Perché quelli, mettetevelo bene in testa, sono degli stramaledetti territori occupati.
barbara
Archivi del mese: Maggio 2017
NOI PER LUCOLI 1
Ovvero il racconto di Emanuela parte prima. Che in realtà sarebbe quella finale, ma la metto per prima così si sa di che cosa stiamo parlando.
Il giardino della memoria dell’Abbazia di San Giovanni Battista a Lucoli: un monumento vivo realizzato dopo il terremoto del 2009 insieme al Keren Kayemeth LeIsrael di Gerusalemme
Oggi è un posto che dà pace e la pace è il presupposto per arrivare alla consapevolezza, a capire meglio ciò che abbiamo intorno e ciò che abbiamo dentro di noi.
Le persone che hanno fondato NoixLucoli hanno pensato ad una collezione viva per ricordare quelli che vivi rimarranno nel nostro pensiero, parlo di quei 309 del terremoto d’Abruzzo del 2009. Abbiamo pensato che era delicato e perché no ecologico onorare la vita con vita ed ecco il perché della costituzione di questo giardino-frutteto di antiche varietà. Anche il KKL Italia ha voluto partecipare, volendo fare un omaggio alla Città dell’Aquila che, durante la seconda guerra mondiale, aveva salvato molte persone di religione ebraica nascondendole.
E’ stato un lavoro estenuante durato due anni ci siamo persi tra burocrazia, paludamenti amministrativi e nostra inesperienza (facciamo altro nella vita cittadina).
Il progetto ha visto compimento con una ricca collezione di piante appartenenti alla categoria dei “frutti antichi” ricercate e selezionate nei poderi abbandonati dell’Appennino Abruzzese.
C’era un tempo, non lontanissimo, in cui le varietà locali di frutta erano una risposta adattativa alle condizioni del luogo. Una varietà era idonea a “quel” sito e non ad altro. C’era un tempo in cui nell’orto erano presenti varietà diverse di specie diverse che, in successione, assicuravano frutta per un lungo periodo dell’anno e quando finiva la fruttificazione erano materia prima di marmellate e conserve.
Poi arrivò un tempo, detto globalizzazione-con-allegata-grande-distribuzione, in cui la frutta doveva andar bene per tutti: Nord-Sud-Est-Ovest. La caratteristica fondamentale della frutta da produrre era fondata sull’aspetto (bellezza, colore e pezzatura) e la conservabilità nel trasporto e nelle camere frigorifere. Non più indispensabile risultava quell’insieme di qualità che descrive il “frutto buono”.
Questi sentimentalismi non erano e non sono previsti nella globalizzazione perché il fondamento è che oggi poche varietà (peraltro fortemente imparentate dal punto di vista genetico) debbono valere per tutti, per tutto, ovunque, in modo tale di uniformare tecniche di allevamento e di conservazione prima della vendita. Vuoi che una mela che non sa di niente divenga più saporita? Gli metti uno sciroppo, un top-dressing, un cioccolato liquido.
Questo gruppo di amici che volevano ricordare il terremoto con un’opera della natura avevano una consapevolezza diversa: volevano ritrovare la variabilità genetica del territorio abruzzese ed il suo “paesaggio gustativo e olfattivo annidato nella memoria”.
Siamo convinti e sottolineiamo che davanti a qualsiasi minaccia la vita avrà qualche chance solo se ci saranno persone o comunità che riusciranno a convivere col cambiamento, a sopravvivere ed a trasmettere quei geni che hanno consentito l’adattamento. La diversità della vita, ovvero la biodiversità, è un’assicurazione per tutti noi, è una enorme cassaforte APERTA e ALL’APERTO pronta a offrire quel che serve per affrontare eventuali avversità.
Emanuela Mariani
Poi leggerete il resto alla prossima puntata, e si chiariranno anche tutti i dettagli.
barbara
IL DOPO DI CHI HA VISSUTO IL PRIMA
“Avevo 17 anni quando ci fu l’attentato; avevo solo qualche anno in più rispetto a molti dei bambini uccisi questo lunedì sera in un concerto di Ariana Grande a Manchester, in Inghilterra. Era il 1 giugno 2001 e decisi di uscire al Dolphinarium, una discoteca sulla spiaggia di Tel Aviv, con tre mie amiche: Liana, Oksana e Tanya. Andavamo in quella discoteca quasi ogni fine settimana. Era l’estate prima del servizio militare, e avevamo pensato di spenderlo insieme – ballare, andare in bicicletta, nuotare e abbronzarci.
