AMORE PATERNO

Il bimbo palestinese costretto dal papà a provocare i soldati

La combinazione telecamera+bambino in avanscoperta, tanto cara ai palestinesi, si è rivelata un boomerang.
Come si può vedere dal video, il tentativo consisteva nell’usare un bambino come scudo, sperando di provocare una reazione sbagliata da parte delle guardie di frontiera israeliane in modo da diffondere l’ennesimo video propagandistico.
Alle spalle del bambino ci sono uomini adulti, tra cui presumibilmente il padre che lo fomenta. Potrebbero essere loro ad affrontare gli uomini in divisa. Invece no, viene mandato avanti il bambino, istruito e redarguito, a scopo propagandistico. Un bambino che, quindi, è costretto a rischiare sulla sua pelle.
Qualcosa va storto. Mentre alcuni membri delle Ong “pacifiste” urlano ai megafoni, quello che appare come il padre del piccolo spinge il figlio verso i militari, urlando “Sparategli”. Alto concetto del valore della vita del proprio figlio.
Il bambino però non risponde alle speranze dell’affettuoso papà, si avvicina al soldato e ricambia il “cinque” che quest’ultimo gli offre.
A quel punto scatta il piano b: il padre ordina al piccolo di lanciare sassi, il bimbo senza capire è costretto ad eseguire l’ordine impartito, liberando peraltro la strada dagli ostacoli.
Un video che dice tutto: la propaganda palestinese, lo scarso rispetto per la vita persino dei bambini, la vigliaccheria, le telecamere nascoste a riprendere scene studiate a tavolino (provocazioni nei confronti dei soldati, bambini usati come scudi).
(Sostenitori.info, 30 luglio 2016)
http://www.ilvangelo-israele.it/

Di solito funziona. Nel senso che è chiaro come il sole che si tratta di messinscene – a volte addirittura grottesche, come quella del bambino che zoppica perché lo hanno colpito alla gamba, poi si siede perché gli viene da vomitare, poi si alza e si dimentica di zoppicare, poi se ne ricorda e zoppica con l’altra gamba, poi arriva l’ambulanza e gli fasciano il braccio – ma riescono almeno a produrre un fotogramma da ritagliare accuratamente con cui “documentare” la violenza israeliana sui bambini. Stavolta invece gli è proprio andata buca, ma talmente buca che la Fossa delle Marianne in confronto è un buchetto scavato con un ditale.

barbara

ANNA

Anna, il personaggio biblico raccontato nel libro di Samuele e madre dello stesso profeta e guida di Israele, era depressa: non aveva figli, era una seconda moglie emarginata dalla prima che era, invece, feconda e madre. Secondo i canoni di quello che si racconta oggi in Europa Anna avrebbe dovuto uccidere il marito, che pur l’amava, sterminare la rivale ed i suoi figli ed accoltellare tutti quelli che incontrava per strada. Stranamente questo non accadde e il libro biblico di Samuele testimonia in 1 Samuele 1:10: “Ella (Anna) aveva l’anima piena di amarezza, e pregò il Signore dirottamente.” Da credente Anna pregò. Così semplicemente. Senza machete, asce, coltelli, spade, scimitarre. Che strana cultura questa nostra.
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
(29 luglio 2016)

Per dimostrare la vanità di queste teorie basta una semplicissima considerazione comparativa. Grandissima parte della recente drammatica ondata di immigrazione proviene da paesi dell’Africa a sud del Sahara e dalla regione del Corno d’Africa, e coinvolge persone di fede musulmana, cristiana e animista. Eppure i casi di violenza assassina nei confronti della società civile europea da parte di africani non musulmani sono rarissimi o quasi inesistenti. Tutta la drammatica sequela di stragi, eccidi, sparatorie e accoltellamenti degli ultimi anni è invece attribuibile quasi senza eccezione a membri espliciti o nominali della fede islamica, nati in Nord Africa e Medio Oriente, o nati in Europa da famiglie di tali provenienze.
Sergio Della Pergola
(28 luglio 2016)

