QUELLE DONNE SOLDATO PIÙ ADDESTRATE DEGLI UOMINI

Il caracal è un felino che vive nel deserto. Eccezionale cacciatore notturno, ha dato il nome a un battaglione di fanteria molto particolare. Il Karakal infatti e la prima unità dell’esercito israeliano dove le donne possono combattere in prima linea. Nata nel 2000, ha il compito di pattugliare e garantire la sicurezza lungo il confine tra Israele e l’Egitto. Le donne, al pari dei commilitoni uomini, devono arruolarsi per un periodo di almeno tre anni. L’addestramento base, durissimo sia dal punto di vista fisico che mentale, dura quattro mesi e si svolge nella zona del deserto di Negev. La prova che chiude l’addestramento è una marcia lungo il confine. Oggi il Karakal è composto per il 70 per cento da soldati di sesso femminile.
La storia di questo battaglione è anche la storia di Elinor Joseph, una donna speciale perché è stata la prima araba cristiana a essere ammessa nelle unità di combattimento femminili israeliane. Quando qualcuno la accusa d’indossare la divisa israeliana e di combattere con l’esercito che uccide arabi e musulmani, Elinor racconta sempre una storia. «La storia del missile lanciato dal Libano e caduto nel quartiere di casa mia quando abitavo a Haifa. Quel missile quel giorno ferì tanti arabi. lo l’ho visto con i miei occhi e per questo posso permettermi di rispondere che anche gli arabi ammazzano gli altri arabi».
Elinor oggi ha 25 anni. Suo padre era un arabo cristiano che aveva combattuto con i paracadutisti d’Israele e la incoraggiò a tentare la carriera d’infermiera volontaria all’interno delle forze armate. Quando arrivò il giorno del reclutamento, era il 2010, Elinor scoprì di essere stata destinata a un ufficio. «Ci rimasi molto male – ha raccontato. – Quando protestai il colonnello comandante dell’unita a cui ero stata assegnata decise di mettermi alla prova e mi fece ammettere al programma d’addestramento richiesto per le unita combattenti». Passata la prova, Elinor si ritrovò a far la guardia a un posto di blocco in Cisgiordania, dove venivano fermati i palestinesi in uscita dalla città di Qalqilya: «In verità, la mia presenza al quel posto di blocco era un vantaggio per i palestinesi perché nessuno dei commilitoni osava maltrattarli in mia presenza. Quando sorgeva un problema potevo sempre intervenire discutendo in arabo per risolvere le questione». Eppure in tanti nel suo villaggio le hanno tolto il saluto: «Molti amici hanno smesso di frequentarmi. Qualcuno a parole continuava a parlarmi, ma quando mi voltavo mi pugnalava alle spalle». È così che Elinor scelse di presentare una nuova domanda per entrare questa volta nel battaglione Karakal, appunto il primo a schierare le donne sul fronte. Precedentemente le donne erano comunque impiegate nell’esercito – è bene ricordare che Israele e l’unico paese al mondo a richiedere il servizio militare obbligatorio alle donne – ma non partecipavano ai combattimenti diretti. Facevano parte del Corpo d’armi femminile ovvero il Chen, e dopo un addestramento di cinque settimane lavoravano come impiegate, autiste, infermiere, operatrici radiofoniche, istruttrici, personale dell’ordine e controllori di volo. In seguito a numerose pressioni da parte dell’opinione pubblica, nel 2000 venne apportato un emendamento alla legge sul servizio militare che stabilì che «le donne hanno lo stesso diritto degli uomini di servire in qualsiasi ruolo dell’esercito israeliano».
Faceva parte del Karakal la soldatessa che, nel settembre 2012, durante uno scontro a fuoco uccise un terrorista islamista pronto a farsi saltare in aria con il suo giubbotto esplosivo. E faceva sempre parte del Karakal il capitano Or Ben Tehud, la donna ufficiale ferita in un attacco alla sua jeep nell’ottobre 2014, che scese dal mezzo e rispose al fuoco contribuendo a mettere in fuga gli assalitori. E da due anni a questa parte le soldatesse e i soldati di questa unità sono addestrati anche per scontri armati con l’Isis nello scenario del Sinai dove, secondo gli esperti militari israeliani, la minaccia dello Stato islamico è «concreta e crescente».

