SHUK CARMEL (11/14)

A Tel Aviv siamo arrivati la penultima sera di viaggio, e prima di cena siamo scesi in spiaggia per aprire una bottiglia che ci era stata regalata e brindare al nostro viaggio alla meravigliosa luce del tramonto – ma io sono anche andata a inzuppare i piedi, perché avere un mare davanti e non entrarci non esiste proprio. E siccome ero appunto occupata a inzuppare i piedi, non ho fotografato il tramonto; se volete averne un’idea, trovate qualcosa qui, nel mio primo viaggio in Israele, quello in cui ho attraversato tutto il Paese da nord a sud e da est a ovest con entrambe le zampe rotte.
La mattina successiva, l’ultima da trascorrere in Israele, era dedicata alle visite, ma giusto in quel momento il mio apparato digerente ha pensato bene di scatenare un bel terremoto, sicché, visto che ne avevo la possibilità, sono rimasta in albergo, raggiungendo il gruppo solo a mezzogiorno. Per la vostra gioia, tuttavia, il breve tempo fra il mio arrivo in città e il momento di riprendere l’autobus per andare all’aeroporto, è stato sufficiente a fare un giro al shuk Carmel e fotografare questa donna drusa (si riconosce dal velo bianco delicatamente adagiato sul capo e sulle spalle) che prepara la pita: prepara l’impasto,
SC 1
lo stende, come i migliori pizzaioli, facendolo roteare e volteggiare in aria;
SC 2
SC 3
quando la sottile sfoglia è pronta, la adagia su questo cuscino
SC 4
per poi con questo rovesciarla sulla piastra ben distesa, senza pieghe o accartocciamenti.
SC 5
E poi vi ho fotografato le caramelle.
SC 6
Sì, a Tel Aviv i pavimenti sono storti. E anche le pareti. E anche i soffitti. E anche gli scaffali delle caramelle, che però non cadono giù perché sono caramelle magiche. Qualche compagno di viaggio ha fatto foto migliori di questa, delle caramelle, ma questa è la mia e quindi vale più di tutte, ecco.

barbara

 

PRIMA PERSONA PLURALE

Boh. Dice che ha ventiquattro personalità diverse. Dice che hanno cominciato a venire fuori all’improvviso, una dopo l’altra, quando aveva trentotto anni. Dice che una è del bambino che veniva abusato sessualmente dalla madre e un altro quello che ha visto la nonna chiudersi in bagno con la donna di servizio e farsi leccare e che poi anche lei ha abusato di lui. Eccetera. Dice che è perché gliene sono capitate talmente tante che una persona sola non è capace di reggerle e allora si scinde. Dice che vengono fuori all’improvviso e che suo figlio quando gli sente all’improvviso cambiare voce e tono si spaventa. Dice che è stato trattato e il successo del trattamento è che le personalità rimangono, tutte e ventiquattro, ma lui è entrato nell’ordine di idee che deve imparare a conviverci, e prima o poi si abituerà anche suo figlio e imparerà a convivere coi suoi ventiquattro padri e, quando una personalità viene fuori all’improvviso, magari a metà di una frase, a capire quale dei suoi ventiquattro padri ha di fronte in quel momento. Dice la recensione che è “una storia davvero difficile da dimenticare” ma io mi sono già dimenticata un sacco di cose. Dice che è una storia vera. Boh.

Cameron West, Prima persona plurale, Sonzogno
Prima persona plurale
barbara

CAFARNAO (11/13)

Cafarnao (clic per ingrandire)