Già: un pazzo francese si mette uno scolapasta in testa e dice di essere Napoleone, un pazzo scandinavo chiede alla madre di dargli il sole, un pazzo musulmano entra in chiesa e sgozza il prete. Una depressa ebrea prega, un depresso musulmano prende un camion e si butta là dove la folla è più fitta affinché il bottino di cadaveri sia il più ricco possibile. Quanto alle vittime di bullismo, riporto qui una mia considerazione scritta qualche giorno fa nei commenti. Ho insegnato per 36 anni. In tutte le classi, ripeto TUTTE, ribadisco TUTTE, senza eccezione, c’è una vittima di bullismo. Calcoliamo quante classi ci sono in una scuola, quante scuole ci sono al mondo, e avremo un numero approssimato per difetto (perché a volte le vittime sono due) delle vittime di bullismo a scuola nel mondo. A cui vanno aggiunte le vittime di bullismo nelle squadre sportive, nelle scuole di danza, di musica, di teatro ecc. E poi andiamo a vedere quante di queste vittime vanno a fare carneficine. Fra il mezzo centinaio da me incontrato personalmente, il totale è zero. Strano mondo davvero, quello di noi infedeli.

barbara

A PROPOSITO DI DON CICCIO PRIMO

in arte papa e delle sue esternazioni (non è una guerra di religione, tutte le religioni vogliono la pace e via delirando) viene alla mente quella battuta dell’amico don Stefano, parroco missionario ciellino: “A volte ho l’impressione che certi pacifisti porgano sì l’altra guancia ma non la loro, quella di qualcun altro” (per inciso, e del tutto OT – ma forse anche no – don Stefano è lo stesso che a proposito di certe non commendevolissime abitudini del cappellano militare dell’aeroporto di Padova ha commentato: “Vabbè, sempre meglio le signorine allegre che i ragazzini”). Se non fosse per il rispetto dovuto al ruolo di cui è investito, verrebbe da dire che il signor don Ciccio primo in arte papa fa il frocio col culo degli altri, ma dato il rispetto dovuto al ruolo di cui è investito, mi asterrò dal dirlo.
bergoglio
barbara

STO IMPARANDO

A fare la spesa mi accompagna regolarmente la mia badante a ore, dato che non posso chinarmi, non posso sollevare e portare pesi, non posso fare sforzi di alcun genere. A volte però capita che in un giorno in cui lei non c’è ho bisogno di una o due cose leggere: un cespo di insalata, due pomodori, il burro, il latte. Il latte, ecco: le altre cose sono tutte raggiungibili, il latte no. Quello che prendo io, ossia il più economico, che è anche quello che viene da più lontano cioè dall’Austria, sta al piano terra, a dieci centimetri dal pavimento, e non lo posso prendere, quindi bisogna che fermi il primo che passa e gli chieda il favore di prendermelo. Ecco, la cosa che sto faticosamente imparando è questa: chiedere aiuto. Non l’ho mai fatto. Non sono mai stata capace di farlo. A causa di questa mia incapacità mi sono trovata in situazioni a volte anche abbastanza drammatiche. In molte cose me la so cavare benissimo da sola, dal cambiare una presa di corrente al ricaricare la batteria dell’auto, ma in tutte no, naturalmente. E in quelle che no, se non capitava per caso qualcuno a offrirmi aiuto spontaneamente, non ne uscivo. Adesso, che la situazione di avere bisogno di aiuto è così frequente, mi sono dovuta decidere a imparare. Le prime volte balbettavo, il che mi metteva ancora di più in imbarazzo, a volte ero costretta a ripetere perché farfugliavo così penosamente che quello che usciva dalla mia bocca era proprio incomprensibile. Ma pian piano sto imparando. Adesso riesco quasi sempre a dirlo tutto di fila “mi scusi, per favore, mi potrebbe prendere quel cartone di latte lì?” Il busto è ben visibile, non ho bisogno di spiegare perché non lo faccio da sola. Poi c’è che a volte ho l’impressione che un sacco di persone abbiano una tale voglia di gentilezza da essere grati non solo quando la ricevono, ma addirittura quando viene loro offerta l’opportunità di darla.
Vabbè, con tutto sto gran guaio – che poi mi è venuto in mente che è stato qui che ho mandato a puttane la vertebra. Poi l’ultimo giorno in Israele abbiamo piantato un alberello (uno ciascuno, cioè) in una foresta del KKL e non potendomi inginocchiare per via delle ginocchia distrutte dall’incidente sono stata lì un tempo infinito (il terreno era scosceso e sassoso) a picconare tutta curva in avanti, e lì le ho dato il colpo di grazia. A questo punto bastava soffiarci sopra perché andasse in due pezzi, e così è stato – con tutto sto gran guaio, dicevo, che oltre a tutto il resto mi costerà sicuramente anche il viaggio in Israele di settembre, almeno una cosa buona è venuta. Poi mi resta da capire perché sessanta giorni di busto mi abbiano portato via sei chili senza che abbia fatto niente per perderli, in aggiunta ai nove chili persi nei quattordici mesi precedenti, senza che abbia fatto niente per perdere neanche quelli, ma questa è un’altra storia.

