di 13 anni fa. Né il destinatario, né l’evento specifico sono attuali, ma il contesto generale è tuttora valido, e penso che valga la pena di rileggerlo.
Io credo che lei, gentile Gino Strada, sia certamente un chirurgo straordinario, innalzato su un piedistallo di nobiltà etica. Lo dico senza ironia, ma con sincera ammirazione. Ed è, anzi, proprio per questo che capisco quanto il signor Né-Né possa indurla in tentazione, o quanto lei stesso rischi di diventare un signor Né-Né, non più medico neutrale, non più nemico della sofferenza d’Occidente e d’Oriente, della ferita che non segue il corso del sole. Lei, insomma, da farmaco senza ideologia né patria, apolide come la penicillina, rischia di diventare uno dei tanti maestri di pensiero politico italiano, leader e simbolo partigiano che tra i pacifisti nidifica. Sarebbe davvero imperdonabile, una bruciante sconfitta per tutti noi, se alla fine anche lei più che un pacifista diventasse un paciere, di quelli che trattengono l’uno mentre l’altro lo picchia. Il signor Né-Né, lo ripeto per chiarezza, non è infatti un pacifista, anche se si accuccia proprio in quella passione per la pace che è la passione di tutti noi, anche la mia, una passione necessariamente sobria e mai gridata e che lei, invece, gentile e coraggioso chirurgo Gino Strada, qui, purtroppo, sbrodola. Voglio dire che si può legittimamente pensare che l’intervento militare contro Saddam sia un errore, senza diventare per questo un signor Né-Né. E ci si può battere, diplomaticamente e politicamente, perché si provi un’altra strada, ben sapendo che l’esilio volontario di un dittatore terrorista, come generosamente vorrebbe Pannella, è solo una trovata retorica e che neppure l’embargo è una strada indolore, visto che le spese le pagano soprattutto i deboli, i poveri, i vecchi e i bambini mentre i furbi, «le volpi», ben si accomodano nelle disgrazie, sempre travestiti da benefattori, da santi, da pacifisti. Si può persino mestamente rassegnarsi a Saddam, e sceglierlo come male minore, in attesa di prove più schiaccianti e di nuovi genocidi. L’importante, mio gentile e coraggioso chirurgo, è sapere che in guerra, nella guerra che ci è stata dichiarata l’11 settembre a New York, non è consentito stare né di qua né di là: o si sta con l’Occidente, con il suo petrolio e la sua democrazia, o si sta invece con Saddam, con il suo petrolio, il suo satrapismo e la sua dittatura etnocida e terrorista. Lei, dunque, gentile e coraggioso chirurgo, stia con chi le pare, ma non dica di non stare né né. La sua lettera poi è la prova di quanto l’intelligenza sia secca e netta, come le buone operazioni chirurgiche. La parola, quando è troppa, surroga la poca intelligenza dei fatti. E io temo che lei sia ricorso alla facondia, o meglio alla verbosità, per non impegnarsi appunto nell’intelligenza di quell’evento enorme: la guerra contro l’Occidente dichiarata dall’islamismo fanatico nell’attacco alle due torri e nell’eccidio di quei nostri fratelli, bianchi, neri, ispanici, e anche arabi, una guerra non solo al simbolo architettonico ma al cuore fisico di una civiltà, quella verticale, quella della tecnica che corre in cielo, quella della democrazia, la nostra civiltà che è impastata con le ragioni dell’Altro ed è fatta anche di chirurghi pacifisti che ci riempiono d’orgoglio proprio perché si volgono all’Altro, con la pietas laica che soccorre i corpi ben più della pietas religiosa, così attenta a confortare l’anima. La retorica, cui lei fa abbondante ricorso, è sempre un grido di malessere dell’intelligenza. Io per esempio mi sgomenterei alla vista delle mille sofferenze depositate negli ospedali, nei suoi encomiabili ospedali. Non avrei nessuna intelligenza adeguata a quelle piaghe e perciò potrei, certamente sbagliando, scrivere contro la chirurgia, che emotivamente e scioccamente detesto, e magari produrre sino al doppio di lamenti che lei ha scritto contro di me, sempre sotto forma di buoni sentimenti. Ecco, io temo, e lo dico con rispetto sincero, che proprio questo le sia accaduto. Si può infatti vedere Ground Zero e non capire. Addirittura, a volte, più si vede e meno si capisce. Ma eccoci tornati al punto: a noi è stata dichiarata la guerra. E in guerra, purtroppo per lei, per Rosy Bindi, e per me, non si può scegliere di non scegliere, non si può stare né di qua né di là, come si illusero di stare i pacifisti che nel 1939 gridavano nelle strade di Parigi di non volere morire per Danzica e poi caddero in posti sconosciuti per la difesa della Francia, dell’Europa e del mondo civile. Né ci si può commuovere per gli ebrei della Shoah e poi odiare gli ebrei di Israele, e bruciare le loro bandiere nelle strade d’Europa in sintonia con quanto avviene nelle strade dell’Islam. Pensi, ancora, a quelli che inventarono lo slogan, che tanto le piace, «né un soldo né un uomo», e che poi consegnarono alla destra, cioè al fascismo e al nazismo, le ragioni democratiche dell’interventismo coraggioso. La retorica delle buone intenzioni ha sempre dei profittatori, degli astuti signori Né-Né. Dove vuole che vadano i lupi e le volpi se non tra le colombe del coraggioso Gino Strada, e nei pollai?
Francesco Merlo
Credo che i destinatari, oggi, potrebbero essere molti, tra le folte file dei buoni di professione.
barbara