(da Kfar Nahum, il villaggio di Nahum), si trova all’estremità superiore del lago di Tiberiade,
Cafarnao b
altrimenti detto Mar di Galilea (nell’antichità tutte le grandi distese d’acqua venivano chiamate mare, senza l’attuale distinzione fra mare e lago – del resto ancor oggi in tedesco il nome See, sia pure con due articoli diversi, indica sia mare che lago), in ebraico Kinneret da kinor, lira o cetra, a causa della sua forma.
Qui si trova quella che sembrerebbe essere stata la sinagoga in cui Gesù pregava e predicava; questo dovrebbe essere stato l’aspetto dell’edificio.
Cafarnao 1
Recentemente vi sono stati trovati dei preziosi mosaici, purtroppo in parte irrimediabilmente rovinati dalla stessa ruspa che li ha riportati alla luce, entrata nello spazio senza alcuna precauzione dato che si ignorava l’esistenza di questi mosaici. Nelle foto che seguono ne potete vedere alcune parti.
Cafarnao 2
Cafarnao 3
Cafarnao 4
Cafarnao 5
Questo quadro raffigura i segni zodiacali e, agli angoli, le quattro stagioni; l’angolo in basso a sinistra rappresenta l’inverno, come si può capire dall’abbigliamento della donna.
In un’altra sala della sinagoga si possono ammirare altri mosaici,
Cafarnao 6
Cafarnao 7
fra cui in particolare questo viso di donna ad alta definizione:
Cafarnao 8
in questa immagine ravvicinata si può vedere come, per una sola pupilla, vengano usate ben quattro piccolissime tessere.
Cafarnao 9
All’esterno nel frattempo i lavori di scavo proseguono,
Cafarnao 10
Cafarnao 11
con vista su un pellegrino (camaleonte?) in pausa di riposo.
Cafarnao 12
(qui qualche notizia più dettagliata sulla sinagoga)

barbara

I BEDUINI (11/12)

Trattandosi di un tour eno-gastronomico, abbiamo gustato le specialità delle varie popolazioni e culture che convivono in Israele: armeni, drusi, circassi, arabi, beduini. E tanto erano squisite, per non dire paradisiache, le specialità, che di foto, in queste occasioni, ne sono state scattate ben poche, perché era davvero impossibile distrarsi dal piacere regalato da tutti quei sapori e colori e profumi a tutti i nostri cinque sensi. Solo per la visita al villaggio beduino ho trovato un po’ di foto da farmi girare e dunque, di tutte le nostre strepitose visite e altrettanto strepitose mangiate, dovrete accontentarvi dei soli beduini.
Questa è la tenda sotto la quale siamo stati accolti, seduti sui cuscini tutto intorno,
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e questo è il braciere sul quale è stato tostato il caffè con cui darci il benvenuto
beduini 2
(che poi magari non sarà stato proprio quello, ma è stata carina lo stesso la dimostrazione), mentre il signore beduino
beduini 3
ci spiegava che l’ospite va sempre accolto; poi se si comporta bene gli si offrono tre tazzine con un sorso di caffè ciascuna, e questo significa che è gradito e può rimanere, mentre se si comporta male, gliene viene offerta una sola, piena, e questo significa che non è gradito. E ci ha spiegato come funziona la società beduina, la famiglia eccetera. In realtà è emerso che questo, a differenza di quest’altro – non era un vero villaggio beduino, bensì una cosa per turisti. Tanto è vero che ci ha raccontato di avere tre mogli, da buon musulmano, dai 23 ai 46 anni, e le figlie a casa, ma poi a tu per tu con qualcuno del gruppo ha rivelato di averne una sola, mentre la figlia studia all’università ebraica. Il cibo in compenso era proprio cibo beduino, supersquisitissimerrimissimo, oltre che scandalosamente abbondante. Qui si vedono gli ultimi rimasugli.
beduini 4
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Quanto a me, se ci sono foto a tavola, impossibile riprendermi con la faccia verso l’obiettivo perché sono sempre intensamente intenta a mangiare.
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In fondo a destra si vedono i due musicisti che hanno delicatamente accompagnato la nostra cena.

barbara

 