barbara

SIAMO TUTTI ISRAELIANI!

Vi propongo questo testo che ho ricevuto da Augusto Fonseca, che ne ha curato la traduzione e le note, che mi è piaciuto molto.

Noi tutti siamo Israeliani! Quelli che vivono all’estero, quelli che si trovano nei territori [Giudea e Samaria, conquistati dopo la guerra dei sei giorni] e quelli che sono a Tel-Aviv. Di destra o di sinistra, neri o bianchi, in bikini o in scuri caffettani, con in testa la kippàh o calvi e a capo scoperto, o calvi con la kippàh1.
Noi questo non riusciamo ancora a capirlo, ma il Tempo è un gran signore. Lui non mente. Su di noi pesa in tutto il mondo qualcosa come una condanna, la “condanna del silenzio“. Ci hanno condannati, ma noi a chi lo ha fatto rispondiamo con il gran bel gesto dell’ombrello (tiè’!), anche se tra di noi bellamente ci mandiamo a fare in culo l’un l’altro.
Quando nel 1992 io dissi a Šmulik, mio superiore, che l’arresto amministrativo degli Arabi era qualcosa d’immondo, lui non mi capiva, fin quando poi nel 1994 non finì lui stesso in carcere, proprio in forza di quella delibera. Gli abitanti di Sderòt nel 1994 non capivano com’era possibile per noi, coloni, vivere a Gaza, in Giudea e in Samaria. Adesso lo capiscono2. Gli abitanti di Aškelòn [Ascalona] e Beèr-Ševà nel 2005 non potevano capire come fosse possibile vivere a Sderòt. Adesso lo capiscono.
D’altro canto, in tutto il mondo si fanno dimostrazioni contro gli Israeliani, contro di noi. A nessuno, però, viene in mente di chiedersi come fanno a vivere, sotto la minaccia continua di attentati e lanci di razzi, milioni d’Israeliani! E s’impietosiscono nei confronti degli Arabi. Anch’io provo molta compassione nei loro riguardi. Se, però, non c’è nessuno disposto a capire noi, tanto meno qualcuno potrà comprendere loro. Gli Arabo-palestinesi non possono (non devono) sapere che gli Israeliani hanno fatto ridurre di cinque volte tra di loro la mortalità infantile; che il livello di vita in Giudea e in Samaria è di otto volte superiore a quello dell’Arabia Saudita, della Giordania e dell’Egitto. I socialisti israeliani, alla guida degli Arabi hanno fatto venire dei banditi, gentaglia che tappa la bocca, che saccheggia e violenta, che si fa scudo di donne e di bambini.
E, invece, noi e loro siamo tutti israeliani, discendiamo tutti da Giacobbe, ovvero da Israele, tutti uguali. Noi mandiamo i nostri ragazzi a combattere, ma raccomandiamo loro di fare grande attenzione. Non abbiamo nulla in contrario che i militari israeliani, prima di attaccare gli arsenali dei missili “Grad [Grandine]“, avvertano per telefono la popolazione civile, affinché scappi per salvarsi. Noi siamo israeliani. Non abbiamo bisogno di sangue innocente.
Siamo Israeliani.
Fuori dei confini d’Israele, la minaccia di morte per gli Ebrei è ancora più grave che all’interno del Paese, come ampiamente lo dimostra la strage di Bombay del novembre 20083. E noi, comunque, non abbiamo paura, a dispetto di quanto cercano di far credere tutti gli organi di comunicazione di massa. I nostri ragazzi, già un’ora dopo le esplosioni, riprendono a frequentare gli autobus e i centri commerciali. A noi, la “congiura del silenzio“ ci fa proprio un baffo! Ecco, per esempio, una battuta colta al volo tra due civettuole ragazzine di Kiryàt-Arbà:
“Sai, bisogna indossare sempre biancheria intima elegante. Non si sa mai, ci può essere qualche attentato terroristico e allora può capitare che venga a metterti in salvo qualche soldato giovane e carino!?!“.
Noi siamo Israeliani!
