E gli ebrei ballano
Un po’ come qui, se vogliamo.
O come quando, nel 2011 l’ambasciata israeliana in Egitto è stata sanguinosamente attaccata, e gli israeliani sono andati davanti all’ambasciata egiziana e si sono vendicati così
barbara
E gli ebrei ballano
Un po’ come qui, se vogliamo.
O come quando, nel 2011 l’ambasciata israeliana in Egitto è stata sanguinosamente attaccata, e gli israeliani sono andati davanti all’ambasciata egiziana e si sono vendicati così
barbara
Una Storia Bellissima!
Autobiografia della Grammatica Italiana
Parole catturate in rete
La mia nascita non fu facile. In realtà i miei genitori non avevano le idee molto chiare. Credo che non mi volessero e forse è questo il problema che mi accompagna da sempre. Per anni si son semplificate le cose, sostenendo che avevo a che fare con un lombardo finito a Firenze per sciacquare i panni in Arno. Mi riconosco nel Lombardo e mi rispecchio nell’Arno, ma non è ciò che sono. Magari tu capisci. Andrei avanti, non fosse tardi…hai ancora voglia d’ascoltarmi?
Affettuosamente
Grammatica Italiana
Andrò piano, con scritti brevi, messere, per non turbare la nostra quiete. Se non le spiace a me piace. Detesto tutto ciò che è prolisso. Sono un essere semplice, fatto di soggetto, predicato verbale e complementi. Che siano oggetti o quant’altro, pur sempre complementi sono. Nasco così per permettere a tutte le parole, provengano esse dal latino (o prima ancora dal greco), dal germanico, dallo slavo di trovare quell’attimo di respiro per restare con me. Io le amo. E lei, messere?
Nessuna parola nacque per caso. Ognuna porta con sé una storia, dolce, terribile, struggente, violenta, languida. Dietro ognuna non c’è l’uomo che la proferisce, ma la storia di persone che l’hanno voluta, plasmata, adattata. Dietro ogni parola c’è un mondo, una cultura, l’essenza stessa della nostra vita.
Ma quanto sto scrivendole vale per tutte le lingue, non solo per la mia. Quindi devo spiegarle, messere, perché amo la mia.
Non fu facile per me esistere. Le parole, sin da piccina, mi mancavano. Avevo, in fondo, rubato tutto ai miei avi greci e latini, sottratto quanto possibile ai barbari dell’est, slavi e germanici, avevo tutte le parole per dire. Ma l’avventura, la vera avventura, non poteva essere fatta solo di parole…
Ero appena adolescente quando capii che dovevo articolarmi. Articolare le parole! Facile per il tedesco o lo slavo, che del tempo e dello spazio hanno un’idea barbara , che si limitano a circoscriversi in un presente da passare o in un presente da consegnare al futuro. E’ un modo d’esistere, comprensibile e facilmente accettabile, ma io volevo di più. Io, nella mia storia, conservavo l’idea di un passato remoto, di un imperfetto, di un futuro prossimo e di un futuro remoto. L’idea di un qualcosa che avrebbe potuto condizionarmi, quella di qualcosa che avrebbe potuto congiungermi finalmente agli altri. E ancora…imperativi e infiniti… io ero capace di darmi alla pienezza della vita.
Io, messere, non solo sono o ero (non fraintenda, per cortesia) o sarò, ma ambivo al fui, all’ero stata, al fui stata, al sarò stata, al sarei, al fossi a milioni di possibilità di essere, avere, andare, venire, guardare. All’essere e al sei!Io volevo tutto, forse troppo, probabilmente di più…La mia storia è molto triste, messere. Ce la fai ad ascoltarmi?
Certo, c’erano anche i gerundi e i gerundivi. Nel mio immenso mondo c’era tutto. Un patrimonio immenso, un’eredità indetassabile. Per me, un tempo, una pésca non era una pèsca…ma sto parlando di un tempo dimenticato. Con me, quelli che mi amavano (quelli che potevano amarmi, quelli che aspiravano a me per poter raccontarsi, tutti quelli che, permettendomi di far da tramite tra isole, tacchi e punte dello stivale e creste montane, potevano raccontare e raccontarsi) entravano in qualche modo in contatto tra loro: comunicavano, si scambiavano le migliaia di parole da dire. Perché, se non hai qualcosa da dire, allora è meglio tacere.