LUCA D’AMMANDO, Shalom
Elinor Joseph
NOTA PERSONALE: la data di oggi non mi interessa minimamente, e la pubblicazione di questo post oggi è del tutto casuale.

barbara

SHAYETET 13: L’ELITE DELL’ESERCITO ISRAELIANO

Dalla sua fondazione ad oggi l’esercito israeliano ha subito una serie di profonde trasformazioni che ne hanno mutato la natura ma non l’efficacia. In particolare le forze militari sono state snellite, dotate dei più tecnologicamente avanzati armamenti e basate sul prevalente utilizzo di droni e aerei da combattimento. Questo perché le minacce per lo Stato Ebraico non sono più legate agli eserciti dei paesi confinanti, ma alle milizie di organizzazioni terroristiche come Hamas e Hezbollah che utilizzano tattiche non convenzionali come agguati, lanci di missili, autobombe e guerriglia. In questo contesto carri armati e artiglieria non sono più indispensabili mentre assumono un’importanza centrale l’aviazione e le unità speciali. Proprio queste ultime possono essere considerate uno dei fiori all’occhiello dell’esercito israeliano.
Tra loro spicca la Shayetet 13, l’unità di incursori della marina specializzata in anti-terrorismo, liberazione di ostaggi e operazioni dietro le linee nemiche. Nonostante le conferme riguardo la partecipazione della Shayetet 13 in quasi tutte le guerre combattute da Israele, molte delle azioni compiute da questa unità rimangono avvolte nel mistero e i dettagli delle operazioni sono top secret. Per cercare un paragone di facile presa nell’immaginario collettivo, si tratta del corrispettivo dei Navy Seal americani. Soprannominati “uomini pipistrello” si sono fatti carico di gran parte delle missioni più pericolose con una percentuale di successo che sfiora la perfezione. Contribuirono anche alla riuscita dell’Operazione Mosè conducendo migliaia di ebrei etiopi su una nave ancorata in mare aperto che li portò sani e salvi in Israele. I soldati che puntano ad entrare in questa unità devono affrontare un processo di selezione di venti mesi. I primi sei mesi sono dedicati all’addestramento di fanteria con la Brigata Nahal, successivamente le reclute vengono spedite alla base navale di Atlit per tre mesi dove imparano le basi della guerra navale, come l’uso di piccole imbarcazioni e lunghe nuotate di superficie, e frequentano corsi di anti-terrorismo, paracadutismo militare e demolizioni con esplosivi.
Chi riesce a superare la fase preparatoria può accedere alla “fase avanzata”, la più lunga e rigorosa, in cui vengono addestrati a sopravvivere in situazioni estreme e all’utilizzo dell’equipaggiamento speciale dell’unità. Infine ai combattenti viene assegnata una professione in cui specializzarsi e vengono assegnati ad una delle tre compagnie: assalto, sommozzatori e trasportatori. Gli uomini della Shayetet 13 sono dotati di un equipaggiamento particolare che include mine navali magnetiche, un apparecchio per respirare sott’acqua, un gommone gonfiabile Zodiac e una muta subacquea in grado di ridurre i rumori durante i movimenti in acqua. Secondo le testimonianze di chi li ha visti in azione si distinguono per la silenziosità negli spostamenti e la capacità di raggiungere qualsiasi porto o località marittima senza essere individuati. Inoltre sono addestrati in diverse arti marziali e sono capaci di restare sott’acqua per un considerevole numero di minuti. Eroi silenziosi le cui imprese non finiscono sui titoli dei quotidiani, gli uomini della Shayetet 13 rappresentano il meglio che l’esercito di Gerusalemme possa offrire.

Mario Del Monte, Shalom febbraio 2017

Gli eroi più grandi sono sempre quelli che alla ribalta non salgono mai; né aspirano a salirvi, paghi di avere compiuto, in tutta umiltà, il proprio dovere.

barbara