NON OSO IMMAGINARE…

La via in cui abito è a senso unico, per cui quando arrivo dal centro (o dall’autostrada, o dal centro commerciale, sostanzialmente da qualunque parte) devo prendere la strada parallela e poi da lì imboccare una stradina che congiunge le due vie, sboccando esattamente di fronte al cancello d’ingresso al mio cortile; quindi, arrivata alla fine della stradina, attraverso la strada in cui abito ed entro.
Ieri, esattamente di fronte al cancello d’ingresso, era parcheggiata una macchina. Una macchina lunga, tra l’altro. Naturalmente non sarei entrata neanche se fosse stata una Smart, però questa, in più, era anche lunga, e ostruiva l’intero ingresso. Potevo scegliere fra restare ferma alla fine della stradina, bloccando chi fosse arrivato dopo di me, o avanzare fino all’auto e restare ferma lì, ostruendo l’intera strada e bloccando il traffico – scarso ma non inesistente. Ho scelto la seconda opzione, mi sono fermata a una distanza sufficiente a permettere l’apertura della porta e ho dato un colpetto di clacson (detesto il clacson, non credo di averlo suonato più di dieci volte nei miei cinquantasette anni di guida): niente. Colpo più forte: niente. Strombazzata da svegliare i morti e finalmente arriva, con molta calma. Apre la porta, sale, chiude la porta, mette in moto, ingrana, parte. Naturalmente l’autore del cinofallico parcheggio – e chiedo scusa ai cani per l’uso improprio del loro organo riproduttore – era un uomo. Fra chi era stato costretto ad aspettare i suoi comodi qualcuno avrà sicuramente borbottato, o magari mormorato un’imprecazione, ma niente di più. Niente di abbastanza notevole da arrivare alle mie orecchie, per lo meno.
Non oso immaginare che cosa sarebbe uscito da quelle bocche, a vetri rigorosamente abbassati, se si fosse invece trattato di una donna.

barbara

 

IL BUIO OLTRE LA SIEPE

Riletto dopo decenni. Dopo molti decenni. E rileggendolo ho avuto la sorpresa di trovare molte cose di cui non avevo il minimo ricordo, mentre ricordavo una cosa che non c’è affatto: il processo per stupro al negro innocente mi sembrava di ricordarlo concluso con un’assoluzione seguita da un linciaggio, minuziosamente descritto. Leggendo la reale conclusione del processo e le sue conseguenze, mi sono resa conto che evidentemente avevo confuso la vicenda con una analoga di un altro libro, probabilmente letto molto vicino nel tempo a questo; una ricerca in rete ha confermato che si trattava di Fermento di luglio di Erskine Caldwell. Ricordavo invece perfettamente, in tutti i dettagli, l’episodio della lettura alla vecchia vicina bisbetica ma, curiosamente, credevo che si trovasse in un altro libro. Quello che non è cambiato affatto dalla prima alla seconda lettura è la straordinaria bellezza del libro, molte pagine del quale sarebbero da incorniciare: l’avvocato seduto a leggere il giornale di notte davanti alla prigione in attesa di possibili linciatori, che infatti arrivano; il vicino “strano” che si fa vivo nei modi più impensati e inaspettati, fino alla tragedia che si materializza nelle ultime pagine; lo sceriffo che ostinatamente continua a “spiegare” come sono andate le cose, che in effetti “devono” essere andate così; la maestra che non si capacita della persecuzione degli ebrei da parte di Hitler – e ne approfitta per spiegare agli alunni la fondamentale differenza fra una democrazia e una dittatura – ma è ben contenta che il negro, nonostante nessuna prova sia stata prodotta, e numerosi indizi concreti portino a supporre una verità ben diversa, sia stato condannato a morte, perché “è ora che qualcuno dia loro una lezione, hanno alzato troppo la cresta”. E, al di là delle pagine da incorniciare, tutto lo straordinario affresco degli stati del sud e dei suoi cittadini per bene, cui settant’anni non sono bastati per digerire la sconfitta nella guerra di secessione e la conseguente abolizione della schiavitù. Non credo ci sia ancora molta gente che non lo ha letto, ma se per caso qualcuno ci fosse, raccomando caldamente di riempire al più presto la lacuna.

Harper Lee, Il buio oltre la siepe, Feltrinelli
il buio oltre la siepe
barbara