Non a caso, nella notte, ho lasciato l’ultima parola al silenzio. In musica il silenzio è ‘suono’. Anche io nel silenzio esisto. Sono quella pausa che permette al cuore e alla testa di raccogliersi prima di farsi voce o scrittura. E’ questa la mia vera essenza. Nasco dal silenzio e da esso mi disvelo. Le mie note sono infinite, sono parole. Le accetto, da sempre, tutte. Non è necessario siano quelle classiche: ogni apporto, dal dialetto o da altre lingue, fa parte del mio bagaglio di diesis o bemolle.
Conosco pause. Brevi e incisive -una virgola-, più lunghe e enunciative- due punti-, lunghe e definitive – un punto-, di ampio respiro- un punto esclamativo-, sconsolatamente interrogative- punto di domanda. Conosco sospensioni senza risposta –tre puntini- e, solo in casi eccezionali, l’orrore normativo degli elenchi, punto e virgola. Conosco parentesi e trattini…la vita è questa, anche questa.
Ma, oltre alla punteggiatura, oltre ai dizionari, oltre alle parole io sono armonia. E’ questa la vera essenza della lingua italiana. ‘Terra dove il sì suona’. Non è quel sissignore che ignora il silenzio del pensare, coprendolo col rumore di un fare meccanico. E’ il sì di un caos che si fa armonia nella compiutezza di un congiuntivo, di un condizionale, di un passato remoto. (Si ringrazia il signor red. cac. per la cortese segnalazione di questo gioiello, nell’ormai lontano settembre del 2006)
Vorrei fare una piccola aggiunta all’ineffabile poesia offertaci dalla Signora Grammatica Italiana.
La Grammatica è per la Lingua ciò che la pelle è per la donna. Se prima non la contempli, lungamente e con passione, se prima non l’accarezzi, con amore e con sapienza, con devozione e con ardore, non la potrai mai penetrare, non potrai mai indurla a lasciarsi guidare là dove tu vuoi, non potrai mai persuaderla a seguirti nei tuoi giochi e inventarne a sua volta di nuovi, non potrai mai convincerla a farsi tua complice nelle tue lotte e nelle tue battaglie. Se non impari a conoscerla, in ogni minimo dettaglio, non sarà mai la tua amante. Potrà essere, forse, la controparte di una botta e via, mai una compagna di vita, mai qualcuno con cui condividere le gioie e da cui farsi consolare nel dolore, mai la bandiera dei tuoi ideali. Mai. Ne avrai, forse, un momentaneo sollievo nello scaricare le tue urgenze ma il piacere, eh, è ben altra cosa, il piacere.
Ah, stavo quasi per dimenticare: «In musica il silenzio è ‘suono’». Verità sacrosanta, come inconfutabilmente si dimostra qui.
barbara
Questa è la versione originale
Qui qualche spiegazione. E ora la versione israeliana. Buona visione, buon ascolto e buon divertimento.
barbara
Gretel Bergmann (1914-2017)
Berlino 1936. I Giochi dell’odio e della propaganda nazista ai suoi massimi. C’era bisogno di purezza, per dar vita a una celebrazione del Terzo Reich che fosse perfetta in ogni meccanismo. E così Margaret (detta “Gretel”) Bergmann fu esclusa dalla squadra tedesca, per volere della federazione, a un mese dalle Olimpiadi. Poco conta che fosse la più grande saltatrice in alto dell’epoca e che con ogni probabilità avrebbe trionfato nella sua disciplina. La sua macchia, purtroppo, indelebile: era ebrea.
Aveva 22 anni allora e quella, per Gretel, fu una ferita destinata a restare insanabile. Tanto che dal 1937, l’anno della sua fuga dalla Germania, non tornò per oltre 60 anni nel paese in cui era nata, cresciuta e si era affermata a certi livelli. Troppo forti il dolore e la rabbia per quell’occasione perduta.
