“Avevo 17 anni quando ci fu l’attentato; avevo solo qualche anno in più rispetto a molti dei bambini uccisi questo lunedì sera in un concerto di Ariana Grande a Manchester, in Inghilterra. Era il 1 giugno 2001 e decisi di uscire al Dolphinarium, una discoteca sulla spiaggia di Tel Aviv, con tre mie amiche: Liana, Oksana e Tanya. Andavamo in quella discoteca quasi ogni fine settimana. Era l’estate prima del servizio militare, e avevamo pensato di spenderlo insieme – ballare, andare in bicicletta, nuotare e abbronzarci.
Le ragazze potevano entrare gratuitamente nella discoteca prima di mezzanotte. E noi non avevamo soldi, quindi decidemmo di andarci presto. Comprammo una vodka a buon mercato da un negozio di alimentari e passammo un po’ di tempo sulla spiaggia, parlando e sorseggiando dalla bottiglia fino a quando, alle 11:30, non vedemmo una folla iniziare a raccogliersi fuori dalla porta della discoteca. Io e Tanya ci mettemmo in fila sul lato sinistro; Oksana e Liana si misero a destra in modo da poter entrare tutte più in fretta. Poi, alle 11.44, un attentatore suicida di Hamas si fece esplodere fuori dalla porta della discoteca”. A raccontare la sua storia sulle colonne del New York Times Tanya Weiz, una delle 132 persone ferite nell’attentato alla discoteca Dolphinarium di Tel Aviv nel 2001. Tra i 21 morti nell’attacco – 16 dei quali teenagers – c’era anche la sua amica Liana. L’attentato di Manchester, in cui sono morti molti giovanissimi, l’ha spinta a tornare a quei giorni e scrivere di come ci si sente a sopravvivere all’odio dei terroristi.
“Di colpo tutto è diventato muto – racconta Tanya Weiz – C’era sangue su di me. Ma non sentivo dolore e non sapevo di chi fosse quel sangue. Il mio unico pensiero era trovare il mio telefono per chiamare mia madre. La batteria si era staccata, e in qualche modo riuscii a rimetterla nel telefono. All’improvviso sentii freddo, molto freddo. Misi la mano sul collo e tre delle mie dita sprofondarono nella mia gola. Quattro palle di acciaio – come quelle che si trovano all’interno di un flipper – mi avevano perforato la carne. Fu allora che cominciò il panico”. Tanya riuscì a trascinarsi, strisciando sul suo stomaco, verso un alimentari. Attorno a lei urla, sirene e telecamere. “Sono rimasta in coma per sei giorni. La mia operazione durò 12 ore. Avevo indossato scarpe con la zeppa durante l’attacco e quei pochi centimetri mi salvarono la vita. Il metallo altrimenti avrebbe colpito il cervello”. Dall’ospedale, intubata e senza possibilità di parlare, la ragazza chiederà delle sue amiche: Oksana era sopravvissuta ma era rimasta gravemente ferita, Tanya era rimasta miracolosamente indenne. Liana era morta sul colpo. Ma questo a Weiz non fu detto subito, le dissero che aveva una gamba rotta. “Il fratello gemello di Liana veniva a visitarmi ogni giorno in ospedale, e io pensavo fosse strano. Perché venire da me invece che stare con sua sorella? Quando scoprii che Liana era morta, in quel momento la realtà mi colpì. Per me gli attacchi esplosivi era qualcosa che vedevi sui notiziari. Anche se sei in Israele non pensi che possa accadere a te. Ancora oggi lo vedo a pezzi, come un incubo”. Il recupero fu molto difficile, racconta. I medici le dissero che difficilmente avrebbe potuto nuovamente parlare. “Ma imparai di nuovo a parlare, a mangiare, passo dopo passo”. Una cosa che l’aiutò, furono le visite di altri sopravvissuti ad attentati come quello del Dolphinarium. Era l’epoca della seconda sanguinosa intifada, in cui i kamikaze palestinesi si facevano saltare in aria nelle strade d’Israele. “I terroristi cercano di paralizzarci con la paura e di renderci più deboli, ma con me hanno fatto il contrario. Sono diventata più gentile, più grata, più attenta ai più piccoli dettagli della vita e, sì, più resiliente”.