Le ragazze potevano entrare gratuitamente nella discoteca prima di mezzanotte. E noi non avevamo soldi, quindi decidemmo di andarci presto. Comprammo una vodka a buon mercato da un negozio di alimentari e passammo un po’ di tempo sulla spiaggia, parlando e sorseggiando dalla bottiglia fino a quando, alle 11:30, non vedemmo una folla iniziare a raccogliersi fuori dalla porta della discoteca. Io e Tanya ci mettemmo in fila sul lato sinistro; Oksana e Liana si misero a destra in modo da poter entrare tutte più in fretta. Poi, alle 11.44, un attentatore suicida di Hamas si fece esplodere fuori dalla porta della discoteca”. A raccontare la sua storia sulle colonne del New York Times Tanya Weiz, una delle 132 persone ferite nell’attentato alla discoteca Dolphinarium di Tel Aviv nel 2001. Tra i 21 morti nell’attacco – 16 dei quali teenagers – c’era anche la sua amica Liana. L’attentato di Manchester, in cui sono morti molti giovanissimi, l’ha spinta a tornare a quei giorni e scrivere di come ci si sente a sopravvivere all’odio dei terroristi.
“Di colpo tutto è diventato muto – racconta Tanya Weiz – C’era sangue su di me. Ma non sentivo dolore e non sapevo di chi fosse quel sangue. Il mio unico pensiero era trovare il mio telefono per chiamare mia madre. La batteria si era staccata, e in qualche modo riuscii a rimetterla nel telefono. All’improvviso sentii freddo, molto freddo. Misi la mano sul collo e tre delle mie dita sprofondarono nella mia gola. Quattro palle di acciaio – come quelle che si trovano all’interno di un flipper – mi avevano perforato la carne. Fu allora che cominciò il panico”. Tanya riuscì a trascinarsi, strisciando sul suo stomaco, verso un alimentari. Attorno a lei urla, sirene e telecamere. “Sono rimasta in coma per sei giorni. La mia operazione durò 12 ore. Avevo indossato scarpe con la zeppa durante l’attacco e quei pochi centimetri mi salvarono la vita. Il metallo altrimenti avrebbe colpito il cervello”. Dall’ospedale, intubata e senza possibilità di parlare, la ragazza chiederà delle sue amiche: Oksana era sopravvissuta ma era rimasta gravemente ferita, Tanya era rimasta miracolosamente indenne. Liana era morta sul colpo. Ma questo a Weiz non fu detto subito, le dissero che aveva una gamba rotta. “Il fratello gemello di Liana veniva a visitarmi ogni giorno in ospedale, e io pensavo fosse strano. Perché venire da me invece che stare con sua sorella? Quando scoprii che Liana era morta, in quel momento la realtà mi colpì. Per me gli attacchi esplosivi era qualcosa che vedevi sui notiziari. Anche se sei in Israele non pensi che possa accadere a te. Ancora oggi lo vedo a pezzi, come un incubo”. Il recupero fu molto difficile, racconta. I medici le dissero che difficilmente avrebbe potuto nuovamente parlare. “Ma imparai di nuovo a parlare, a mangiare, passo dopo passo”. Una cosa che l’aiutò, furono le visite di altri sopravvissuti ad attentati come quello del Dolphinarium. Era l’epoca della seconda sanguinosa intifada, in cui i kamikaze palestinesi si facevano saltare in aria nelle strade d’Israele. “I terroristi cercano di paralizzarci con la paura e di renderci più deboli, ma con me hanno fatto il contrario. Sono diventata più gentile, più grata, più attenta ai più piccoli dettagli della vita e, sì, più resiliente”.
