E PER CHIUDERE L’ANNO IN BELLEZZA

Questa mi sembra la cosa più adatta

People of the Year: Israele

Nessuno lo potrà ammettere fino in fondo ma anche per i campioni del politicamente corretto e dell’islamicamente corretto il 2016 è stato l’anno in cui l’Europa ha cominciato a poco a poco ad aprire gli occhi e a capire che non sono lupi solitari, che non sono pazzi omicidi, che non sono depressi, che non sono folli, che non sono squilibrati, che non sono poveri, che non sgozzano preti per caso, che non finiscono per caso al volante di un tir nel centro di una città, che non uccidono infedeli per capriccio, che non massacrano omosessuali per diletto e che non scelgono per sbaglio di uccidere solo chi non conosce a memoria alcuni passi del Corano. Nessuno lo potrà ammettere fino in fondo, anche se ormai lo abbiamo capito tutti, ma il 2016 è stato l’anno in cui tutti i paesi d’Europa — chi vedendo scorrere sangue sul proprio territorio. chi vedendo scorrere il sangue dei propri cari in un paese amico — hanno sperimentato sulla propria pelle cosa significa vivere a contatto con il terrorismo di matrice islamista. Cosa significa vivere sotto assedio. Cosa significa combattere contro un nemico invisibile che uccide mosso non solo dall’odio ma da un unico e totalizzante progetto omicida: eliminare gli infedeli. Nessuno lo potrà ammettere fino in fondo, anche se ormai lo abbiamo capito tutti, ma il 2016 è stato l’anno in cui i cittadini europei, e anche quelli italiani, hanno capito per la prima volta che cosa significa essere Israele. Hanno capito — loro, noi, meno le cancellerie, meno le burocrazie europee che scelgono di marchiare i prodotti israeliani, meno i paesi che triangolando con l’Unesco provano a cancellare la storia di Israele, e stendiamo un velo pietoso su Obama — che la guerra dalla quale l’Europa e l’occidente devono difendersi è la stessa guerra dalla quale deve difendersi Israele ogni giorno della sua vita. La guerra che l’Europa combatte con scarsa convinzione e poca consapevolezza contro lo Stato islamico è la stessa guerra mortale combattuta da Israele sui suoi confini. Contro Hezbollah. Contro Hamas. Contro l’Isis. Contro tutti coloro che ogni giorno minacciando la vita di un israeliano mettono in discussione la libertà dell’occidente. Nessuno lo potrà ammettere fino in fondo ma la violenza islamista contro la quale Israele combatte da anni è la stessa che negli ultimi mesi ha attraversato Parigi e Nizza, Berlino e Istanbul, Bruxelles e Baghdad, Tel Aviv e Gerusalemme, Minnesota e New York, Sydney e San Bernardino, la stessa che ha colpito cristiani, ebrei, donne, omosessuali, yazidi, curdi e musulmani innocenti, la stessa che ha costretto alla fuga dalle loro terre milioni di profughi fuggiti per non essere macellati. Nessuno lo potrà ammettere fino in fondo, ma il 2016 ci ha dimostrato, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che nonostante Obama, nonostante l’Onu, nonostante l’Unesco, Israele siamo noi. Lo abbiamo capito dopo una lunga striscia di sangue. Lo abbiamo capito dopo aver messo insieme i tasselli del mosaico dell’orrore. Con gli attentati riusciti e quelli non riusciti, di cui oggi il Foglio vi dà conto. “La sconfitta dell’islam militante — ha detto a settembre Benjamin Netanyahu di fronte alle stesse Nazioni Unite che provano ogni giorno a rosicchiare via un pezzo di storia di Israele — sarà una vittoria per tutta l’umanità, ma sarebbe soprattutto una vittoria per quei tanti musulmani che cercano una vita senza paura, una vita di pace, una vita di speranza. Ma per sconfiggere le forze dell’islam militante, dobbiamo lottare senza tregua. Dobbiamo combattere nel mondo reale. Dobbiamo combattere nel mondo virtuale. Dobbiamo smantellare le loro reti, interrompere i loro finanziamenti, screditare la loro ideologia. Possiamo sconfiggerli e noi li sconfiggeremo. Il medievalismo non può competere con la modernità. La speranza è più forte dell’odio, la libertà più forte della paura. Possiamo farcela”. Israele siamo noi. E il paese dell’anno, il paese modello, non solo per questo 2016, non può che essere questo. Buon Capodanno a tutti. E mai come oggi viva Israele.
Claudio Cerasa, Il Foglio, 31/12/2016

Poi, visto che sei in vacanza e non hai niente da fare, vai a leggere anche questo.
E buon anno a tutti.

