È ARRIVATO IL MOMENTO DI PARLARE DELLA CATALOGNA

Sulla quale non ho bisogno di trovare parole mie perché c’è già chi ha detto tutto quello che avrei da dire, molto meglio di come lo avrei potuto dire io. E comincio col post, come sempre traboccante di saggezza e buon senso, di Giovanni Ciri.

LEGALITA’, GIUSTIZIA, DIRITTO ALLA RIBELLIONE. IN DIECI PICCOLI PUNTI

Le leggo e le sento talmente grosse sul problema della legalità che forse val la pena di fissare alcuni punti, SENZA entrare nel merito della secessione catalana.

1) Uno stato non nasce quasi mai in maniera legale. Affinché uno stato nascesse in maniera legale ci dovrebbe essere una legge precedente alla formazione dello stato stesso, il che è impossibile perché la legge nasce appunto con lo stato, non prima. Uno dei pochissimi esempi di uno stato nato in maniera legale è ISRAELE, nato da una delibera ONU.

2) Anche se la nascita di uno stato è quasi sempre non legale qualsiasi stato provvede da subito a darsi delle leggi perché solo in questo modo è possibile garantire la civile convivenza dei cittadini. Contrapporre l’origine non legale di uno stato alla necessità di osservarne le leggi è privo di senso.

3) Non tutte le leggi sono giuste. La legalità non coincide sempre con la giustizia. Quindi è possibile che in situazioni gravissime si sia costretti a mettersi fuori dalla legge per avere giustizia. Uno dei padri del liberalismo, John Locke, ha teorizzato il diritto alla ribellione.

4) Ovviamente non sempre chi rifiuta la legalità in nome della giustizia ha ragione. Molto spesso ha torto marcio, specie se la legalità che viene rifiutata garantisce a tutti i fondamentali diritti civili e politici. Locke, nel momento stesso in cui teorizza il diritto alla ribellione lo limita a pochi e gravissimi casi.

5) Il diritto alla ribellione non è un diritto positivo, non è qualcosa che la legge possa concedere. E’ uno di quelli che i liberali classici chiamavano “diritti naturali”. Appellarsi al diritto alla ribellione significa mettersi fuori dalla legalità.

6) Chi si mette fuori dalla legalità compie un atto eversivo, o, se si preferisce, rivoluzionario. Questo è il punto decisivo. Se ci si mette fuori dalla legge si entra in un terreno nel quale ad essere decisivi sono i rapporti di forza. Chi si balocca col diritto a porsi fuori dalla legalità questo deve averlo sempre ben presente: entra in una spirale che può concludersi con una guerra civile.

7) Se ci si mette sul piano dei rapporti di forza non ci si può lamentare se anche l’altra parte usa la forza. Se le controversie non vengono risolte nell’ambito della legge si risolvono in piazza. Con i pugni prima, poi con le pietre… poi con altri mezzi ancora. E questo vale per tutte le parti in causa. Fare appello alla forza e poi lamentarsi perché la usano anche gli altri è poco serio.

9) Per questi motivi qualsiasi politico responsabile ci deve pensare mille o centomila, o un milione di volte prima di entrare in una spirale che può portare ad una guerra civile

10) Mantenersi nella legalità, evitare le scelte che possono far precipitare la situazione, usare i numerosi strumenti che la democrazia occidentale mette a disposizione di chi dissente non è quindi un atto di viltà. E’ un atto di massima responsabilità democratica.

Speriamo che in Spagna, in Catalogna ed in Castiglia, se ne ricordino TUTTI. (qui)

Aggiungo questo articolo, con un paio di cose che forse non tutti sanno, o sulle quali non ci si è soffermati abbastanza.

TRE COSE CHE NESSUNO DICE SULLA CATALOGNA

2 Ottobre 2017

Premesso che le immagini degli scontri che ci sono arrivate ieri da Barcellona sono una brutta pagina della politica spagnola e che Rajoy, a mio avviso, ha fatto un errore ad adottare una linea così dura (trasformando in martiri persone che fino ad oggi si sono comportate in modo assai poco responsabile), ci sono però tre cose sul referendum di ieri di cui non mi pare nessuno abbia parlato e che invece vorrei sottolineare.