A dire il vero, questa cosa a noi stessi non risulta sempre chiara. Se teniamo presente, infatti, la realtà di Meà Šearìm [ebr.: “cento porte“; quartiere ebraico ultra-ortodosso di Gerusalemme] con tutti quei caffettani scuri e quei nugoli sciamanti di bambini, allora ci sembrerà che proveniamo da pianeti diversi. E, invece, noi siamo tutti Israeliani. Neppure i nostri ultra-ortodossi se ne stanno senza far nulla, perché si preoccupano di dare un’istruzione ai loro bambini. Il 95% degli Israeliani è come i bambini di Meà Šearìm e Kiryàt Sefér. Tutti noi, infatti, proveniamo da paesini della Russia o della Polonia, dello Yemen o del Marocco, dell’India o dell’Etiopia.
Noi siamo Israeliani.
A noi insegnano che, incontrando un terrorista, bisogna andargli incontro. Non si deve né scappare né tentare di venire a patti, ma soltanto attaccare. E il dito ha da esser fermo sul grilletto. Noi non spariamo indiscriminatamente, anche se siamo bene armati. Sopra di noi grava il giudizio di Dio, anche su coloro che in Lui non credono.
Noi siamo Israeliani. E non siamo qualcosa d’inventato, come ha fatto Jurij Andropov nel 1972, inventando il “popolo palestinese“!4
Noi siamo Israeliani. Discendenti da Israele, cioè da colui che lottò con l’Angelo e ne venne fuori vittorioso, com’è universalmente noto. La nostra Toràh è alla base del cristianesimo e dell’Islàm: non sarà mica per questa ragione che ci hanno condannati a morte “per mezzo del silenzio?!?“.
Noi siamo Israeliani. Non vogliamo ammazzare nessuno, vogliamo solo vivere in pace. Noi siamo disposti persino ad aiutare gli Arabi, e in modo assolutamente gratuito, affinché raggiungano condizioni di vita da XXI secolo, pervenendovi direttamente dall’XI, cioè da un’epoca primitiva e barbarica. In essa noi non ci faremo mai trascinare. Perché noi siamo Israeliani.
Il nostro grande saggio, Moshe Ben Maimòn già nel XII secolo aveva acquisito delle conoscenze ignote alla maggior parte dei popoli di tutto il mondo. Adesso se ne sono appropriati gli Arabi, che lo chiamano Ibn Majmùn, e i cristiani, che lo chiamano Maimònide5.
Noi siamo Israeliani. Dal nulla abbiamo costruito un Paese, che si trova oggi nel novero dei trenta più sviluppati nel mondo. Un Paese economicamente solvibile, nonostante le continue spese per motivi di guerra. Il 25% delle realizzazioni di questo Paese si deve a noi, Ebrei provenienti dalla Russia. Ma anche noi, e da tempo, siamo divenuti Israeliani.
Siamo Israeliani! E in grado di esistere autonomamente.
Ma adesso da noi si è verificata una situazione come quella della Polonia del 1939, quando “i migliori dei migliori erano governati dai peggiori tra i peggiori“ per usare una ben nota frase di Wiston Churchill.
Noi, però, non abbiamo alcuna scelta! Nonostante la venalità di chi detiene il potere, noi dobbiamo resistere fino alla fine, disdegnando quel malcostume. Ne va della propria vita. E noi a quel prezzo non ci stiamo. Io ai ragazzi vado dicendo che dell’opzione “prigioniero“ non se ne parla nemmeno. È come con i leoni in gabbia: mordere fino all’ultimo! L’opzione “prigioniero“ è negata anche a tutti gli Israeliani.
Tutti noi siamo Israeliani, anche coloro che non sono ebrei religiosi osservanti.
Siamo israeliani, ma non nel senso che a questa parola attribuisce il nostro venduto presidente, quando dice che, dopo aver fatto evacuare gli Ebrei da Gaza, gli Israeliani hanno vinto gli Ebrei. Sarà stato lui a vincere dentro di sé l’Ebreo, vendendosi al nemico (un medico arabo di Gaza all’emittente “Galats“ si è lasciato scappare la dichiarazione che i suoi rapporti con il “Fondo Peres”6 non hanno soluzione di continuità).
Noi siamo Israeliani, perché abbiamo scelto di vivere in Israele, e perché, in una certa misura, siamo legati a Israele o ai suoi discendenti.
NOI SIAMO ISRAELIANI!
IVAN NAVI*