Tanya oggi vive in Canada e cerca di non pensare all’orrore di quel 1 giugno. “Ma non passa giorno che non ci pensi e ogni volta che sento di un attentato sui notiziari, la cosa mi sembra surreale: non posso credere di esserci passata. E adesso sono una delle persone sedute sul divano a guardare la notizia di quei bambini assassinati, questa volta dallo Stato islamico”. Poi un pensiero a chi dall’orrore di Manchester è uscito vivo. “So che ora non posso dire nulla che possa far star meglio i sopravvissuti all’attacco di Manchester – scrive Tanya – Il senso di colpa per me è iniziato il giorno dell’esplosione. incontrare la madre di Liana è particolarmente doloroso. La vedo che mi guarda e so che sta immaginando sua figlia alla mia età. Ma io direi ai sopravvissuti di rimanere forti e concentrarsi sul loro recupero. Dovete essere molto forti per recuperare”.
(Pagine ebraiche sheva, 28 maggio 2017)
Sono un po’ come i sopravvissuti ai campi di sterminio: loro sono usciti dall’inferno ma l’inferno, da loro, non uscirà mai più.
barbara
UNA COSA, DI TRUMP, NON CREDO SI POSSA NEGARE
Il buon gusto nello scegliersi le mogli.
E vorrei cogliere l’occasione per dire due parole su Melania. Abbiamo sentito di tutto, su di lei: bella e oca… la principessa triste… e ci credo che sia triste vicino a uno come quello… beh, ha voluto i soldi, che non si lamenti… Una che si è venduta al miglior offerente, insomma, praticamente una prostituta. Ecco, io vedrei le cose in maniera un tantino diversa.
In tutte le specie animali, le femmine, potendo scegliere – ché non a tutte è dato di poter scegliere – scelgono per la propria prole il padre che meglio ne garantisca la sopravvivenza, cioè il più forte, il più solido, il più stabile, il più affidabile. È esattamente quello che ha fatto Melania, altro che oca giuliva o cocottina di lusso. Aggiungerei che non era una cameriera a mille dollari al mese per dieci ore di lavoro al giorno, pronta a sposare anche un ottantenne sdentato pur di uscire dalla miseria e dalla fatica.
Senza contare che, pur non essendo il mio tipo, quando era un po’ più giovane Trump non era esattamente un cesso.
E non si può non nutrire il sospetto che tanto livore nei confronti di una donna bellissima, intelligente, elegante e saggia sia dovuto unicamente all’invidia. Invidia peraltro insensata: se siete belle, anche la donna più bella del mondo seduta al vostro fianco non vi toglierebbe un grammo di bellezza, e se siete cozze, potete anche assoldare tremila mafiosi per fare fuori tutte le donne belle del mondo, sempre cozze restate.
E poi vai a leggere qui.
barbara
VISTO CHE SIETE PRATICAMENTE LA MIA FAMIGLIA VE LO DICO
Ho un nodulo al fegato, di tre centimetri abbondanti, di natura non chiara (e meno male che almeno quello al cervello siamo sicuri che per il momento è benigno). Con l’aggravante che per accertarne la natura dovrei fare una tac con mezzo di contrasto, e io a quello sono allergica. Comunque domani mattina vado all’ospedale e vediamo come si può fare.
PS: al primo che viene a depositarmi nei commenti frasette consolatorie gli disintegro i coglioni.
PPS: al primo che viene a dirmi che tanto io sono forte gli disintegro i coglioni.
PPPS: cazzo però.
barbara
TU CHIAMALA SE VUOI APARTHEID
DUE PAZIENTI, ISRAELIANO E PALESTINESE, SALVATI L’UNO DALLA FAMIGLIA DELL’ALTRO
Quella raccontata ieri dal The Jerusalem Post / JPost.com è una storia che ha dell’incredibile, soprattutto per chi immagina che Israele sia uno “Stato di Apartheid”.
Due ragazzi, un arabo ed un ebreo, avevano bisogno di un trapianto di rene, nessun membro delle loro famiglie era compatibile per il proprio caro, ma un membro della famiglia israeliana era compatibile con il paziente palestinese, mentre un famigliare palestinese era compatibile con il paziente israeliano.
Per questo motivo, i chirurghi del Rambam Medical Center hanno eseguito un’operazione a incrocio: la mamma del 19enne ebreo ha donato un rene al 16enne di Jenin, mentre il fratello del ragazzo palestinese ha donato uno dei suoi reni all’israeliano.