barbara

LE DONNE UCCISE IN GUATEMALA

«Mia figlia María Isabel aveva 15 anni. Andava a scuola, e d’estate lavorava in una boutique. La notte del 15 dicembre 2001 è stata rapita nella capitale. Il suo corpo è stato ritrovato poco dopo Natale. Era stata violentata, le mani e i piedi legati con del filo spinato. Era stata pugnalata, strangolata e infilata in un sacco. Il suo volto era sfigurato dai colpi, il suo corpo lacerato, aveva una corda attorno al collo e le unghie strappate. Quando mi hanno consegnato il suo cadavere, mi sono buttata a terra gridando e piangendo, senza riuscire a fermarmi. Ma mi dicevano di non esagerare.» Questa testimonianza compare in un rapporto di Amnesty International relativo alla missione del 2004 a Città del Guatemala. In questo caso, come in centinaia di altri, gli aggressori rapiscono le loro vittime e infliggono loro violenze sessuali estreme prima di assassinarle selvaggiamente. I corpi vengono generalmente ritrovati in aree dismesse o in discariche. A volte gli assassini non esitano a incidere sul corpo della vittima un messaggio, come «a morte le puttane» o «vendetta». Secondo alcuni esperti le mutilazioni e il macabro scenario in cui viene ritrovato il corpo sono destinati a «lanciare un messaggio di intimidazione e di terrore».
Stando alle cifre che il governo guatemalteco ha fornito alla commissione interamericana dei diritti dell’uomo, fra il 2001 e l’agosto del 2004 sono state assassinate 1188 donne. Stando alle informazioni apparse sulla stampa, nel 2004 le vittime sarebbero 525 e nel 2005 590. Le donne assassinate sono studentesse, madri di famiglia, domestiche, operaie, ma anche delinquenti e prostitute. Le minorenni ne sono tutt’altro che risparmiate. Secondo le autorità, più della metà delle vittime ha fra i 13 e i 36 anni; quanto alle altre, raramente superano la quarantina. Appartengono tutte alle classi sociali più disagiate, che in Guatemala vivono in condizioni particolarmente precarie, sia dal punto di vista economico che abitativo. Altro punto in comune: la maggioranza dei crimini ha luogo in zone urbane.


Le famiglie esitano a segnalare le scomparse

Come in Messico con il cosiddetto caso delle «morte di Juárez», anche qui le cifre sono oggetto di una battaglia fra le autorità e le organizzazioni non governative. Una cosa è certa: i dati ufficiali sono molto al di sotto della realtà. Nel suo rapporto, Amnesty International sottolinea del resto la scarsa affidabilità delle statistiche ufficiali. Delle 525 vittime catalogate dalla polizia nel 2004, 175 sono state assassinate con un’arma da fuoco, 25 con armi bianche, e 323 «sarebbero morte in altro modo». Questa indistinzione fa calare anche dei dubbi sull’efficacia delle indagini. L’analisi di diversi dossier rivela enormi lacune riguardo alla protezione della scena del crimine e alla raccolta degli indizi. Lacune che si riscontrano anche nel corso delle autopsie, che a volte, anzi troppo spesso, omettono i segni di eventuali aggressioni sessuali.
Viste queste condizioni, non è difficile capire perché le famiglie esitano a contattare la polizia: per paura di attirarsi soltanto altri problemi o, peggio ancora, per fatalismo. Quando si decidono a segnalare una scomparsa, ricevono sempre le stesse risposte: «È fuggita con il suo ragazzo», o «Ha tentato la sorte in Messico, e poi negli Stati Uniti». Spesso, inoltre, la polizia cerca di attribuire questi casi alla delinquenza, non esitando mai ad affermare che la vittima intratteneva legami con una delle numerose gang del Guatemala o che si dedicava ad attività illecite come la prostituzione o il traffico di droga. In ogni modo, come in altri paesi della regione, l’alto livello di corruzione della polizia rende le famiglie scettiche, se non addirittura diffidenti. Trentasei anni di sanguinoso conflitto interno fanno sentire ancora il loro peso.


Una guerra civile dalle conseguenze profonde

Il clima generalizzato di violenza che regna nel paese non è estraneo agli assassinii di cui sono vittime le donne. Il Guatemala ha vissuto una guerra civile quasi ininterrotta dal 1960 al 1996. In questo paese tre volte più grande del Belgio il conflitto interno ha fatto più di 150.000 morti e circa 50.000 persone scomparse, di cui un quarto erano donne. Nel periodo più nero, sotto la dittatura del generale Rios Montt, è stata messa in piedi una strategia di distruzione sistematica dei villaggi per isolare la guerriglia. Come in altri conflitti, le violenze sessuali, e in particolare lo stupro, sono state utilizzate come un’arma. Ancora oggi molte donne risentono delle conseguenze fisiche e psicologiche di quel periodo. Queste pratiche hanno lasciato tracce profonde. Nel 1999, Radhika Coomaraswamy, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, affermava che la «natura apparentemente endemica degli stupri in tempo di guerra è stata istituzionalizzata attraverso la scappatoia della prostituzione forzata e della schiavitù sessuale delle donne da parte dei civili». Durante il conflitto decine di migliaia di rifugiati hanno lasciato il paese per recarsi in Messico e farsi accogliere in campi amministrati dall’Onu. Le popolazioni indigene sono state le prime vittime della repressione. L’opinione internazionale ha preso coscienza della situazione attribuendo il premio Nobel per la pace a Rigoberta Menchú Tum nel 1992. Nonostante gli accordi di pace firmati nel 1996, però, la società guatemalteca non ha ritrovato la pace. Nei primi dieci mesi del 2005 sono state uccise 4325 persone: un dato che fa del Guatemala uno dei paesi più violenti del continente americano. Questa violenza è essenzialmente dovuta alle bande, le cosiddette maras, organizzate sul modello delle gang statunitensi e formate da adolescenti e da giovani. Queste bande si dedicano al traffico e al consumo di droga e approfittano dell’estrema facilità con cui ci si riesce a procurare delle armi per portare avanti le loro attività, in particolare il racket. Riconoscibili dai loro tatuaggi, questi ragazzi incutono terrore, perfino al di là delle frontiere del paese. Le autorità messicane sono costrette a far fronte alla loro presenza lungo la frontiera tra i due Stati, dove le maras terrorizzano i candidati all’emigrazione illegale. Gli Stati Uniti le considerano «una minaccia alla sicurezza interna». Nel marzo del 2005 il presidente George W. Bush ha annunciato l’istituzione di una forza speciale, sovvenzionata con 150 milioni di dollari, per combatterle.