La maggioranza dei catalani NON è secessionista. Nel 2015, appena due anni fa, alle elezioni catalane, la grande coalizione delle forze indipendentiste ha ottenuto il 39.5%. Un dato certamente enorme, ma resta il fatto che la maggioranza dei catalani non è per la secessione. Gli independentisti hanno tutti i numeri per stare al governi del Paese, ma non possono dire che “tutto il popolo catalano vuole l’indipendenza”, perchè non è così.
I politici Catalani oggi dipinti come martiri sono gli stessi che hanno governato la Catalogna negli ultimi anni affrontando la crisi economica con un piano di tagli alla sanità, all’istruzione e ai servizi sociali tra i più alti di tutta la Spagna, aggravando disagi e diseguaglianze e poi sviando l’attenzione dell’opinione pubblica con la bandiera dell’indipendentismo, scaricando su Madrid la colpa di politiche certamente restrittive ma che loro hanno reso ancor più draconiane in modo quasi scientifico. Negli anni 2009-2015 hanno operato tagli complessivi a snità, istruzione e spese sociali per oltre il 26% (si veda grafico in fondo al post). La sanità, da sola, è stata tagliata del 31%, ed ulteriormente privatizzata, le tasse universitarie sono state aumentate del 158%, più di ogni altra regione, e la Catalogna è stata leader negli sfratti dei proprietari di case che non riuscivano a pagare i mutui, senza mettere in campo compensazioni in termini di politiche abitative (spianando la strada alla vittoria di Podemos e di Ada Colau come sindaco di Barcellona). Per non parlare degli scandali di corruzione in cui è coinvolto lo stesso Artur Mas, ex-presidente della Generalitat che in questi giorni ha sfilato accanto a Puigdemont come un martire caduto per l’indipendenza e la libertà. In realtà è un politico che stava cadendo per le indagini giudiziarie, risuscitato dall’ideologia indipendendista.
I due milioni e passa di votanti declamati ovunque anche sui nostri giornali sono un numero che non ha nessuna base solida, verificata o verificabile. E’ una sorta di “autocertificazione” del Governo della Catalogna, sugli esiti di una consultazione realizzata senza registri elettorali, senza alcun controllo, in cui chiunque poteva votare più volte, in cui le schede venivano scrutinate non si sa come e da chi. Non mi capacito come giornali anche seri continuino ad utilizzare questo dato come significativo di alcunchè.
A questi 3 fatti aggiungo una considerazione su cui in Italia quasi nessuno sembra voler riflettere.
La questione indipendentista in Spagna è una cosa molto seria. L’indipendentismo basco ha provocato più di ottocento morti e solo nei mesi scorsi si è trovato un accordo pacifico. Ci sono inoltre molte altre autonomie che stanno insieme grazie ad un patto di costituzionale e di solidarietà reciproca che non può essere stravolto in modo unilaterale. Se si cambiano equilibri da una parte si risvegliano rivendicazioni da un’altra. Non è un caso se lo Statuto della Catalogna del 2006 fu impugnato non solo dal Partido Popular, ma anche da cinque regioni autonome. Dire come ho sentito dire in Italia “ma sì, ma lasciali fare, che vuoi che sia” significa non tenere in conto la storia e la specificità spagnola, e pensare che siano la stessa cosa del secessionismo ormai un pò cacio e pepe della Lega Nord. Non è così. E’ molto, molto più complicato.
Ma di fronte a tanti esperti che in questi giorni prolificano e pontificano in ogni angolo, tutti con la soluzione in tasca, alzo le mani e mi arrendo.
dati-catalogna

Ortografia a parte, non fa una piega. E infine questo.

