ISRAELE NOVE (5)

I nostri angeli custodi

Perché è chiaro che molto della riuscita del viaggio dipende da loro, e quindi è giusto che anche a loro venga dedicato un capitolo specifico. E cominciamo con

La guida

che, soprattutto dopo l’esperienza dell’anno scorso, è un tema che va doverosamente trattato. Stavolta ci è andata di lusso, ma proprio di lusso davvero. Roni Mendelbaum è stato una guida meravigliosa, di vasta competenza in un’infinità di ambiti, di inesauribile disponibilità, di straordinaria umanità, di incommensurabile dolcezza, di grandissimo spirito (grandioso quando a una compagna di viaggio vegetariana, tendenzialmente vegana, ha detto: ah, lei fa parte dei nemici degli animali! Come nemici?! Ma sì: gli rubate il loro cibo!). E di ineffabile educazione (quando gli ho raccontato della volta che ho attraversato tutto Israele da nord a sud e da est a ovest con entrambe le caviglie rotte, mi ha detto che sono scema, ma prima di dirmelo me ne ha chiesto il permesso). E sempre presente, sempre sereno, sempre di buon umore, sempre pronto a dare di più, sempre pronto ad aggiungere al programma stabilito qualche sua personale sorpresa. La misura esatta delle sue doti umane l’ho avuta quando siamo saliti con la seggiovia sul monte Hermon. Io non sono mai salita su una seggiovia, perché mi sconvolge il vuoto sotto i piedi.
seggiovia
Non è paura, è qualcosa di totalmente diverso. Già la cabinovia mi crea problemi (l’aereo no, perché il pavimento sotto i miei piedi è ben solido, e quindi non c’è nessuna sensazione di vuoto), e l’ho presa solo in Israele, ma la seggiovia è proprio qualcosa di insostenibile. E dunque, visto che i sedili sono biposto, viene deciso che io vado con Roni. Il quale, appena seduti, prima ancora che i piedi si stacchino da terra, comincia a parlare, a raccontare, mi riempie le orecchie e la testa di storie, mi fa ridere come una matta, senza lasciarmi modo di guardare, di pensare, di dare spazio all’angoscia del vuoto.
Grazie, Roni.
Roni

L’accompagnatore
Fondamentale anche lui, per la riuscita di un viaggio. Nei miei viaggi organizzati ne ho avuta una che in due settimane non ha detto una parola di spiegazione, una che ha frignato tutto il viaggio seduta in un angolo perché era rimasta senza hashish, uno che nel tentativo di intortarmi non ha fatto altro che parlarmi male di sua moglie (pessima tecnica!), uno che in pieno agosto in Asia centrale ha portato un’unica camicia per diciassette giorni (siamo diventati tutti campioni mondiali nella specialità del salto in là)…
Eyal Mizrahi appartiene a tutt’altra specie: lui è di quelli che non lo fanno per professione, ma per passione. E la passione si vede nelle grandi e nelle piccole cose, nell’assicurarsi del benessere di ognuno, nell’intervenire sollecitamente quando si presenta un problema e, nei limiti del possibile, provvedere personalmente a risolverlo, anche quando ciò comporti un notevole dispendio di tempo e di energia, nell’essere sempre disponibile per tutti, nell’accomodare le situazioni (nel viaggio precedente, ogni volta che la guida lo aggrediva e dava vita a violenti alterchi, alla fine, nonostante fosse palesemente l’altro dalla parte del torto, finiva regolarmente per scusarsi lui, unicamente per poter porre termine a quelle spiacevolissime scenate che tanto disagio causavano a tutti noi). E dunque:
Grazie Eyal
Eyal
barbara

DOPO 50 FRUSTATE

Raif Badawi è il blogger saudita condannato a dieci anni di carcere e 1000 frustate. Quello che segue è un estratto del suo libro.
Raif Badawi
Il compito che mi ero proposto era di cercare una nuova lettura del liberalismo in Arabia Saudita e di fare la mia parte nel diffondere l’«illuminismo» nella società araba, abbattendo i muri dell’ignoranza, incrinando la visione sacrale delle autorità religiose e promuovendo un minimo di pluralismo e di rispetto per la libertà di espressione, i diritti delle donne, delle minoranze e dei poveri. Era questa la mia vita quando, nel 2012, sono stato gettato in una cella in compagnia di gente accusata d’ogni sorta di delitto: ladri, assassini, trafficanti di droga, persino stupratori di bambini. Frequentare queste persone ha cambiato molte cose, a cominciare dai miei preconcetti. Immaginate di trascorrere le vostre giornate in uno spazio non più grande di 20 metri quadrati. E immaginate di dover condividere quello spazio con altre 30 persone, su cui pende l’accusa di ogni genere di reato! (…) Quando sono in bagno, ultimamente, mi capita di guardarmi attorno. Mucchi di carta igienica sporca, rifiuti ovunque, pareti imbrattate, porte sprangate e arrugginite. Un giorno mentre scorrevo le centinaia di scritte incise sulle pareti sudice della toilette della cella comune, una frase mi è balzata agli occhi: «La soluzione è il laicismo!». Sopraffatto dallo stupore, mi sono strofinato gli occhi come per convincermi che fosse davvero lì! Sorridendo tra me mi sono messo a rimuginare su chi potesse aver scritto quelle parole. Quella breve frase, bella e così insolita, mi ha sorpreso e rallegrato immensamente. Il fatto che tra le centinaia di volgarità scarabocchiate in tutti i dialetti arabi sulle pareti dei bagni abbia potuto leggere un pensiero del genere significa che da qualche parte, in questa prigione, c’è almeno una persona in grado di capirmi. Di comprendere ciò per cui ho lottato, il motivo per cui mi trovo rinchiuso. (…) Quando la mia adorata moglie Ensaf mi ha detto che una grande casa editrice in Germania voleva raccogliere i miei articoli, tradurli e farne un libro, inizialmente ho accolto la notizia con scetticismo. Voglio essere sincero: all’epoca in cui scrissi il primo post non avrei mai immaginato che un giorno i miei interventi su un blog potessero diventare un libro. Mi considero un uomo esile sia pure tenace, sopravvissuto per miracolo a 50 colpi di frusta davanti a una folla osannante che gridava senza sosta Allahu Akbar. Sì, il tribunale mi ha condannato alla pena di morte, commisurata alla «gravità dell’apostasia dell’islam». La pena è stata poi ridotta a 10 anni di carcere, a 1000 colpi di frusta e a una multa di un milione di rial. Mentre scrivo queste righe ho già scontato tre anni e mia moglie è all’estero coi nostri tre figli perché le pressioni erano ormai insostenibili. E tutta questa sofferenza solo perché avevo espresso la mia opinione. Ecco, è questo il prezzo delle parole che state per leggere! (Corriere della Sera)
Badawi frustato
Perché non è vero che “se nasci lì non hai scampo”, che “la mentalità è quella”, che “è la loro cultura”. Cultura un accidente: occhi e orecchie li hanno anche loro, e qualcuno capace di aprirli, a cercare bene, lo trovi.

barbara