Violenze coniugali e molestie sessuali

Se gli assassinii sono l’espressione acuta del male che colpisce la società guatemalteca, le donne sono oggetto di una violenza sessista più quotidiana: violenze coniugali da parte dei mariti o dei fidanzati, molestie sessuali sul posto di lavoro o sui mezzi pubblici. Ancora oggi questo paese di 12 milioni di abitanti è alle prese con una situazione economica difficile. Più della metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Qui come altrove, spesso le donne sono i soggetti più vulnerabili e i primi a essere colpiti. Spesso obbligate a mantenere la famiglia, devono accettare lavori poco qualificati e mal retribuiti. Le domestiche, spesso giovani di origine indigena, sono le prime vittime di molestie sessuali. Stando a un’inchiesta effettuata dall’organizzazione Human Rights Watch («Del hogar a la fábrica, discriminación en la fuerza laboral guatemalteca», «Dal focolare alla fabbrica: discriminazione nella forza lavoro guatemalteca»), un terzo delle domestiche interrogate ammette di essere stata oggetto di carezze e toccamenti o di proposte sconvenienti, soprattutto da parte del capofamiglia. Nella maggioranza dei casi queste ragazze non hanno altra soluzione che lasciare il loro impiego. Fenomeno rivelatore, nessuna di loro è andata alla polizia per sporgere denuncia. Come conferma questa testimonianza di María Ajtún, 24 anni, che lavora dall’età di 8. «Il padrone di casa ha provato ad abusare di me, non la smetteva di perseguitarmi. Per due volte mi ha preso i seni da dietro mentre lavavo il bucato nell’acquaio. Ho gridato, è arrivato suo figlio e lui se n’è andato. Non ho detto niente a sua moglie, avevo troppa paura. Ho preferito andarmene»
Come in altri paesi dell’America centrale, e soprattutto in Messico, che presenta molti punti in comune con la situazione guatemalteca, molte famiglie lavorano in fabbriche delocalizzate di grandi marche statunitensi in cerca di manodopera a basso costo, le maquíladoras. In Guatemala l’attività principale di queste fabbriche è il settore tessile. Accordi doganali vantaggiosi facilitano le esportazioni verso gli Stati Uniti. Stando all’organizzazione padronale locale, sono impiegate in questo settore più di 80.000 persone, di cui l’80% donne. La concorrenza esercitata dall’Asia rafforza ulteriormente la pressione sulle lavoratrici. I costi di produzione vengono costantemente abbassati. La discriminazione e le molestie sessuali sul posto di lavoro sono pratiche diffuse, in particolare da parte del personale della direzione, generalmente di sesso maschile, e del personale di sorveglianza delle fabbriche. Alcune imprese esigono perfino dei certificati che attestano che la futura impiegata non è incinta, altre si rifiutano di assumere madri di famiglia.


Una donna picchiata può sporgere denuncia solo se le ferite sono visibili per dieci giorni

Il paragone con il «femminicidio» in Messico non si ferma qui. A Ciudad ]uárez come a Città del Guatemala, l’impunità è di rigore. Nessun assassino di donne è mai stato perseguito. La legge, poi, non viene in aiuto delle donne, che invece ne avrebbero bisogno. In questo paese così particolare, un uomo può evitare una condanna per stupro se si sposa con la sua vittima! Una donna picchiata può sporgere denuncia solo se le ferite sono visibili per dieci giorni. E i rapporti sessuali con le minorenni vengono puniti solo se la ragazza riesce a dimostrare di non aver provocato il suo aggressore… Uno dei capi della polizia nazionale, incaricato della maggior parte delle inchieste, si accontenta di rilasciare dichiarazioni di principio per spiegare il fenomeno: «Le donne di oggi escono più spesso di prima e partecipano di più alla vita sociale. Molti uomini le detestano per questo motivo. Sapete, il Guatemala è un paese di machisti». In un paese che conta più di un milione e mezzo di armi non registrate, le uccisioni di donne fanno parte del paesaggio nazionale. La polizia si accontenta di attribuire questi delitti alla violenza endemica, al traffico di droga, alla prostituzione e alle gang. Non stupisce dunque che nel 2005, su 590 omicidi, sia stata condotta a termine soltanto un’indagine che ha portato l’assassino in tribunale. Il Guatemala è un paese piccolo, geograficamente condannato all’oscurità. Il suo grande vicino, il Messico, gli fa parecchia ombra. Oggi le 400 «morte di Juárez» sono conosciute in tutto il mondo grazie all’azione di diverse organizzazioni locali e internazionali. A Città del Guatemala, malgrado statistiche dieci volte superiori a quelle di Ciudad Juárez, nessuno si interessa a quest’altro «femminicidio».
(Marc Fernandez e Jean-Christophe Rampal in “Il libro nero della donna”, pp.183-188)