Le operazioni non sono state facili soprattutto dal punto di vista logistico – hanno affermato i chirurghi – perché dovevano essere svolte in contemporanea. Decine di medici e infermieri sono stati coinvolti nei trapianti, che sono riusciti con successo. Ora i pazienti sono in fase di recupero.
Il Rambam רמב”ם הקריה הרפואית è stato il primo ospedale israeliano ad eseguire trapianti di reni da donatori vivi e tutt’ora è l’unica struttura del nord di Israele ad eseguire trapianti di organi. (qui)
barbara
AIUTO! UN ALIENO!
Catturatelo! Neutralizzatelo!
barbara
LA GUERRA CHE ISRAELE NON AVREBBE DOVUTO VINCERE
di Niram Ferretti
Il cinquantesimo anniversario della riunificazione di Gerusalemme che cadrà il 23 di maggio e coinciderà con l’attesa visita di Donald Trump in Israele dal 22 al 23, riporta inevitabilmente alla memoria la Guerra dei Sei Giorni che permise a Israele di catturare Gerusalemme Est allora sotto dominio giordano. La fotografia in bianco e nero di David Rubinger dei tre paracadutisti israeliani immortalati davanti al Kotel (Muro del Pianto) è una delle immagini simbolo della vittoria israeliana. Vittoria che è entrata nella leggenda e che ci permetterà qui di svolgere alcune considerazioni.
La Guerra dei Sei Giorni del 1967 prese il via in virtù dall’aggressione araba determinata dalle ambizioni smisurate di Gamal Abdel Nasser, l’allora dittatore egiziano il quale voleva proporsi come il conducator dell’intero mondo arabo. L’intento di Nasser e dei suoi alleati, la Giordania, la Siria, l’Iraq, il Libano e l’Arabia Saudita, era quello di distruggere Israele. Si trattava, in altre parole, di risolvere in modo drastico la « questione ebraica » in Medioriente. Missione che già agli albori dell’impresa sionista si era incaricato di assolvere con solerzia e sotto benedizione hitleriana Amin Al Husseini. Ciò che invece accadde, la cocente sconfitta subita, costituì un trauma profondo per l’orgoglio arabo nonché la fine delle ambizioni panarabe del Ra’is.
Ma da questa sconfitta sarebbe nata la più pervasiva e incessante demonizzazione di uno stato sovrano che la storia ricordi. Incapaci di annientare Israele sul terreno, si è provveduto a farlo in effige attraverso la propaganda. Una propaganda che dura da 50, predisposta a tavolino dagli arabi allora in combutta con l’Unione Sovietica.
Lo Stato ebraico, trasformato in un mostro “genocida”, “nazista”, “razzista”, “colonialista”, “imperialista, non è altro che l’effetto di uno spostamento semantico. Tutta la negatività attribuita agli ebrei in quanto tali è stata trasferita al loro Stato. Non godendo più l’antisemitismo manifesto dell’ampio consenso collettivo di cui godeva un tempo, si è provveduto a riciclarlo in forma antisionista. E c’è qui un evidente discrimine tra una legittima critica a uno Stato e alle sue politiche e la narrativa nera che lo criminalizza. Gli israeliani “nazisti” sono esattamente la stessa cosa degli ebrei “deicidi”, gli israeliani “genocidi” sono la stessa cosa degli ebrei che venivano accusati di omicidi rituali di bambini, gli israeliani “razzisti”,”violenti” e “oppressori” sono ulteriori esempi del paradigma della colpa, l’assunto cardine di ogni forma di antisemitismo.
E’ stata la guerra che Israele non avrebbe dovuto vincere l’evento che ha rimesso in moto a pieno ritmo le rotative dell’avversione per gli ebrei, in una forma aggiornata e più accettabile, trasformando gli israeliani in carnefici e i palestinesi in vittime. Una volta fissato questo codice tutto il resto ne è conseguito inesorabilmente.