Gretel se ne è andata nele scorse ore, l’ultima protagonista in vita (suo malgrado) di quei Giochi che tanto hanno fatto parlare per le imprese di Jesse Owens, l’atleta nero capace di demolire l’impalcatura ariana sotto gli occhi imbarazzati di Hitler. Partita dalla Germania con quattro dollari in tasca, si è rifatta una vita negli Stati Uniti. Una strada in salita la sua, ma che non le ha impedito di ottenere delle soddisfazioni agonistiche importanti. In particolare con la vittoria dei campionati nazionali di salto in alto e di getto del peso, ultimi trionfi prima dell’addio alla carriera di sportiva annunciato alla vigilia del secondo conflitto mondiale.
Cittadina americana dal 1942, Bergmann rifiuta per lungo tempo gli inviti che gli arrivano dalla Germania dagli anni Ottanta in poi. Il paese, che inizia davvero a fare i conti con il proprio passato, vuole renderle un omaggio postumo intitolandole impianti e coinvolgendola in un percorso di testimonianza. Lei rifiuta.
Gentilmente, ma rifiuta. E così, nel 1995, quando con grande emozione si inaugura a Berlino la Gretel Bergmann Sports Arena lei non c’è. Gli omaggi però si susseguono, come le richieste di coinvolgimento. A un certo punto l’ex atleta cede, scegliendo di allentare la guardia che finora l’aveva protetta dagli incubi della sua giovinezza. Nel 1999 è in Germania, per l’inaugurazione di due nuovi impianti a suo nome (uno dei quali a a Laupheim, la sua città natale).
Una decisione così motivata: “Quando mi fu detto di queste intitolazioni pensai che i giovani, vedendo il mio nome, si sarebbero chiesti ‘Chi è stata Gretel Bergmann? E così avrebbero appreso la mia storia e cosa accadde allora. Credo all’importanza del ricordo, per questo ho deciso di tornare in un paese dove avevo promesso non sarei più tornata”.
A chiusura ideale del cerchio nel 2009 la federazione tedesca ha reinserito il primato nazionale da lei conseguito nel 1936, subito cancellato dal nazismo, nel libro dei record.
Adam Smulevich, moked, 26 luglio 2017
Poiché sembrava che gli americani fossero intenzionati a boicottare le olimpiadi se gli atleti ebrei fossero stati esclusi, Gretel fu richiamata dall’Inghilterra, dove era riparata. Poi, il 16 luglio, dopo la partenza della squadra olimpica americana per l’Europa, le fu inviato il seguente telegramma: «Cara signorina Bergmann, ci dispiace comunicarle la sua esclusione dall’Olimpiade. Lei non è stata abbastanza brava e non può dunque garantire risultati. Heil Hitler!» Al suo posto gareggiò “Dora” Ratjen, fervente nazista, che deluse le aspettative piazzandosi solo al quarto posto. Quello che riesce difficile da capire, è che nessuno si sia reso conto che questa persona
non poteva essere una donna. E infatti si chiamava Hermann.
La nostra Gretel, ad ogni buon conto, è sopravvissuta più o meno a tutti i suoi persecutori. E ora riposi in pace, che lo ha davvero meritato.
barbara
In aggiunta alla nerchiotomia politicamente corretta, soffermerei l’attenzione su quel 45% di dispersione a Roma e 35% in media in Italia: credo che per questo brillante risultato vada un sentito ringraziamento anche a quei 26 milioni di craniofallici, pari al 54% degli italiani con diritto di voto, che non avendo la più pallida idea della differenza fra gestione e disponibilità, né del funzionamento delle gestioni pubbliche, hanno votato per “acqua bene comune”.
Quanto invece al qui sopra menzionato Paese al di là del mare, può valere la pena di rileggere questo.
barbara
ma non li hanno mica ammazzati i palestinesi: si sono sparati fra di loro! Lo sapete bene che gli ebrei mentono sempre, no? (Sì sì, ha detto ebrei: non israeliani o sionisti, no, proprio ebrei).
barbara
L’assassino di Neve Tsuf non è stato ucciso ma solo ferito, e in questo momento sta ricevendo la migliore assistenza e le migliori cure in Israele.