Se il cannocchiale funziona sarebbe bene rivedere questo (e se non funziona riprovate più tardi), e credo, anche se il Paese non è mai nominato, che si tratti del Guatemala anche qui.
Ma che stupida, mi dimentico sempre che il femminicidio non esiste, chissà dove ho la testa.

barbara

COSE DI CASA MIA

Ero sicura di avere comprato quel farmaco: sicura strasicura strasicurissima. Solo che non c’era da nessuna parte: non in uno dei due cassetti in cucina dove tengo le medicine, non sul tavolo del computer, non sul divano in soggiorno dove potrei averlo posato al rientro dimenticandomi poi di metterlo al suo posto, non in qualche borsa. Niente, sparito, e mi è toccato ricomprarlo.
Oggi entro nella cameretta, mi cade lo sguardo sui cuscini che ornano il divano letto e improvvisamente mi viene un barlume di ricordo: devo avere messo qualcosa, tempo fa, dietro a uno di essi. Lo sposto e sì, dietro c’era il farmaco.
Il quesito è: ma perché diavolo ho messo ben nascosto dietro un cuscino un farmaco che avevo comprato perché mi serviva? A volte faccio cose che fanno veramente impressione.

Anzi: Impressioni…

barbara

QUESTO È UN LEADER!

E parla come un leader.

“All’Onu, l’ennesima vergogna. Prenderemo provvedimenti”

La risoluzione dell’Onu che condanna degli insediamenti israeliani in Cisgiordania è una “vergogna” e lo Stato ebraico intende “interrompere i finanziamenti” alle istituzioni delle Nazioni Unite. Lo ha detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu

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(nell’immagine durante l’ultimo intervento tenuto alle Nazioni Unite), citato dai media locali, nel primo intervento pubblico all’indomani del voto del Palazzo di Vetro.
“La risoluzione definisce la terra israeliana occupata, e questo è vergognoso”, ha detto il premier. Il presidente americano Barack Obama “si è schierato contro Israele”.
“Ho chiesto al ministero degli Esteri di avviare una rivalutazione entro un mese di tutti i nostri contatti con le Nazioni Unite, compresi i fondi israeliani alle istituzioni Onu e alla presenza di rappresentanti in Israele”, ha detto il premier.
Netanyahu ha poi annunciato di aver già disposto il congelamento di circa 30 milioni di shekel destinati a “cinque strutture Onu particolarmente ostili nei confronti di Israele”. (Moked, 25/12/2016)

E poi vai a leggere anche qui, qui e qui.

barbara

IL SIGNOR EMERGENCY SÌ CHE È BRAVO!

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Interessante, ma prima di sentenziare è necessario far capire ai common la differenza tra costo e tariffa. Mi piacerebbe inoltre capire come emergency calcola i costi fissi e variabili della SVA o della SVM, visto che solo la valvola costa circa duemila euri.
Da ultimo il solone equoesolidale si dimentica del fatto che la tariffa copre i costi dell’intero ricovero, secondo gli standard di accreditamento italiani, ivi compresa la permanenza in terapia intensiva cardiochirurgica.
Ma quante sostituzioni valvolari fa Emergency? Con quali protesi e secondo quali standard organizzativi e logistici?
Che tipo di politiche adotta per il contenimento dei costi? Me lo insegni, per favore!

(Source: soldan56)

D’altra parte sappiamo bene chi è il signor Gino Strada, catanghese in gioventù e culo e camicia coi terroristi in vecchiaia, con le letterine firmate dalla moglie che accusava Israele di assassinare deliberatamente i neonati palestinesi per ragioni razziali – e non un solo “a” ad Arafat e al suo terrorismo con diffusione planetaria. Sappiamo, oh se lo sappiamo.

barbara

PROFETI A CONFRONTO

Adolf Hitler, gennaio 1939

«In questo giorno, che forse non sarà memorabile solo per i Tedeschi, vorrei aggiungere questo. […] Oggi sarò di nuovo profeta: se la finanza ebraica internazionale d’Europa e fuori d’Europa dovesse arrivare, ancora una volta, a far precipitare i popoli in una guerra mondiale, allora il risultato non sarà la bolscevizzazione del mondo, e dunque la vittoria del giudaismo, ma, al contrario, la distruzione [Vernichtung] della razza giudea in Europa».

