta che avevo dimenticato di timbrare il biglietto (il treno nasceva in quella stazione, e mancava ancora un po’ alla partenza, quindi affrettandomi potevo farcela); chiedo alla tizia seduta vicino a me di dare un’occhiata alla valigia, scendo al sottopassaggio, mi guardo un attimo in giro, e un tizio che mi vede col biglietto in mano capisce cosa cerco e mi indica la macchinetta a due metri da me; ringrazio, mi avvicino, e si avvicina anche lui, e mi spiega che devo infilare il biglietto nella fessura e che devo tenerlo a sinistra. Poi mi chiede i soldi per l’aiuto prestato.
OK, meglio questi che offrono aiuto che quelli che rapinano o spacciano droga (quelli della stazione, intendo; quelli dei parcheggi no: quelli sono pronti a fare danni a più non posso, se non paghi il pizzo), però anche questo continuo assedio è una forma di violenza, di cui davvero non se ne può più.
PS: non è per razzismo che dico che sono tutti negri: è perché sono tutti negri, senza eccezione.

barbara