Ringraziamo comunque il coraggioso soldato vicino di casa che è immediatamente intervenuto non appena ha sentito gridare, e che, sparandogli attraverso la finestra, è riuscito a neutralizzarlo centrandolo al primo colpo. Questa la testimonianza della madre del soldato (qui).
E queste sono le vittime: Yosef Salomon (70 anni) e i suoi figli Hana (46) e Elad (36).
barbara
Resistendo a tutte le pressioni, alla fine i Radioheads si sono esibiti in Israele. Mi sembra interessante, in questo contesto, la presa di posizione di una musicista araba.
Cantante araba israeliana difende il concerto dei Radiohead a Tel Aviv dai fanatici del boicottaggio
“Cercano solo di dividerci, di fermare la musica. E danneggiano chi vuole promuovere la pace”
La musicista arabo-israeliana Nasreen Qadri ha preso posizione a favore della performance dei Radiohead, mercoledì in Israele, nonostante le furiose pressioni cui il gruppo britannico è stato sottoposto dal movimento BDS (per boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele) affinché annullasse il concerto estivo a Tel Aviv.
In un editoriale pubblicato martedì su Newsweek Online, Qadri ha affermato che la cancellazione di performance come questa la feriscono “come donna, come araba e come musulmana”, aggiungendo che coloro che fanno pressione sui Radiohead perché annullino il loro spettacolo “danneggiano chi desidera promuovere la pace e la tolleranza in questa travagliata regione “. “Boicottare l’unica democrazia in Medio Oriente – ha scritto la cantante arabo-israeliana – è controproducente. Coloro che invocano il boicottaggio cercano solo di dividerci, cercano solo di fermare la musica. E io non ci sto. Purtroppo, ci sono già troppi paesi in Medio Oriente dove un concerto come questo non potrebbe mai aver luogo”.
Qadri ha spiegato che si sarebbe esibita al concerto dei Radiohead di mercoledì insieme al cantante ebreo israeliano Dudu Tassa, “per portare un messaggio di convivenza in ogni angolo del paese”. E ha aggiunto: “Mi sento fortunata di essere nata in Israele, e sono grata per l’opportunità che mi è offerta di costruire ponti di comprensione”. Dobbiamo “lavorare insieme” ha spigato, dicendo che senza impegno in questo senso, la pace non arriverà mai.
Nata nella città settentrionale israeliana di Haifa, Nasreen Qadri è poi cresciuta nella città di Lod, nel centro del paese. Entrambe sono città miste, cioè con popolazione sia araba che ebraica. Nel 2012 Qadri ha vinto un concorso di canto della televisione israeliana.
Anche Michael Stipe, frontman della rock band REM, in un post su Instagram ha scritto: “Sto con i Radiohead e la loro decisione di esibirsi. Speriamo che il dialogo continui, contribuendo a portare alla fine dell’occupazione e a una soluzione pacifica”.
Il frontman dei Pink Floyd, Roger Waters, ha condotto per mesi una furibonda campagna contro Thomay Yorke, cantante leader dei Radiohead, per via dello show della band in programma in Israele. Yorke non si è fatto intimorire dagli attacchi di Waters, che pretendeva l’annullamento del concerto, e ha ribattuto colpo su colpo alle accuse del cantante dei Pink Floyd.
[vedi che è vero che l’antisemitismo imbruttisce?)
In un post su Twitter ha pazientemente spiegato: “Suonare in un paese non equivale ad approvare il suo governo. Noi non sosteniamo Netanyahu più di quanto sosteniamo Trump, ma continuiamo a suonare in America”. E in intervista alla rivista Rolling Stone ha dichiarato: “È profondamente offensivo supporre che noi siamo così disinformati o così ritardati da non poter prendere queste decisioni per conto nostro. È davvero impressionante che artisti che rispetto pensino che non siamo in grado di prendere da soli una decisione etica dopo tutti questi anni. Ci parlano con arroganza e sufficienza e trovo semplicemente sbalorditivo che credano di avere il diritto di farlo”.