Armin Wegner, 11 aprile 1933

Signor Cancelliere del Reich!
Con la Sua comunicazione del 29 marzo di quest`anno il Governo ha decretato il bando delle attività commerciali di tutti i cittadini ebrei.
Scritte offensive, «Imbroglioni», «Non comperare», «Morte ai giudei», «A Gerusalemme», risaltavano sui vetri dei negozi, uomini con manganelli e pistole montavano la guardia davanti alle porte e per dieci ore la capitale è stata trasformata in teatro per il divertimento delle masse. Poi, contenti di questa beffarda punizione, fu tolto nuovamente il divieto e la città e le strade mostrarono il loro volto abituale.
Ma quello che poi seguì non fu ancor peggio? Giudici, procuratori e medici vengono espulsi dai loro incarichi ben retribuiti, si chiudono le scuole ai loro figli e figlie, insegnanti di scuole superiori vengono cacciati dalle cattedre e mandati in congedo – una concessione che a nessuno può non sembrare sospetta -, direttori di teatro, attori e cantanti vengono privati dei loro palcoscenici, agli editori di giornali si vietano le pubblicazioni, tutti i libri di poeti e scrittori ebrei vengono raccolti per condannare al silenzio i custodi dell’ordine morale, e si colpisce l’ebraismo, anziché nel commercio, proprio là dove sono i suoi valori più nobili per la comunità: nel pensiero.
Lei afferma, Signor Cancelliere del Reich, che il popolo tedesco è stato diffamato, che i suoi vicini lo accusano di azioni indegne che non ha compiuto; e tuttavia, errori e cattiva fama non hanno sempre preceduto onore e gloria? Sì, non ci hanno forse insegnato gli ebrei a sopportare come un onore la diffamazione? Perché non è un caso se così tanti ebrei vivono sul suolo tedesco, è la conseguenza di un destino comune! Nelle loro migrazioni di secoli, cacciati dalla Spagna, rifiutati dalla Francia, la Germania da un millennio ha offerto ospitalità a questo grande infelice popolo. L’ebreo ubbidiva alla sua vocazione interiore quando andava là dove la sua vita era al sicuro, dove il più alto livello di sapere attirava il suo cuore avido di cultura; la Germania, una Germania smembrata che lottava in mezzo a molti nemici, ubbidì alla dottrina della sua libertà quando offrì rifugio al perseguitato.
Ed ora, ciò che è stato fatto in un millennio deve essere annullato per sempre?
Noi abbiamo sempre dato ad altri popoli il meglio delle nostre forze, in Occidente, in Sud America, in Russia. Eterno viaggiatore sulla terra, il tedesco sentì sempre un forte richiamo per la povera patria che cresceva nei possedimenti d’oltremare. Costruttori di ponti, commercianti, coloni tedeschi hanno contribuito ad accrescere ricchezza e fama di tutti i popoli. E per questi meriti non siamo forse stati denigrati prima della grande guerra e fino a ora? Quindi noi che così spesso abbiamo sperimentato questa ingiustizia dobbiamo fare la stessa cosa e causare la stessa sofferenza a un altro popolo che come noi non l’ha meritata? La giustizia è stata sempre un vanto per tutti i popoli e se la Germania è diventata grande nel mondo, a ciò hanno contribuito anche gli ebrei. Non si sono forse mostrati grati in tutti i tempi per la protezione loro offerta?
Si ricorda che Albert Einstein è un ebreo tedesco, uno scienziato che ha sconvolto l’idea dello spazio, che come Copernico ha steso la sua mano oltre se stesso verso il Tutto e ci ha regalato una nuova immagine del mondo?
Si ricorda che Albert Ballin, un ebreo tedesco, è stato il creatore della più grande linea di navi verso Occidente, da dove partì la nave più grande del mondo verso la terra della libertà, mentre lui, Ballin, non riuscì a sopportare la vergogna che il suo adorato sovrano abbandonasse il suo Paese e perciò si uccise?
Si ricorda che Emil Rathenau, un ebreo tedesco, ha fatto diventare un’impresa mondiale la Società Generale per la Produzione di energia e luce in paesi stranieri?
E che Haber, un ebreo tedesco, come un mago, con la sua bottiglia a pistone riuscì a ricavare l’azoto dall’aria?
Che Ehrlich, un ebreo tedesco e un medico saggio col suo medicamento ha scongiurato la sifilide, questa malattia strisciante nel nostro popolo?
Anche quella ragazza sedicenne che a Amsterdam ai Campionati del Mondo con la sua sciabola ha conquistato la vittoria per la Germania era una fanciulla ebrea, figlia di un procuratore, proprio uno di quei procuratori che si è in procinto di cacciare dalle nostre Corti.
Si ricorda di tutti quelli – ah, dovrei riempire fogli se volessi solo elencare i loro nomi – la cui intelligenza e il cui zelo hanno inciso per sempre nella nostra storia?
Quindi Le domando, tutti questi uomini e donne hanno agito come ebrei o come tedeschi? Scrittori e poeti hanno scritto una storia del pensiero tedesca o giudaica? I loro attori hanno coltivato la lingua tedesca o una lingua straniera? I loro grandi propugnatori di una nuova dottrina sociale sono stati profeti e ammonitori del popolo ebraico o del popolo tedesco quando hanno lanciato le loro esortazioni che per nostra disgrazia non abbiamo accolto?
Abbiamo accettato in guerra il sacrificio di sangue di dodicimila ebrei, e ora possiamo – se abbiamo un minimo di equità nel cuore – togliere ai loro genitori, figli, fratelli, nipoti, alle loro donne e sorelle ciò che si sono meritati nel corso di generazioni, il diritto a una patria e a un focolare?
Quale sventura è questa per coloro che hanno amato più di se stessi il Paese che li ha accolti!
L’ebreo, legato a noi per interiorità e per il fatto di porsi gli stessi interrogativi, non è forse diventato il portatore dei costumi tedeschi e della lingua tedesca fino nella profonda Russia? Nei vicoli ebraici dei villaggi polacchi risuonano ancor oggi melodie medioevali tedesche; gli antenati degli ebrei scacciati mille anni fa non rubarono l’oro da queste terre ma le loro melodie il cui suono ancor oggi esce dalle loro bocche e ci commuove e che noi stessi abbiamo dimenticato.
Se un tedesco in terra straniera ha bisogno d’aiuto, se cerca qualcuno che parli la sua lingua dove lo trova? Nel negozio di medicinali di un ebreo del Caucaso, nella sartoria di un ebreo presso il pozzo di un deserto arabico.
