Angoscioso: questo l’aggettivo che ho avuto perennemente in testa lungo tutta la lettura delle quasi seicento pagine di questo libro, universalmente esaltato come capolavoro, e della narrazione di quello che nella quarta di copertina e altrove viene definito “amore impossibile”, quando in realtà è solo l’ondivago e irresoluto comportamento del protagonista a renderlo tale. E così si avanza in questo angoscioso ripetersi di giorni e di sere tutti uguali, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, devastando la vita propria e quella di lei e dei genitori di lei e del marito di lei e della propria madre e degli altri familiari e della fidanzata… in un grigiore senza fine. Ed è proprio di una noia mortale, due palle ma due palle ma tante di quelle due palle che viene voglia di dire aiutatemi a dire che due palle. Perché andare avanti a leggerlo, allora? Per via di Istanbul, dello scenario politico e sociale, di tutte quelle vicende – bombe comprese – che sui giornali difficilmente hanno trovato posto.
Poi in internet ho scoperto che il museo dell’innocenza esiste davvero, costruito dall’autore con gli oggetti presenti nella narrazione, centinaia di mozziconi di sigarette, più o meno schiacciati, più o meno macchiati di rossetto, e oggetti e oggettini di casa e personali, rubati dal protagonista nel corso della storia per avere sempre con sé dei ricordi di lei: un delirio, una paranoia – e ci starebbe un gran bene anche la definizione della corazzata Potëmkin. Vabbè, se state attraversando una brutta crisi depressiva e vi serve uno stimolo in più per decidervi a suicidarvi, leggetelo.
Orhan Pamuk, Il museo dell’innocenza, Einaudi
barbara
mi fido ciecamente del tuo giudizio.
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Lo so, lo so che sei una bimba diligente.
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Non dovresti incoraggiarmi così.. sei subdola
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Incoraggiarti al suicidio dici?
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Ehm.. proprio quello, intendevo: ma, tutto sommato, non ne vale la pena.
E rieccolo a chiedermi i miei dati.. anche queste son @@
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Non ne vale la pena e poi non ne hai l’autorizzazione, che dovrai chiedere a me, a tuo marito, ai tuoi figli e a tuo nipote (ne hai uno solo, vero?)
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In italia la noia in un libro è considerata un pregio. Solo un intellettuale può leggere e comprendere un libro così sopraffino. a noi comuni mortali la chiave di lettura non è concessa.
In italia più sbadigli ci sono, più la critica è positiva. E’ la nostra cultura. Ed è interessante come spesso gli italiani stessi trovano noioso il loro prodotto letterario.
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Sì, è così: se non apprezzi sei tu che non sei all’altezza.
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poi se chiedi cosa hanno letto, non sanno dirtelo. solo giri di parole che non portano a nulla (la caducità della vita, la squisita nullità dell’epoca moderna che si arrovella sull’arazzo del sapere… ecc ecc…)
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come stroncare un premio nobel…
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Dici che dovrei parlare bene di Arafat e di Dario Fo e di Coffee Annan?
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non necessariamente…
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Grazie! Com’è umano lei!
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Sì.. ne ho uno solo: ma vale per tre!
Però come si fa a rispondere così a distanza?
Vabbè che tu puoi capire, ma la domanda è lassù, in alto..
Vuol dire che per adesso ci rinuncio: ma tu non trovartene più, di nuovi guai!
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E poi io ho NOVE anni più di te, NON un paio!
Senza per questo aver imparato più cose di te, anzi: sappi che, nel dubbio, circa il pensiero dominante, ho googlato. Senza vergogna: mi vergognerei di non dirlo, semmai..
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Tu hai più capelli scuri di me (anzi, tu ne hai, io no, da oltre trentacinque anni) quindi posso benissimo considerarti anche più giovane di me.
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Ma che cazzate riesci ad esprimere anche tu, Babs, a volte.. meriteresti una sonora faccetta! Puah!
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Mai fidarsi del valore..dei Premi Nobel.
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Da tanto tempo ormai sono una buffonata.
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Ahimè SI’
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Dall’inizio dell’articolo fino alla fine ho provato l’irrefrenabile desiderio di non leggerlo. Il libro.
Non lo farò, rileggerò Shogun, 800 pagine di divertimento non intellettuale
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E scommetto che a quell’irrefrenabile desiderio non opporrai resistenza (meglio il migliaio e passa di pagine dei libri di Ken Follett che si leggono in due giorni).
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