Barcellona: la secessione comica e quella tragica

L’Europa occidentale, ricca e pacificata, ha smarrito il senso del tragico, al punto da confonderlo con il comico. Per comprendere il senso di questa affermazione, occorre conoscere la differenza tra le secessioni tragiche e quelle comiche.
Le secessioni tragiche riguardano quelle minoranze, oggetto di discriminazioni e violente persecuzioni, le quali cercano di costruire un nuovo Stato per vivere all’interno di una fortificazione. I secessionisti tragici sperano di salvarsi dai loro persecutori creando nuove mura difensive che chiamano “Stato indipendente”. Il caso dei curdi è l’esempio più attuale. Lunedì 25 settembre, gli abitanti del Kurdistan iracheno hanno votato per la secessione dall’Iraq e la costituzione di uno Stato indipendente. Il 24 agosto 2016, i soldati della Turchia hanno sconfinato nel nord della Siria per scacciare i curdi che si trovano in quell’area – dopo averli ampiamente bombardati in territorio turco – nell’ambito dell’operazione “scudo dell’Eufrate” terminata il 29 marzo 2017. Per non parlare delle discriminazioni che i curdi subiscono in Iran. Subito dopo il referendum, i curdi, uno dei popoli più impegnati nella lotta contro l’Isis, sono stati immediatamente minacciati da Iran, Turchia e Iraq, che ha inviato l’esercito a sigillare i confini del Kurdistan. La Casa Bianca è intervenuta subito per impedire che l’esercito iracheno prendesse in considerazione l’idea di aprire il fuoco.
La fondazione dello Stato di Israele non è stata una secessione tragica sotto il profilo territoriale, ma, idealmente, lo è stata eccome. Israele è nato come secessione dal mondo europeo che aveva avviato, o fatto finta di non vedere, la persecuzione degli ebrei poi culminata nello sterminio di massa.
Chiunque abbia visitato Barcellona sa bene che si tratta di una delle città più ricche e libere d’Europa. La secessione catalana è molto simile a quella che aveva in mente Umberto Bossi sul finire degli anni Ottanta. Bossi, che viveva in una delle aree più ricche del mondo, invece di lottare contro le discriminazioni, operava in favore di esse. La sua idea fondamentale era che i “terroni” fossero antropologicamente inferiori rispetto ai “padani”. Mentre il tentativo di secessione dei curdi nasce per non essere discriminati, il tentativo di secessione di Bossi nasceva per discriminare.
La ragione fondamentale che spinge Barcellona al referendum non ha niente a che vedere con le persecuzioni da parte del governo di Madrid. La spinta dominante è economica, proprio come accadeva nel caso di Bossi, il quale enfatizzava un’inesistente cultura padana per abbellire la cruda realtà dell’indipendentismo leghista che aveva il proprio epicentro negli uffici dei commercialisti: pagare meno tasse ed essere più ricchi. Le ragioni ideali che Bossi chiamava a sostegno della sua secessione erano talmente inesistenti che il suo successore, Matteo Salvini, è passato dal leghismo al nazionalismo ovvero dal popolo padano al popolo italiano.
I catalani sono scontenti perché affermano di pagare allo Stato più di quanto ricevono. In pubblico sventolano alti ideali, ma, in privato, il problema è molto prosaico. Tutti noi siamo dispiaciuti e rattristati per i feriti di Barcellona, ma la tristezza e il dispiacere non devono influenzare le analisi politiche che, altrimenti, diventerebbero semplici sfoghi emotivi.
Il metodo più corretto per valutare i fenomeni politici è la comparazione. Ponendo a confronto fenomeni simili è possibile pronunciare giudizi equilibrati. La secessione di Barcellona va posta a confronto con la secessione dei curdi.
Soltanto se impareremo a riconoscere la differenza tra i proiettili di gomma, che stordiscono i ricchi manifestanti di Barcellona, dai proiettili della Turchia e dell’Isis, che uccidono i poveri curdi, saremo in grado di recuperare l’equilibrio del giudizio che è la precondizione per distinguere la dimensione tragica della politica da quella comica. (qui)

Grazie di leggere Sicurezza Internazionale

di Alessandro Orsini

Ecco, io la penso esattamente così.

barbara