Chiudete per un attimo gli occhi e provate ad immaginare un soldato, una soldatessa dell’esercito israeliano.
Divisa, fucile sotto la spalla destra, volto serio, impassibile.
Ora aprite gli occhi.
Vi presento Ghefen Stolero. Vent’anni, originaria di Netanya.
Niente fucile sotto la spalla, il viso costantemente illuminato da un meraviglioso sorriso. Solo la divisa verdognola ci pone un grande interrogativo sulla sua persona.
“Faccio parte di un’unità molto speciale”, mi accenna con uno sguardo complice.
Madre di Israele, serve lo Stato con amore e dedizione, con una passione che la contraddistingue. Il ruolo di Ghefen all’interno dell’esercito è, infatti, davvero singolare.
“Mi occupo di un gruppo di ragazzi tra i dodici ed i diciotto anni. Ragazzi che hanno sofferto, che sono stati abbandonati, raccolti dalla strada. Ragazzi che hanno conosciuto solo odio e tradimenti, solo violenza ed indifferenza. Privi di una qualsiasi forma di educazione, diffidano delle persone e dello Stato. Per questo motivo ogni mattina indosso la divisa ed entro sorridendo nella struttura che li ospita, per dimostrar loro che lo Stato, nel quale non credono più, tiene a loro, si prende cura di loro, crede ancora in un futuro migliore”. Ascolto commosso. “Proviamo a combattere la delinquenza giovanile, collaboriamo con psicologi e assistenti sociali. Cerchiamo di mostrar loro un mondo che non conoscevano prima, del tutto nuovo, ancora sconosciuto”. Ghefen, oltre a ricoprire il ruolo di mamma, sorella e migliore amica, si occupa di prepararli al momento dell’arruolamento all’esercito, psicologicamente e fisicamente. “Ho deciso io di entrare a far parte di questa unità, ho dovuto fare diversi colloqui per essere accettata, ottenendo infine l’approvazione da parte del ministero dell’Istruzione. Purtroppo il mio ruolo è sottovalutato e spesso deriso all’interno della società, il fatto di girare senza fucile a quanto pare mi rende una soldatessa meno credibile”, mi confida con una nota amara, ma le soddisfazioni non vengono mai a mancare. “Strappar loro un sorriso, guadagnarmi la loro fiducia, insegnar loro qualcosa di nuovo: questi sono i miei più grandi traguardi”.
David Zebuloni (27 agosto 2015, Moked)
Quell’Israele che ci sorprende. Quell’Israele che ci commuove. Quell’Israele che amiamo e ameremo sempre.
barbara
Mi meraviglia quel “ruolo sottovalutato e spesso deriso”: eppure dovrebbe essere evidente che certe battaglie si combattono senza le armi propriamente dette, e non di rado sono le più dure.
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E’ sicuramente evidente che ci sono battaglie che vanno combattute rigorosamente senza armi, ma “soldato disarmato” suona come un ossimoro: probabilmente è proprio questo a sconcertare e provocare diffidenza.
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Penso che si tratti di un ruolo estremamente delicato e che tiene conto non solo della formazione del futuro soldato, ma di quella, soprattutto, del cittadino.
Credo che dall’esperienza di questa ragazza ci sia molto da imparare: abbiamo molto da imparare anche noi, in Italia… e non solo in Italia.
Dico questo perché troppo spesso, il soldato è visto (e chissà, forse anche formato) come un Rambo.
E questo, molte volte vale anche per le forze di polizia.
Da qui abusi di potere, umiliazioni, violenza gratuita ecc. ecc..
La questione, secondo me, dal mero ambito militare e/o poliziesco si dilata fino a raggiungere la dimensione morale e sociale dell’essere umano, il suo vivere nel mondo, la sua ricerca di amore, di amicizia e di giustizia.
Quando poi si è ragazzi e si è stati abbandonati, di sicuro è facile che nel nostro cuore covino rancore, diffidenza, odio, chiusura verso gli altri… E così si finisce per rendere la vita un inferno a sè ed agli altri.
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Io credo che “buon cittadino” e “buon soldato” siano concetti inscindibili: non puoi essere un buon soldato se non sei un buon cittadino, e molto difficilmente potrai essere un buon cittadino se come soldato tendi ad abusare dei tuoi poteri e delle tue prerogative (nell’esercito israeliano, unico al mondo credo, il soldato ha IL DOVERE di disobbedire a un ordine palesemente inumano o illegale http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/2006/11/10/chi_altro_lo_fa.html – chi ha un po’ di tempo dia un’occhiata anche ai commenti: ci sono alcune cose parecchio interessanti)
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Che meraviglia! Occuparsi di giovani vite infelici è la cosa più giusta e più bella… Questa giovane donna ha capito che fare del bene agli altri le porterà pienezza e soddisfazione. Più di ogni altra cosa. Un esempio per tutti.
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Gente che si occupa di recuperare i rifiuti della società ce n’è dappertutto, naturalmente, ma che a occuparsene sia l’esercito, è questa la cosa GRANDE di Israele (quando ripartiamo?)
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(ripartirei anche subito)
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(Bene, organizziamoci)
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La preparazione ..teorica unita alla ricchezza interiore di Ghefen credo che sia di grande
aiuto per tante vite difficili. Cosi vengono definiti i giovani ” e non solo” che non hanno saputo/potuto inserirsi/re in quella che viene definita vita normale, che deve rispondere
a certi canoni comuni ad ogni buon cittadini. Nonostante se vi potranno essere un certo tipo di critiche di alcuni , ma
i familiari, parenti , amici e maggiormente i giovani a lei affidati nel tempo la ricorderanno
per tutto quello che ha fatto.Lavoro molto difficile ed intenso. Credo con tanto amore si impegni nel rendere questi giovani validi cittadini che potranno essere per il loro paese.un’ investimento valido
Tutto questo può essere paragonabile a tante cose.Come avere potuto da terreni aridi ,privi di vita ,impensabili a potere ottenere dei frutti ,raccolti, poi con tanto lavoro si può
comprendere con delle immagini quello che è stato fatto. Trasformazione impensabile.
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