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* Ivan Navi (1958 , Frunze, oggi Biškék , capitale del Kirghizistan). Immigrato in Israele nel 1991. Vive a Kiryàt-Arbà, non lontano da Hebron, dove svolge un’attività di vigilanza assimilabile a quella del custode scolastico in Italia. Scultore, pubblicista e cantautore russofono. Questo articolo, scritto nel 2009 e presente nel suo blog all’indirizzo: http://i-navi.livejournal.com/113569.html , a me è parso assai utile, in quanto offre un’originale immagine della realtà politica israeliana. Per questo motivo, ho ritenuto opportuno tradurlo (dall’originale russo) e presentarlo al pubblico italiano, corredato da alcune note per una migliore comprensione.

1   La kippàh è il copricapo tipico degli Ebrei religiosi osservanti. La calvizie (o pelata), invece, in un certo senso contraddistingue gli Ebrei laici o addirittura antireligiosi della Grande Tel-Aviv. Intanto, da una decina di anni si è fatto avanti un nuovo gruppo che cerca di conciliare le posizioni di quei due gruppi. Di qua, la qualifica dell’Autore “calvi con la kippàh“.
2 Dopo la vittoriosa “guerra dei sei giorni“ (1967), Israele estende i suoi confini nella striscia di Gaza e in Cisgiordania (Giudea e Samaria), dove impianta proprie colonie tra la popolazione araba. Se sul piano politico il fatto viene contestato da diverse istituzioni internazionali (una per tutte, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU), sul piano economico e sociale, nonostante una parziale presenza militare israeliana, risulta positiva l’influenza dei coloni sul tenore di vita della popolazione araba. Ma questo fatto non solo non è riconosciuto dai dirigenti politici arabo-palestinesi né dal mondo occidentale, ma, in seguito al trattato di Oslo, e ancor più dopo il ritiro dei militari e (forzatamente) dei coloni dagli insediamenti nella Striscia di Gaza e da un paio di centri della Cisgiordania, viene addirittura accolto con un incremento di atti terroristici e lanci di missili su centri urbani israeliani confinanti (Sderòt, Aškelòn [Ascalona], Beèr-Ševà). Se, quindi, gli abitanti di queste città, che non si azzardavano ad entrare nei territori in cui avvenivano attentati e si uccideva, non capivano come fosse possibile per i coloni vivere in quelle condizioni, adesso, che anche loro sono oggetto di bombardamenti, se ne rendono conto! Il fatto, comunque, dimostra l’intransigenza dei dirigenti arabo-palestinesi nei confronti degli Israeliani in relazione a qualsiasi accordo.
3 In: http://www.focusonisrael.org/2008/11/30/mumbai-gli-ebrei-trucidati-perche-ebrei (25 /06/2015)
4 “popolo palestinese“: l’espressione è frutto (velenoso), tra l’altro, di quell’intensa e continua propaganda del KGB, il quale sin dagli anni ’60 del secolo scorso ha operato con ogni mezzo (terrorismo compreso), al fine di seminare, principalmente in tutto il mondo islamico, un odio viscerale e mortifero contro lo Stato d’Israele e vanificare ogni influenza degli Stati Uniti nell’area mediorientale. Vedi: Ion Mihai Pacepa, in: https://it.wikipedia.org/wiki/Ion_Mihai_Pacepa (25.06. 2015). Inoltre, esposizione molto più ricca e dettagliata, in russo, in: http://mishmar.info/kto-izobrel-mirniie-process-i-palestinskiie-narod.html (25.06.2015). Cfr. anche: Giulio Meotti, Dizinformatia, in IL FOGLIO, 8 luglio 2013, http://www.ilfoglio.it/articoli/2013/07/08/disinformatia___1-v-95668-rubriche_c317.htm (25.06.2015)
5 Maimònide (ebr.: Mōsheh ben Maimōn; l’abbreviazione con cui è noto, RAMBAM, è una sigla di Rabbī Mōsheh ben Maimōn; arabo Abū ‘Imrān Mūsā b. Maimūn b. ‘Abd Allāh). – Filosofo, medico e giurista ebreo (Cordova 1135 – Il Cairo 1204). Il pensiero di Maimònide rappresenta il più alto livello raggiunto dalla speculazione ebraica medievale. Nella sua opera Dalāla al-ḥā’irīm ( “Guida per i perplessi“) egli tende a dimostrare (fondandosi su Aristotele) che non esiste un contrasto tra la filosofia razionale e gli insegnamenti della religione, i quali possono coesistere in un armonico equilibrio (http://www.treccani.it/enciclopedia/maimonide ) ( 25.06.2015).
6 Il “Fondo della Pace“ (creato da Yitzhak Rabin e Shimon Peres, destinatari, insieme con Yasser Arafat, del Nobel per la pace nel 1994) diviene poi “Fondo Shimon Peres“. Sorto per sostenere lo sviluppo dell’economia dell’Autorità Autonoma Palestinese, raccoglie denaro in tutto il mondo. Non è esente da sospetti e scandali finanziari.
Per un profilo del personaggio “Shimon Peres“, molto discutibile, si può utilmente consultare i seguenti indirizzi, in lingua russa: http://kuking.net/my/weblog_entry.php?e=10349&sid=1e0534e01f58a9774a2e4055e6a8fc52 (25/06/2015); http://botinok.co.il/node/70256 ; http://israill.boxmail.biz/cgibin/guide.pl?action=article&id_razdel=161335&id_article=216916 . (25.06.2015).