Nasser, alla vigilia della guerra, mentre ammassava le sue forze in attesa di attaccare Israele, cercava il pretesto per potere trasformare la sua volontà di distruzione dello Stato ebraico, in legittima difesa contro una aggressione israeliana inesistente. Fu Israele a prevenirlo con la memorabile azione deterrente che, all’alba del 5 giugno 1967, gli permise di distruggere l’aviazione egiziana prima che questa potesse mettersi in volo. Il “misfatto” di Israele è stato, per la seconda volta, la sua vittoria in una guerra che, come quella del ’48, avrebbe dovuto essere nelle intenzioni dei suoi iniziatori, annichilente.
I cinquant’anni della riunificazione di Gerusalemme e della vittoria “miracolosa” nella Guerra dei Sei Giorni sono qui per ricordarci contemporaneamente cinquanta anni senza sosta di assedio propagandistico contro lo Stato ebraico.
(L’informale, 20 maggio 2017)
E non sarà male rileggere anche questo. 5 GIUGNO 1967
barbara
SE CREDETE CHE LAVORARE SIA BRUTTO
Un uomo egocentrico muore. Si ritrova su una nuvola soleggiata, circondata da tutti i comfort e bellezza che ha sempre sognato. È sorpreso di avere meritato una simile ricompensa celeste, dopo tutte le scelte egoiste che ha fatto nella vita. Vedendo un bar riccamente fornito, va per versarsi da bere. Un cameriere appare al suo fianco. “Che cosa desidera?” chiede. L’uomo gli dice la sua bibita preferita, che viene prontamente servita. Sta per prendere un libro quando il cameriere appare e gli porge il volume. Quando vuole servirsi dal buffet caviale e champagne, viene di nuovo servito. Ogni volta che vuole fare qualcosa, il cameriere appare e lo fa per lui. Dopo un po’ l’uomo gli chiede di andare via. “Mi faccia fare qualcosa da solo,” dice. “Mi dispiace, Signore,” dice il cameriere. “L’unica cosa che Le è proibita qui è di fare qualunque cosa. Lei dica che cosa Le piacerebbe e io lo farò per Lei.” “Ma è pazzesco,” dice l’uomo. “Se non posso fare niente da me, preferisco stare all’inferno.” Al che il cameriere risponde “Perché, dove crede di essere?” (qui, traduzione mia)
barbara
UN MEDICO PERDE LA PAZIENZA
E spara a zero.
Mi sono “rotto il cazzo” e “frantumato i coglioni”
Si, mi sono veramente “rotto i coglioni”.
Faccio il medico da quasi quaranta anni e, pur essendo uno scorbutico con un carattere “dimmerda”, credo, in coscienza di aver sempre cercato fare il meglio possibile per i miei pazienti, con scienza, coscienza, buona pratica, correttezza professionale e “buonsenso clinico”.
Ovviamente non sta a me dire se sono o meno un “bravo medico”, anche perché, il più delle volte, tale giudizio dipende da quanto hai “accontentato” i comodi e le richieste assurde del paziente, a prescindere dalla clinica (ma di questo me ne sbatto altamente).
Mi sono ripromesso una cosa, a salvaguardia della mia vita e della mia salute: MAI più discutere di medicina e salute su FaceBook con “gli idioti senza frontiere, limiti e confini” che imperversano sui “social” senza avere la più pallida idea di quello di cui sproloquiano: Mamme Informate, Antivax, sostenitori del complotto di Big Pharma, Antichemio, Omeopati Panaceutici, ecc.ecc.
Per me, da ora in avanti potete tranquillamente morire, tra atroci sofferenze, estinguervi e ritrovarvi con figli handicappati a vita per le vostre scelte scellerate e prive di qualsiasi fondamento.
L’obbligo vaccinale appena approvato per decreto sarà bypassato rapidamente da qualche TAR di incompetenti che lo sospenderà in attesa di “delucidazioni” provenienti……. da Plutone o Urano.
Quello che mi fa ancora “incazzare” è tutta questa richiesta di “libertà di scelta”.
E’ una “richiesta” del “solito diritto all’italiana”, cioè privo di qualsiasi assunzione di responsabilità; è il solito “giochino” del fare i “froci con il culo altrui”.