In Polonia si sono derubate e gettate in prigione famiglie ebree che si erano riconosciute nella cultura tedesca e ora, dopo che sono fuggite in Germania, si vuole riservare loro lo stesso destino? Che amore infelice! Perché non crederanno all’affermazione che gli ebrei non sono in grado di amare la nostra patria perché sono di ceppo estraneo. Anche nel popolo tedesco non si sono forse mescolati ceppi diversi, Franchi, Frisoni e Vendi? Napoleone non era forse un corso? Lei stesso non viene forse da un Paese vicino? […]
Se Lei avesse potuto vedere con me le lacrime di madri ebree, il turbamento dei visi impalliditi dei padri, gli occhi dei bambini, avrebbe capito questo forte attaccamento tipico di una stirpe che per lungo tempo è stata costretta a girovagare senza sosta. Perché per loro la terra costituisce un legame più forte che per quelli che non l’hanno mai perduta. «Amo la Germania», ho sentito dire in questi giorni da un ragazzo e una ragazza ai loro genitori che, sbigottiti per le infinite minacce del momento volevano lasciare per sempre la Germania. «Andate voi soli!», rispondevano ai loro genitori, «preferiamo morire qui anziché non essere felici in un paese straniero». Non è da ammirare una tale forza del sentimento?
Signor Cancelliere del Reich,
non si tratta solo del destino dei nostri fratelli ebrei. Si tratta del destino della Germania! In nome del popolo per il quale ho il diritto non meno che il dovere di parlare, così come qualsiasi altro che viene dalsuo sangue, come tedesco a cui non è stato dato il dono della parola per rendersi complice col silenzio quando il suo cuore freme di sdegno, mi rivolgo a Lei: Fermate tutto questo!
L’ebraismo è sopravvissuto alla prigionia babilonese, alla schiavitù in Egitto, ai tribunali dell’Inquisizione spagnola, alle calamità delle Crociate e alle persecuzioni del milleseicento in Russia. Con la tenacia che ha permesso a questo popolo di diventare antico gli ebrei riusciranno a superare anche questo pericolo, ma la vergogna e la sciagura che a causa di ciò si abbatterà sulla Germania non saranno dimenticate per lungo tempo! Infatti, su chi cadrà un giorno lo stesso colpo che ora si vuole assestare agli ebrei se non su noi stessi?
Se gli ebrei hanno recepito la nostra natura, hanno accresciuto la nostra ricchezza, allora, se li si vuole distruggere, questa azione deve necessariamente portare alla distruzione di beni tedeschi. La storia ci insegna che popoli che hanno scacciato gli ebrei dai loro confini hanno poi sempre dovuto scontare questa azione cadendo vittime di disprezzo e di impoverimento.
In verità oggi non li si butta in strada come nei primi giorni, in pubblico si ostenta rispetto per la loro vita per rubare a loro in segreto e in modo ancor più penoso. Non so quante delle notizie che si sussurrano fra il popolo siano vere: interi quartieri della città vengono abbandonati al saccheggio, scritte divampano di notte sopra le case, autocarri ricoperti di gagliardetti con soldati che cantano percorrono urlanti le strade e tutti osservano con paura questa marea che minaccia di trascinare tutto con sé.
Nei giornali e nelle illustrazioni invece, nell’ora più difficile che si prepara per l’uomo, si provvede alla più triste umiliazione, alla derisione. Cent’anni dopo Goethe e dopo Lessing ritorniamo a ciò che ha causato le più dure sofferenze di tutti i tempi, allo zelo della superstizione. Inquietudine e insicurezza crescono, fanno la loro comparsa disperazione, terrore e suicidio!
E mentre una parte della popolazione che non potrebbe mai difendere un tale comportamento davanti alla propria coscienza approva questi avvenimenti nella speranza di un guadagno, lascia la responsabilità di questi al Governo del Paese che porta avanti questi provvedimenti con fredda determinazione in modo ancor peggiore che in una carneficina e meno scusabile di questa perché è il risultato di una riflessione a freddo e non può che terminare in un autodilaniamento del nostro popolo.
Quindi, quali saranno le conseguenze?
Al posto del principio morale della giustizia subentra l’appartenenza a una specie, a un ceppo. Ciò che fino a ora valeva nella vita di un popolo nella suddivisione dei compiti non erano la fede o la stirpe ma la capacità di svolgere un lavoro. Lei stesso ha lodato lo spirito creativo come il bene più prezioso di un popolo, ha lodato i pensatori e gli inventori come le forze più nobili. D’ora in poi anche l’inetto, la persona senza scrupoli, potrà dire a se stesso: solo perché io non sono ebreo posso ora assumere questo compito, il mio essere tedesco è sufficiente a ciò e forse dietro questo scudo potrò anche compiere impunito qualche cattiva azione. Nel momento in cui adulatori e persone servili solo per mettersi al servizio di un nuovo padrone si piegano a una nuova dottrina a loro estranea, per la quale Lei e i Suoi amici hanno messo a rischio vita e nome, si rilasciano mandati di cattura del sangue, si offre agli umori di infime nature il cuore delle famiglie, si permette che vengano perseguitate se questo serve a eliminare un fastidioso concorrente.
Può la sola partecipazione alla guerra essere decisiva per l’arte e il talento necessari a svolgere una mansione?
Se oggi fosse ancora vivo Walter Rathenau che fu Ministro del popolo tedesco in uno dei periodi più difficili del dopoguerra, non potrebbe essere né medico né procuratore perché non fu sul campo di battaglia ma salvaguardò la patria da una precoce sconfitta organizzando un’economia di guerra che non era stata precedentemente prevista dallo Stato. La pallottola a lui diretta alla quale si è esposto con non minore coraggio non gli è venuta dalla trincea, ma da un agguato in tempo di pace.
La distinzione tra male e bene è venuta meno, e così non è forse stata messa in discussione la stessa comunità di un popolo?
Lei mi risponderà che il sangue tedesco ci impedirebbe un agire in modo disonorevole – certamente origini e retaggio sono obblighi, ma ancor più lo è, a parer mio, quello di battersi «per» anziché «contro» l’ebreo.
Può essere vero che gli ebrei nei tempi più recenti non diedero alla patria molti eroi in campo militare se li si confronta con i combattenti del nostro popolo. In compenso non hanno dato meno saggi, martiri e santi. Anche i salvatori del popolo ridestato dovranno riconoscere che non possono fare a meno di santi come quelli in cui non è mai venuta a tacere la voce di antichissime profezie e della più alta legge morale della terra.
Allora, perché si perseguitano, perché si odiano questi straordinari stranieri nel mondo?
