Una decina d’anni, forse meno. Capelli lunghi entrambe, l’unica cosa che ho specificamente notato. Io stavo facendo la mia solita camminata lenta sulla battigia dopo il bagno, un po’ per asciugarmi prima di rivestirmi, un po’ perché è bellissimo; loro camminavano un po’ più veloci e mi hanno superata. Ad un certo punto le vedo ferme, guardano verso il mare e parlottano. Quando le raggiungo “Scusi” dice una, in tono quasi perentorio. Mi fermo. “Quella è una boa o un bambino?” Guardo anch’io verso il mare, di luce non ce n’è più molta. “Ce ne sono tante”, dico, “tu quale intendi?” “Quella nera”. Già, c’è una cosa tonda nera, molto più piccola delle normali boe arancione, effettivamente compatibile, per grandezza e colore, con la possibilità che sia la testa di un bambino. Sono sicura al 99,9 periodico per cento che è una boa, ma quel centomiliardesimo di possibilità che non lo sia sarebbe più che sufficiente a togliermi il sonno, se non andassi a verificare. Loro non possono farlo perché sono vestite, e quindi vado io (oltretutto io mi sono dovuta immergere fino alle natiche: a loro l’acqua sarebbe arrivata alle spalle o quasi). Naturalmente è una boa, e la sollevo bene con tutta la sua corda per fargliela vedere. Sono visibilmente sollevate, e quando sono vicina alla riva, prima di riavviarsi, mi ringraziano, come se avessi fatto un favore a loro.
Due bambinette delle elementari che si guardano intorno, che si preoccupano di quello che vedono, che intuiscono la possibilità di un’emergenza, che se ne fanno carico, se ne prendono la responsabilità, che bloccano il primo adulto che capita loro a tiro perché si possa, se davvero ci fosse un’emergenza, intervenire. Sono tornata a casa bagnata fradicia ma felice: anche oggi la vita mi ha fatto il suo piccolo grande regalo. Il ringraziamento lo affido alla voce di un uomo che l’ha cantata quando aveva ancora davanti venticinque giorni di vita – e lo sapeva. E grazie anche al grandissimo Andrea.
barbara