(Qui, da: Jerusalem Post, Ha’aretz, 19.7.17)
E a Ken Loach, che gli poneva la drammatica scelta di “stare con gli oppressi o con gli oppressori, ha risposto che “la musica è fatta per superare i confini, non per crearli”.
E adesso ascoltiamoci un bel pezzo di questa splendida band.
E già che ci siamo ascoltiamone un altro.
E ancora uno, dai.
barbara
E i miei commenti alle notizie
Gerusalemme, scontri alla Spianata delle moschee: tre palestinesi uccisi. Tre israeliani accoltellati a morte in Cisgiordania
Mi raccomando: PRIMA i morti palestinesi, POI quelli israeliani, non sia mai che ci dimentichiamo le priorità.
Gli incidenti dopo che il governo ha lasciato in funzione i metal detector
che sono, notoriamente, quella cosa che impedisce di portare con sé i libri di preghiera e quindi, giustamente, chi va a pregare protesta per questo inaudito impedimento
e inasprito le misure di sicurezza
e chissà mai perché il governo avrà avuto l’idea di mettere in atto misure di sicurezza
impedendo l’accesso agli under 50. Fonti mediche:
di quale parte?
quasi 200 feriti, contusi, ustionati e intossicati. Il presidente palestinese Abu Mazen sospende i rapporti per i colloqui di pace. E in serata un palestinese ha ucciso due donne anziane e un uomo in una colonia,
colonia, eh? Ricordiamoci che è una colonia, mica un posto in cui vivono esseri umani. Come Itamar, per dire
e ferendo una quarta persona prima di essere ucciso a sua volta
GERUSALEMME – Tre palestinesi sono stati uccisi negli scontri avvenuti a Gerusalemme est nei pressi della spianata delle moschee,
cioè il Monte del Tempio
dopo la decisione delle autorità dello Stato ebraico di permettere l’ingresso nel terzo luogo sacro dell’Islam esclusivamente alle persone con più di cinquant’anni di età. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Maan una delle tre vittime è un ragazzo di 17 anni,
ragazzo, sottolineiamo ragazzo, cioè una creatura innocente, sarà stato lì a giocare a calcetto, immagino
colpito da un colono israeliano
colono, cioè di quelli cattivi. Perché l’avrà ucciso? Mah, non si sa
a Gerusalemme Est, nel quartiere a maggioranza araba di Ras Al-Amoud
diventato a maggioranza araba nel 1948 con l’occupazione illegale della Giordania che ne ha espulso tutti gli ebrei che ci vivevano (quindi in quel periodo era diventata non a maggioranza, ma esclusivamente araba), devastato sinagoghe e dissacrato cimiteri.
La seconda vittima è Muhammad Abu Ghannam. Il suo corpo è stato prelevato dalla famiglia dall’ospedale Muqassed di Gerusalemme est, per impedire che fosse preso in custodia dalle autorità israeliane.
Che cosa temevano che scoprissero, le autorità israeliane?
Testimoni hanno infatti raccontato che la polizia israeliana hanno fatto irruzione nella clinica per arrestare i palestinesi feriti che vi erano stati portati. Il terzo palestinese ucciso, un altro diciassettenne,
ragazzino, povero piccolo innocente. Ucciso perché? Non si sa. Mentre stava facendo che cosa? Non si sa. Forse si stava semplicemente scaldando per combattere il freddo polare di questi giorni, come questi altri suoi compari, tutti giovani, tutti angioletti
si chiamava Mohammed Mahmud ed è stato colpito al petto da un proiettile israeliano nel rione di Abu Dis.
La tensione, altissima, si è estesa in Cisgiordania,
si chiama Giudea-Samaria, (in ebraico: ושומרון יהודה, Yehuda VeShomron, in arabo: اليهودية والسامرة, al-Yahudiyyah was-Sāmarah: anche gli arabi sanno benissimo come si chiama)
già teatro di proteste durante la giornata: in serata un palestinese di 19 anni, Omar al Abed, proveniente dal vicino villaggio di Kobar, è riuscito ad infiltrarsi nella colonia di Neve Tsuf
che significa oasi del nettare
e ha accoltellato quattro coloni,
coloni, eh, ricordiamoci sempre che erano coloni, non esseri umani
uccidendone tre, due uomini di 40 e 60 anni ed una donna di 40. Ferita gravemente un’altra donna di circa 60 anni. Poi il giovane è stato a sua volta ucciso a colpi di pistola.