Perché questo popolo ha posto legge e giustizia al di sopra di ogni cosa, perché ha amato e stimato la legge come sua sposa, e perché quelli che vogliono l’ingiustizia nulla detestano di più che quelli che promuovono il diritto.
Signor Cancelliere del Reich,
i popoli e gli uomini non si conoscono vicendevolmente, e questo è il male maggiore. I tedeschi si sono mai sforzati di prendere in considerazione qualcosa che hanno evitato come la lebbra dalla loro giovinezza in avanti, un pregiudizio che ha colto perfino qualche ebreo tanto che ha cominciato a vergognarsi delle sue meravigliose origini?
Sì, quelli che Lei e i Suoi amici ora combattono in Germania – se dobbiamo fidarci delle Sue parole – non sono più ebrei, ma dei rinnegati che travolti dall’avidità e dalla sensualità hanno perduto e dimenticato i doveri della loro fede e che vengono rifiutati dai loro fratelli ebrei non meno che dai tedeschi. Forse che i tedeschi hanno sempre agito meglio? I tesorieri dei grandi patrimoni non si lamentano degli ebrei solo perché vorrebbero essere al loro posto? Forse che i cittadini tedeschi hanno ridotto gli interessi dei loro crediti e delle loro case? Ed è possibile punire gli errori di alcune centinaia di persone che nell’antica lotta di questo popolo fra il peccato e la santità hanno tradito il più profondo impulso della loro razza, sacrificando per questo schiere di innocenti? Non abbiamo forse ripudiato la vendetta del sangue a favore della responsabilità del singolo?
Lei cita nei Suoi discorsi l’Onnipotente – ma non è dunque un’Onnipotenza che ha mescolato i dispersi di questo popolo fra i tedeschi come il sale nella pasta del pane?
Non sono forse essi socialmente e moralmente una necessità per noi con la loro innata rettitudine che ci permette di distinguere più chiaramente debolezze e pregi della nostra propria natura?
Lei si richiama al fatto che la Germania si troverebbe in stato di necessità, ma anziché adottare la causa di tutti gli oppressi si tenta di placare le disgrazie di una parte del popolo con la sofferenza dell’altra parte, addirittura si afferma che incolpare gli ebrei sarebbe necessario per la salvezza della patria. Ma non c’è patria senza giustizia! C’è un ebreo ogni cento tedeschi e questo dovrebbe essere più forte? Un popolo potente non si degrada lasciando degli indifesi in balia dell’odio di persone frustrate? Lei parla di ebrei che susciterebbero inimicizia per la loro presunzione. Questo è forse avvenuto senza un nostro contributo? Quando gli ebrei hanno contribuito a preparare il terreno a idee rivoluzionarie, la loro ribellione non era forse dovuta al fatto di essere stati trattati ingiustamente? Non abbiamo forse recato loro offese fin da quando eravamo giovani e ogni comunità di destini non produce forse, oltre a un diritto comune, anche una colpa comune?
Io contesto questa folle credenza che tutto il male del mondo provenga dagli ebrei, la contesto con il diritto, con le dimostrazioni, con la voce dei secoli e se io ora indirizzo a Lei queste parole ciò avviene perché non mi riesce di essere ascoltato per nessun’altra via. Non come amico degli ebrei ma come amico dei tedeschi, come rampollo di una famiglia prussiana in questi giorni, quando tutti rimangono muti, io non voglio tacere più a lungo di fronte ai pericoli che incombono sulla Germania.
L’opinione delle masse può mutare facilmente nel suo contrario. Presto può succedere che esse condannino ciò che oggi promuovono impetuosamente. Anche se dovesse passare del tempo un giorno si avvicinerà l’ora della liberazione dei perseguitati, così come si avvicinerà la punizione del delinquente. Verrà un giorno in cui il primo aprile di quest’anno sarà richiamato alla memoria di tutti i tedeschi soltanto come una penosa vergogna quando avranno pronunciato nei loro cuori un giudizio sulle loro azioni. Se la Germania fosse stata veramente calunniata allora avrebbe bisogno di questi provvedimenti solo per difendere una buona coscienza?
Ci si assicura che all’estero si sono completamente tranquillizzati. Perché allora si continuano in silenzio queste persecuzioni? Non c’era un mezzo più semplice per far fronte alle calunnie sui nostri misfatti: non umiliare gli ebrei ma dare loro delle prove di amicizia? Qualsiasi cattiva fama non cesserebbe al più presto al cospetto di atti di discernimento e di amore e la miglior conversione non è sempre quella della buona azione?
Signor Cancelliere del Reich,
Le invio queste parole che sgorgano dal tormento di un cuore straziato, e non sono solo le mie, è la voce del destino che per mezzo della mia bocca La ammonisce: protegga la Germania proteggendo gli ebrei.
Non Si lasci fuorviare dagli uomini che lottano assieme a Lei! Lei è mal consigliato!
Interroghi la Sua coscienza come in quell’ora in cui tornando dalla guerra in mezzo a un mondo liberato cominciò da solo la via delle Sue battaglie. È stata sempre una prerogativa dei grandi spiriti riconoscere un errore. Ci sono chiari segni di che cosa ha bisogno la moltitudine della gente. Riporti i ripudiati nei loro uffici, i medici nei loro ospedali, i giudici nei tribunali, non chiuda più le scuole ai bambini, guarisca i cuori afflitti delle madri e tutto il popolo La ringrazierà.
Perché anche se la Germania potesse forse fare a meno degli ebrei, ciò di cui non può fare a meno è della sua virtù.
«C’è soltanto una vera fede», grida il saggio Immanuel Kant dalla cripta della sua centenaria tomba, «anche se ci possono essere molte diverse confessioni».
Segua questa dottrina che Le permetterà di comprendere anche quelli che Lei oggi combatte. Che cosa sarebbe una Germania senza verità, senza bellezza e giustizia?
Invero se un giorno le città fossero ridotte in cumuli di macerie, le stirpi estinte, le voci della tolleranza per sempre ammutolite, le montagne della nostra patria svetterebbero ancora verso il cielo e le foreste perenni continuerebbero a stormire, ma non sarebbero più ripiene dell’aria della libertà e giustizia dei nostri padri. Con vergogna e disprezzo parlerebbero di stirpi che misero in gioco con leggerezza non soltanto la fortuna del Paese ma ne disonorarono per sempre la memoria. Vogliamo dignità quando esigiamo giustizia.
La scongiuro! Difenda la nobiltà d’animo, la fierezza, la coscienza senza le quali noi non possiamo vivere, difenda la dignità del popolo tedesco!