A queste vivide immagini della vita in Israele aggiungo solo una piccola postilla: ho trovato curiosa e divertente l’universalità della leggenda delle mutande da scegliere in considerazione di un possibile incidente.
Poi magari, per chi non fosse troppo addentro in queste questioni e non avesse chiaro il motivo per cui Shimon Peres viene definito personaggio discutibile, può essere utile rileggere questo.

barbara

CI CONCEDIAMO UN MOMENTO DI TREGUA?

Turchia, Nizza, Heidingsfeld, Kabul, Monaco, e l’egiziano che dà fuoco alla moglie e il tunisino che accoltella la compagna e il siriano che uccide una donna incinta col machete e qui ci si ferma per ragioni pratiche ma potremmo andare avanti all’infinito. E allora propongo di concederci un attimo di tregua con una delle musiche più belle che siano mai state scritte.

barbara

RIFLESSIONI SUI FATTI DI TURCHIA

Che preferisco far precedere da queste altre riflessioni non di un addetto ai lavori, bensì di un comune cittadino dotato di semplice logica e buon senso. A cui aggiungerei il mio ammirato stupore per la supersonica velocità con cui il signor Erdogan è riuscito a compilare in poche ore, come reazione al golpe, liste di proscrizione con decine di migliaia di nomi; anzi, a dirla tutta, sono proprio scioccata, scioccata.
E passo alle riflessioni mie.
Questa è una lista, forse neanche completa, degli elementi epurati.
epurati Turchia