Tanya oggi vive in Canada e cerca di non pensare all’orrore di quel 1 giugno. “Ma non passa giorno che non ci pensi e ogni volta che sento di un attentato sui notiziari, la cosa mi sembra surreale: non posso credere di esserci passata. E adesso sono una delle persone sedute sul divano a guardare la notizia di quei bambini assassinati, questa volta dallo Stato islamico”. Poi un pensiero a chi dall’orrore di Manchester è uscito vivo. “So che ora non posso dire nulla che possa far star meglio i sopravvissuti all’attacco di Manchester – scrive Tanya – Il senso di colpa per me è iniziato il giorno dell’esplosione. incontrare la madre di Liana è particolarmente doloroso. La vedo che mi guarda e so che sta immaginando sua figlia alla mia età. Ma io direi ai sopravvissuti di rimanere forti e concentrarsi sul loro recupero. Dovete essere molto forti per recuperare”.
(Pagine ebraiche sheva, 28 maggio 2017)
Sono un po’ come i sopravvissuti ai campi di sterminio: loro sono usciti dall’inferno ma l’inferno, da loro, non uscirà mai più.
barbara
pensare he invece i terroristi ci si tuffano nell’inferno, come biscotti nel caffè
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E prendono anche la rincorsa per tuffarsi meglio.
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…
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(concordo)
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Sono sempre dello stesso parere … buttarli tutti i n mare, come fece la Giordania, e si risolve una volta per tutte la falsa questione palestinese, mito inventato di sana pianta nel 67′!
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Noi, Baruch haShem, non siamo i giordani e neanche gli assomigliamo. Anche se non possiamo negare che i loro sistemi sono infinitamente più efficaci.
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Triste cronaca di un’ orrendo attacco terroristico che è sempre vivo e principalmente più
fortemente intenso per chi lo ha vissuto in diretta come vittime, feriti …sofferenza di famigliari, affetti troncati da questo bestiale attentato. qualcuno pur essendo sopravvisuto
porta ancora i segni nel fisico,ma anche nell’ io.
Questo è uno dei tanti. Come una lunga catena che non si sà quando si potrà ripresentare
con altro, non si sà come, ma sempre di chiaro stampo terroristico.
Adesso ogni volta che accade in altre terre per similitudine devono…i supestriti..ebrei,israeliani ricordare le loro pagine vissute del grande e purtroppo non ancora compiuto libro della Shoa’ del popolo ebraico.
Anche perchè troppo spesso simili fatti sono stati trasmessi in sottotono o addirittura silenti
da varie fonti di informazione non sempre pulite nel loro agire fino a travolgere con bieca
faziosità i fatti aggiungendo anche scusanti.
Israele è nel mezzo circondato da popoli ostili sempre ben disposti nel’ elargire il loro
terrorismo nei suoi confronti. Spesso supportato dalla cieca faziosità dell’ occidente con
tutte le sue…Associazioni che hanno poco del democratico e con il loro agire con marcato
senso antisemitico hanno eletto Israele ..l’ imputato.
Spesso vengono quasi coccolati i popoli arabi , alcuni fino all’ eccesso al di là di ogni logica
democratica. L’ occidente ha partecipato nel cercare di mettere ordine sperando di esportare la democrazia.Il caos è solo cresciuto credo che i tempi siano ancora troppo
lontani perchè possa germogliare, le realtà del M.O sono molto diverse da come possano
in lotta fra di loro. Come collante…le dittature e la religione musulmana che sono l’ emblema del M.O. L’ Islam .
Ed Israele è in mezzo a questo immenso territorio esteso come un continente.
Sempre all’ erta, vigile. Non si sà quando,come possa essere bersagliato con vari tipi di
terrorimo. L’ occidente impassibile lo guarda, giudica ,lo condanna.
Adesso…il desiderio di imporre esportando la loro atavica filosofia di vita regolata dal loro
credo religioso che per mezzo delle loro azioni sempre di stampo terroristico cercano di
minare la vita qui in occidente.
Sono stati di parola. Lo hanno asserito da tanto tempo e l’ occidente fatica ad ela
borare questa realtà trovandosi impreparato fra tante scusanti in quello che è stato collaborante fra tanti alibi..
SI..lo hanno asserito..ora tocca ad Israele e poi avanzeremo.
ECCOCI..è triste constatare che potrebbe toccare anche a noi..Hanno sottovalutato la
pericolosità dell’ Islam credendosi indenni.
Quello che stà accadendo..era stato annunciato, stiamo vivendo in vasta scala quello
che ha..stà vivendo Israele.
Non ne siamo indenni…
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Io credo che stiamo vivendo in PICCOLA scala quello che Israele sta vivendo da un intero secolo.
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Viene da piangere.
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A me invece viene da spaccare teste, pensa un po’.
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Sí, anche, ma prima da piangere.
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…
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