Sulla prima “profezia” non credo ci sia molto da dire: aveva previsto il totale annientamento (questo è l’esatto significato di “Vernichtung”) della “razza giudaica” e ha ottenuto, con le sue scelte e le sue azioni, l’annientamento del “Reich millenario”. Molto c’è invece da dire su quella di Armin Wegner (del quale mi ha sempre colpito, tra l’altro, l’incredibile bellezza,
armin-wegner
fin dai tempi dell’università), straordinaria figura di combattente per la giustizia e per i diritti umani, Giusto per gli ebrei e Giusto per gli armeni: ben sei anni e mezzo prima dell’inizio della guerra e dodici prima della sua conclusione, aveva lucidamente previsto il disastro a cui la politica hitleriana avrebbe condotto, aveva previsto la vergogna che avrebbe accompagnato la memoria dei crimini commessi, e la punizione per essi, e le città ridotte a cumuli di macerie… senza vantarsi di essere profeta.
Una considerazione a parte merita quel “A Gerusalemme”, riportato da un testimone oculare: gli ebrei, ottant’anni fa, percepiti come stranieri in Europa, venivano invitati a TORNARE A CASA LORO, A GERUSALEMME! Com’è che adesso non è più casa loro e vengono invitati ad andarsene da lì? 

barbara