Poi hai dimenticato di dire che il “giovane” – mi raccomando, non dimentichiamo che era giovane, povero caro – era un affiliato di Hamas. Poi hai dimenticato di dire che due ore prima di colpire aveva chiamato, sulla sua pagina facebook, alla “difesa della moschea” sul Monte del Tempio: Take your weapons and resist… I only have a knife and it will answer the call of Al-Aqsa… I know I am going and will not return. Secondo varie testate israeliane comunque, ancora non si sa con certezza se sa stato ucciso o solo ferito. Il teatro della macelleria, chi è di stomaco molto molto robusto, può andarlo a vedere qui.
Alla periferia nord di Gerusalemme, nel rione di a-Ram, un bambino di sette anni è rimasto intossicato da gas lacrimogeni, mentre era nelle braccia del padre. Fonti palestinesi riferiscono che le sue condizioni sono ritenute gravi.
E che cosa ci faceva un bambino di sette anni in mezzo a quei violentissimi disordini? Perché, in previsione di violenti disordini, suo padre l’ha portato lì? Nella speranza di fabbricare un altro martire, come quest’altro padre?
Sono centinaia le persone ferite da proiettili di gomma o intossicate da gas lacrimogeni. Le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze palestinesi di raggiungere la zona degli scontri
in nessun posto al mondo è consentito ai veicoli – di qualunque genere – di entrare nelle zone di scontri durante gli scontri, imbecille!
e la Mezzaluna rossa ha fatto sapere che alcuni suoi addetti sono stati colpiti da candelotti lacrimogeni.
Cioè stai dicendo che, non potendo arrivare lì con le ambulanze, hanno raggiunto la zona degli scontri a piedi: per fare cosa? Per partecipare agli attacchi, come spesso succede?
Altri incidenti si sono verificati in Cisgiordania: all’ingresso di Betlemme e al valico di Qalandya, presso Ramallah.
Sempre secondo la Mezzaluna Rossa,
eh, quella sì che è una fonte attendibile!
i feriti sono almeno 193, sia a Gerusalemme sia in Cisgiordania.
? 193 a Gerusalemme e 193 in Giudea-Samaria?
Oltre 4 poliziotti, sono 41 i feriti nel centro di Gerusalemme, portati in centri di soccorso medico, in maggioranza perché sono stati colpiti da oggetti,
? Oggetti? Gli israeliani tirano “oggetti”? Scarpe, paralumi, posacenere, bicchieri da cocktail, soprammobili di ceramica, bambole da collezione…
proiettili di gomma e hanno riportato ustioni,
ustioni? Ustioni come? Gli israeliani gli hanno dato fuoco?
mentre altri 31 sono stati curati sul posto. Nel quartiere di Isariya, due persone sono state ferite da munizioni vere, 10 da proiettili di gomma, 40 sono state curate per aver inalato gas lacrimogeni e ustioni.
In Cisgiordania, 11 feriti sono stati registrati a Ramallah, a causa di granate stordenti, gas lacrimogeni e munizioni vere, mentre 38 a Betlemme, in gran parte per asfissia da gas.
Bella questa ammucchiata di numeri: dobbiamo sommarli? Dobbiamo aggiungerli ai primi dati? Lo scopo, comunque, è chiaramente quello di “fare mucchio” per impressionare il lettore.
Disordini sono avvenuti anche nel nord e nel sud del Territorio paletinese,
territorio conteso: NON esistono territori palestinesi, perché gli arabi hanno sempre rifiutato uno stato palestinese, nel 1937, nel 1947, nel 1967, nel 2001…
con tre feriti a Qalqilia, sei a Tulkarem e sei a Hebron, di cui due per proiettili veri.
