ADESSO ANCHE LE NINFE

 di Antonella De Gregorio

Manchester, via le ninfe dal museo: «Erotismo offensivo». Ma è polemica

In clima di #MeToo, alla MAG rimosso dipinto preraffaelita. La curatrice: «Un nuovo imbarazzo nel vedere corpi femminili come forma di arte passiva». Il pubblico invitato ad esprimere pareri: «Un pericoloso precedente»
ninfe
Fanciulle di fresca bellezza e dall’allegro sorriso. Ma le ninfe a mollo nell’acqua, che rapiscono Ila (il bellissimo giovane della mitologia greca, prediletto di Eracle) in epoca di #MeToo (la campagna contro le molestie sessuali diventata virale) possono anche essere viste come una fantasia erotica inadatta e offensiva per il pubblico moderno. Questa, almeno, la posizione della Manchester Art Gallery, che ha rimosso dalle sue pareti il dipinto «Hylas and the Nymphs» (1896), di John William Waterhouse, artista britannico Preraffaellita, lasciando al suo posto uno spazio vuoto. «Diteci cosa ne pensate», hanno chiesto ai visitatori, invitandoli a pubblicare online le proprie reazioni o a lasciarle scritte nella sala che ospitava l’opera. «Il mondo è pieno di questioni intrecciate di genere, razza, sessualità e classe che riguardano tutti noi – sta scritto nel vuoto lasciato dal quadro -. Come possono le opere d’arte parlarci in modo più contemporaneo e rilevante? Quali altre storie potrebbero raccontare queste opere e i loro personaggi? Quali altri temi sarebbero interessanti da esplorare nella galleria»?

Colpo di spugna arbitrario

La parete vuota si è immediatamente riempita di Post-it. Quasi tutti contrari alla decisione: «Un pericoloso precedente» (ma anche «Un atto politicamente corretto)», «Repressione in stile talebano. E da parte di una donna!» , si legge. Su Twitter, all’hashtag #MAGSoniaBoyce, c’è chi si indigna: «Avete appena comunicato a milioni di donne che devono vergognarsi del proprio corpo. Burqa per tutti», scrive @Saffron—Blaze. «I totalitarismi e l’arte non vanno d’accordo», commenta @BateComedy. Peter Sharp cita Frank Zappa: «Il politicamente corretto è solo un’altra forma di fascismo». Mentre Ian Kikuchi riassume: «L’unica conversazione che la Gallerua di Manchester sembra aver avviato è un gigantesco coro contro la censura».

Atto artistico

Michael Browne, artista che ha partecipato all’evento in cui è stato rimosso il dipinto (un atto artistico in sé, che farà parte di una personale di Sonia Boyce, alla Gam dal 23 marzo), si è detto preoccupato da questo «colpo di spugna arbitrario sul passato»: «Non mi piace l’idea che un’opera d’arte venga rimossa, che qualcuno si arroghi il potere di dire cosa sia giusto o sbagliato esibire. I curatori stanno usando il loro potere di veto in una collezione pubblica. Se passa questa linea, anche altri dipinti storici che giacciono nei sotterranei della galleria, o in altri musei, potrebbero essere considerati offensivi e non vedere mai la luce».

«Non è censura»

Clare Gannaway, la curatrice di arte contemporanea della Gam, ha assicurato che obiettivo della rimozione non è censurare, ma provocare il dibattito. Il dipinto si trovava in una sala intitolata «In Pursuit of Beauty», (alla ricerca della bellezza), che contiene dipinti del XIX secolo che esibiscono molti nudi femminili. Un titolo «infelice», secondo la Gannaway, che rappresenta solo opere di artisti maschi che usano il corpo femminile come elemento decorativo passivo. «Avverto un senso di imbarazzo che non avevo mai provato prima – dice -. È come se la nostra attenzione finora fosse stata rivolta altrove, ci siamo dimenticati di guardare». E ha poi ammesso che a far maturare la decisione ha sicuramente contribuito anche il dibattito generato dalle campagne «Time’s Up» e «#MeToo».

Il precedente

La mossa della Gannaway in realtà potrebbe essere solo un abile strategia di marketing. «Mai così tanti, gli ammiratori di questo dipinto», si legge tra i tweet. Intanto, il Guardian ricorda un precedente, relativo a Waterhouse: nel recensire la mostra alla Royal Academy of Arts del 2009, dedicata all’artista, il critico Waldemar Januszczak aveva scritto di un dipinto che rappresentava la morte di Sant’Eulalia , una ragazza di 12 anni: «Non sapevo se ridere, piangere o chiamare la polizia».

1 febbraio 2018 (modifica il 1 febbraio 2018, qui, dove potete vedere anche il video della rimozione del dipinto)

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Ma poi, dico, – oltre a tutto il resto, che comunque è già stato detto dai commentatori locali – se sono loro ad adescare lo strafigo, qualcuno mi spiega dove sta la passività? Qualcuno mi spiega dove starebbe il nesso con le povere caste vergini violate dagli orchi a Hollywood ancora traumatizzate dopo vent’anni? Ma va da via i ciapp, va’.
E standing ovation per Frank Zappa.

barbara

Una risposta

  1. Ignoranti. Ecco a voi il bigottismo ateo!

    Se pensano che di ignudi maschili non ce ne sono, le gallerie d’arte ne sono piene, non c’è ingiustizia. Si trovano sia ignudi maschili che femminili nelle gallerie d’arte.

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  2. Ma se sono le Ninfe che rapiscono Ila, che c’entra MeeToo e la violenza contro le donne? Non va bene nemmeno se uno si fa rapire e “stuprare” da un branco di ninfomani arrapate?

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  3. Voglio azzardare una teoria ottimistica: secondo me la decisione è volutamente provocatoria, e il #MeToo usato apposta per scatenare un effetto mediatico (magari proprio per attirare l’attenzione su certe moderne paranoie femministe), proprio come certe opere d’arte che ad un primo acchitto possono sembrare delle stronzate ma che sono fatte apposta per far riflettere e discutere.

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  4. Si coprono i nudi nelle opere d’arte: non è come se un’ombra oscura aleggiasse sulla nostra civiltà?
    Ricordo le statue dei musei capitolini coperte in occasione della visita a Roma del presidente iraniano Rohani, in segno di (salto tutte le varie considerazioni e giustificazioni, e vado all’essenziale) sottomissione. Le mie paure sono infondate?

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