Non ci sono i giornalisti, come potete vedere, perché non è più necessario: nel solo 2016 ne sono stati licenziati 894, in aggiunta al fatto che la Turchia detiene il record mondiale di giornalisti in prigione (altre interessanti informazioni qui), quindi l’informazione era già imbavagliata da prima e non c’è bisogno di occuparsene ulteriormente.
Esercito. Una robusta epurazione degli elementi ostili era avvenuta cinque anni fa, sotto il pretesto di “notizie certe” di un golpe in preparazione. Con quest’altro scossone nell’esercito non c’è più nessuno che possa in futuro organizzare azioni come quelle più volte messe in atto in passato dall’esercito per ristabilire laicità e stabilità in Turchia.
Polizia. Eliminati tutti coloro che potrebbero manifestare dissenso in nome della giustizia, della coscienza, del dovere.
Giustizia. Eliminati tutti gli elementi convinti che la giustizia debba prevalere sulle ideologie. Scongiurato quindi il pericolo che a qualcuno possa in futuro venire in mente di incriminarlo per le sue azioni.
Istruzione. Nelle scuole d’ora in poi verranno impartite unicamente lezioni islamicamente corrette, e di assoluta fedeltà al padrone.

Quindi Erdogan ha realizzato un controllo completo su tutti gli ambiti sociali, politici e militari del Paese. Il risultato di tutto questo è evidente: Erdogan è il padrone assoluto della Turchia, la dittatura saldamente installata, ogni possibilità di dissenso annientata alla radice, spalancata la strada per l’applicazione integrale della sharia come legge di stato.
E vedo che anche a qualcun altro è venuto in mente il paragone che è venuto in mente a me, fermo restando il fatto che l’attentato, pur maldestro e quindi fallito, era comunque autentico. Molto più appropriato, per quanto riguarda la messinscena, il paragone con l’incendio del Reichstag.

barbara

DOCCIA FREDDA E POI TIEPIDINA

Stamattina sono andata a ritirare il referto dei raggi di controllo alla vertebra. Mi siedo apro la busta con le mani che mi tremano e leggo: “Situazione invariata”. Invariata. Per fortuna ero seduta. Cinquanta giorni di busto. Cinquanta giorni di quasi totale immobilità. Cinquanta giorni di sacrifici e rinunce. Cinquanta giorni di tortura. Situazione invariata. Che ovviamente si capisce che spaccarsi un osso a sessantacinque anni non è lo stesso che spaccarselo a venti o a quaranta, si capisce che ci voglia più tempo, magari anche molto più tempo, ma proprio zero?! E se in cinquanta giorni il risultato è zero, è inutile sperare che la situazione possa migliorare: i multipli di zero ammontano sempre a zero.
Poi il pomeriggio sono andata dall’ortopedica che apre le immagini di oggi, poi quelle vecchie e dice ma no che non sta andando male! E mi fa vedere: la distanza fra i due pezzi è effettivamente rimasta invariata, solo che prima fra i due pezzi c’era il vuoto e adesso una parte di quello spazio è riempita dalla calcificazione che li sta andando progressivamente a saldare. Fanculo ai compilatori di referti.
Poi ho scoperto che in tutto questo tempo ho commesso una grave trasgressione: quando mi capita di svegliarmi di notte e di avere bisogno di andare in bagno (che è adiacente alla camera), dovrei mettere il busto seduta sul letto, prima di alzarmi, e ritoglierlo al ritorno, dopo essermi seduta sul letto, cosa che non ho mai fatto. In realtà, vivendo sola, anche se mi sono presa un aiuto due volte la settimana in aggiunta alla ragazza che una volta la settimana mi fa le pulizie, di trasgressioni ne faccio a vagonate. D’altra parte, se comportandomi così ho conseguito un discreto miglioramento, vuol dire che va bene così: sono sempre stata convinta che il fanatismo integralista faccia male alla salute in tutti i campi, compreso quello della salute.
Adesso ha detto di tornare a controllare fra in mese e mezzo. Ma siccome il tempo normale è di tre mesi, ci andrò quaranta giorni dopo l’esecuzione delle radiografie. Anzi, trentotto: tanto, quello che non si è sistemato in ottantotto giorni, di sicuro non si sistemerà in novanta.
Oggi comunque ho fatto circa un chilometro per andare a prendere il referto, uno per tornare, uno per andare alla visita, uno per tornare, uno per alcuni altri giri. Con una muscolatura ridotta praticamente a zero: sono più sfinita di una persona normale che abbia scaricato un intero container al porto. Vabbè, per lo meno posso dire che la giornata è finita meglio di come era cominciata.
sente-un-sollievo
barbara