E gli altri?
La Spianata delle moschee – per gli ebrei il monte del tempio,
“Spianata” maiuscolo, “monte” minuscolo
ugualmente un luogo santo – è stata fonte di gravi tensioni negli ultimi giorni in seguito all’attacco terroristico contro due poliziotti israeliani, uccisi il 14 luglio scorso: gli assalitori infatti vi si erano rifugiati prima di essere abbattuti
abbattuti! Ma quanto ci piace questo verbo: abbattuti come selvaggina, come birilli, come innocenti passanti dai perfidi cecchini appostati sui tetti
dalla sicurezza.
Poi – alla scuola di giornalismo non lo insegnano più che le notizie devono essere date in modo completo? – ci sarebbe da dire che non vi si erano semplicemente rifugiati “dopo”: ci erano stati anche prima per prendersi le armi, perché la moschea – a suo tempo ne ho postato la documentazione – è un vero e proprio deposito di armi.
Da allora il governo israeliano ha deciso di installare dei metal detector all’ingresso del sito, misura aspramente contestata dai palestinesi che per protesta hanno deciso da domenica scorsa di radunarsi a pregare all’esterno della spianata.
Poi arriva il re dell’Arabia Saudita a spiegare che i metal detector nei luoghi santi sono una cosa assolutamente normale, ma pensa te.
Proprio per evitare un eccessivo affollamento della città vecchia nel venerdì, principale giornata di preghiera islamica, e quindi ulteriori problemi di sicurezza
bello quel “quindi”: pregare significa porre automaticamente problemi di sicurezza, come quando le nostre bisnonne dopo avere lavato i piatti recitavano il rosario, vi ricordate? Tutta la polizia in allarme coi mitra spianati
la polizia israeliana ha deciso di consentire l’ingresso nella zona ai soli ultracinquantenni, provvedimento peraltro non inedito e che mira a ridurre il rischio di attentati.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha tuttavia più volte assicurato di non voler alterare in alcun modo lo statu quo (non scritto) che permette ai musulmani di accedere liberamente al sito mentre gli ebrei devono limitarsi ad ore precise e senza potervi pregare. Di fatto lo stato ebraico controlla l’accesso alla spianata ma la gestione degli edifici di culto è affidata alla Giordania.
Amman ha chiesto la “immediata e totale” riapertura del sito ai fedeli, lanciando un appello alla comunità internazionale perché intervenga sulla questione. Ieri era stato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a chiedere la rimozione dei metal detector “vista l’importanza della spianata delle moschee per tutto il mondo musulmano” e sembrava che il premier ne stesse valutando la rimozione per oggi, giorno della preghiera del venerdì. Ma dopo le consultazioni con i capi della sicurezza e i membri del governo, Benjamin Netanyahu ha deciso di mantenerli attivi.
(se li toglieva andavo a castrarlo col machete, andavo)
Nei giorni scorsi il Mufti di Gerusalemme ha ordinato che le moschee cittadine siano tenute chiuse e che i fedeli convergano invece verso la Spianata, al massimo delle loro capacità date le limitazioni imposte dalla polizia. In ogni caso, ha aggiunto, i fedeli avrebbero dovuto rifiutarsi di passare dalle porte elettroniche. Il presidente palestinese Abu Mazen ha convocato a Ramallah in Cisgiordania una riunione urgente dei vertici dell’Olp e di al-Fatah per discutere la “pericolosa escalation israeliana alla moschea al-Aqsa”.
Lo so che non dovrei, perché sono cose serie, ma a me, quando sento queste sparate, scappa tanto da ridere.
Abu Mazen è stato costretto ad abbreviare una visita ufficiale in Cina per seguire da vicino l’evolversi della crisi a Gerusalemme. In serata il presidente ha annunciato il congelamento dei contatti con le autorità israeliane fino a che non sarà risolta la crisi dei metal detector agli ingressi della Spianata. (qui)
Diceva un mio amico americano: se non leggi il NYT sei uninformed, se lo leggi sei misinformed. Mi sembra che la definizione vada benissimo anche per parecchie testate nostrane.
barbara