Lo STATO ti fa firmare una “liberatoria”, ma se tu, “genitore informato” vuoi scegliere di NON vaccinare tuo figlio e se fossi una persona consapevole e responsabile ed adulta non solo all’anagrafe, dovresti CHIEDERE di firmare una “liberatoria” nei confronti dello STATO nella quale dichiari che qualsiasi “conseguenza” diretta od indiretta della tua scelta ricada “in solido” su di TE e non sullo “stato sociale”: quindi niente cure gratuite, niente assistenza sociale, niente pensione di invalidità a carico della comunità, ma tutto di tasca tua.
E mi ROMPE I COGLIONI sapere che i soldi che lo STATO mi rapina con le tasse debbano andare sprecati per mettere “una pezza” alla vostra imbecillità.
Cosa un po’ più “tecnica”: ho fatto fatica a comprendere ed accettare il concetto di “Effetto Gregge”, ma esiste ed è indiscutibile. Serve a proteggere chi, per tanti motivi clinici non può essere sottoposto alla prevenzione primaria vaccinale….. non vorrei che, in via ipotetica, un bambino non vaccinato sano, contagiasse un impossibilitato a vaccinarsi provocandogli danni irreparabili o facendolo morire; poi non stupitevi se un genitore “disperato” vi prenderà a fucilate. Assumetevene il rischio ipotetico.
E mi ROMPE I COGLIONI in maniera insopportabile che il giorno 8 luglio 2017 in Piazza del Popolo a PESARO (la mia città e patria del Dott. BURIONI) si terrà una manifestazione di Antivaccinisti per la Libertà di Scelta con la partecipazione di un tale Dott. DIEGO STAPHYSAGRIA TOMASSONE: date una occhiata al suo profilo FB e traete autonomamente le vostre conclusioni (ma prima fatevi un paio di fiale di Plasil in vena). Spero vivamente che quel giorno diluvi, ci sia una tempesta di fulmini e il fiume Foglia straripi e faccia “pulizia”.
Sono cose basate sulla EVIDENZA, quindi inconfutabili, a meno che tu non sia uno “studiato alla scuola della vita” e “laureato all’università della strada” e la tua “cultura” si ferma “all’Ignorantozoico”, “all’Analfabetassico” o all’alto medioevo, ma vale la pena ribadirle:
Non c’è alcuna relazione tra Autismo e sintomi correlati ed i vaccini.
L’apparato immunitario di un neonato è più che “maturo” ad affrontare la moltitudine di antigeni con cui viene a contato nel momento stesso della nascita.
Il MERCURIO che ERA presente nelle preparazioni vaccinali a scopo conservante è un sale di Mercurio Organico idrosolubile e a rapidissima eliminazione dall’organismo e NON tossico, a differenza del Mercurio metallico (quello che ingerite ogni volta che mangiare tonno in scatola, per esempio) che non è idrosolubile, si accumula e fa danni perché tossico.
L’obbligo vaccinale è stato reso tale in quanto nelle altre nazioni europee (dotate di una popolazione normalmente colta e consapevole, a differenza degli italioti boccaloni) i genitori fanno vaccinare i figli senza problemi e senza che lo stato debba intervenire per mantenere una percentuale di copertura vaccinale che non metta a rischio la salute collettiva.
I famigerati “test prevaccinali”, oltre ad essere un costo (e spreco) esorbitante (ma questo da un punto di vista sanitario non dovrebbe rappresentare una discriminante), NON hanno dimostrato nessun valore predittivo accettabile riguardo al rischio di complicazioni (a a parte quelle allergiche immediate che sono imprevedibili) legate alla somministrazione dei vaccini.
Detto questo concludo avvertendo che, qualsiasi post in risposta da parte di qualsiasi “idiota senza frontiere, limiti e confini” (vedi la lista, altamente incompleta, delle categorie elencate sopra), non sarà presa in considerazione e non avrà alcuna replica o risposta.
Grazie per l’attenzione,
Dott. Stefano Bonazzoli, Sabato 20 maggio 2017
Se non fossi altamente allergica al matrimonio, uno capace di incazzarsi così lo sposerei.
E poi aggiungerei anche questo, che ci sta di un bene, ma di un bene…
(NOTA: sarò via per qualche giorno. Vi ho programmato un po’ di cose, così non rischiate di andarmi in crisi d’astinenza)
barbara
AGGIORNAMENTO: poi, volendo, ci sarebbe anche questo.