La prima volta è stato a Osirak, il 7 giugno 1981.
MISSIONE «OPERA»
Quella volta, per disarmare Saddam Hussein, gli israeliani non chiesero il permesso a nessuno: «La sorpresa era un elemento fondamentale per il successo dell’operazione Opera» ricorda colui che la guidò. Quella volta, il 7 giugno 1981, l’ultima preoccupazione del generale David Ivry,
allora comandante dell’aviazione militare, era di far firmare una risoluzione all’Onu. In quella missione gettava quattordici piloti, i migliori che aveva [fra cui Ilan Ramon, morto il primo febbraio 2003 nell’incidente dello Shuttle Columbia], la testa del suo premier, Menachem Begin, proprio alla vigilia delle elezioni, e la sua carriera personale, oltre a quelle del capo di Stato Maggiore e del capo dell’Intelligence: «Le resistenze interne furono enormi. La data fu ripetutamente spostata» ricorda adesso il direttore dell’«Opera» che, alle 16 della prima domenica di giugno dell’81 diede l’ordine di decollo agli otto F-16 e ai sei F-15 incaricati di distruggere la centrale irachena.
In gioco c’erano l’isolamento internazionale di Israele e una rabbiosa reazione di tutto il mondo arabo, ma anche il reattore nucleare che Saddam Hussein stava perfezionando a Tammuz, meno di 20 chilometri da Bagdad, con la collaborazione di tecnici francesi e italiani.
L’accordo non era un segreto e, ufficialmente, i laboratori lavoravano a scopi civili, senza secondi fini militari. L’Italia e, soprattutto, la Francia garantivano, il resto del mondo ci credeva, salvo Israele che, per tre anni, e all’insaputa di tutti, studiò il modo più rapido per cancellare la centrale di Osirak dalle mappe e dai suoi incubi. Ci riuscì in un minuto e venti secondi. Per rattoppare i rapporti con Washington, furibonda, e Parigi, oltraggiata, ci vollero poi parecchi mesi, ma è superfluo chiedere a David Ivry se il gioco valesse la candela.
La risposta è nella rassegna di foto a colori appese nel suo ufficio, all’ottavo piano di un palazzo di vetro nel centro di Ramat Gan, vicino a Tel Aviv, dove è tornato da dieci mesi, dopo due anni e mezzo di missione diplomatica negli Stati Uniti: ecco Ivry accanto a Bush padre, accolto da Clinton nella stanza ovale dalla Casa Bianca, congratulato da Bush figlio, da Colin Powell, da Wesley Clark. Dieci anni dopo. «Grazie per aver reso più facile il nostro lavoro durante la Tempesta nel Deserto» gli ha scritto nel ’91 da Washington il ministro della Difesa (ora vicepresidente) Dick Cheney, dedicandogli una foto del rottame nucleare scattata dal satellite. Solo l’orgoglioso Saddam Hussein non ha mai voluto dargli soddisfazione: «Ce la ricostruiremo in pochi anni» sfidò tutti a caldo, senza immaginare che vent’anni dopo avrebbe tenacemente sostenuto il contrario. (Elisabetta Rosaspina, Corriere della sera, 26 febbraio 2003)
[…] Nel caso specifico dell’Iraq guidato dalla dittatura di Saddam Hussein occorre ricordare -durante la riflessione- ciò che accadde il 7 Giugno 1981 a Tammuz, vicino Baghdad: con un’azione di “legittima difesa preventiva” l’aviazione militare israeliana bombardò e distrusse il reattore nucleare di Osiraq. Quella data segna un importante stop al programma iracheno volto alla costruzione della bomba atomica. Quella fu un’azione di guerra o, se si preferisce, una “illegittima azione di pirateria internazionale”, ma a seguito di quell’azione il dittatore Saddam Hussein non possedeva più la capacità tecnologica per dotarsi di armamenti nucleari.
È da ricordare che il 1981 fu un anno terribile per il Medio Oriente: la guerra civile in Libano, gli attacchi militari dal Libano contro Israele, la guerra Iran-Iraq, l’attentato al presidente egiziano Anwar El Sadat… Era insomma in corso l’inferno o giù di lì e TUTTO poteva accadere.
Dopo il 7 Giugno però da quel “tutto” si poteva togliere -almeno per un lungo periodo di tempo- la capacità di un conflitto atomico in Medio Oriente. […] (Federico Falconi, settembre 2002)
“Ai limiti dell’impossibile”, o anche “Oltre i limiti dell’impossibile” potrebbe essere lo slogan di Israele, che dal momento della propria nascita ha compiuto una serie infinita di miracoli davvero “impossibili”, per sopravvivere al costante impegno di chi, tra gli applausi dei buoni di casa nostra, tentava – e tenta tuttora – di portare a compimento l’opera di Hitler. Finora non ci sono riusciti, Baruch Hashem, e non ci riusciranno neanche in futuro.
PS: Certo che un’operazione del genere, volando per oltre un migliaio di chilometri in territorio nemico senza farsi beccare, distruggendo irreparabilmente tutto il reattore in UN MINUTO E VENTI SECONDI e provocando un unico morto, sarò anche fissata, ma chi altro oltre a Israele ci sarebbe riuscito? (E che dire poi di questo splendido esemplare di maschio umano del generale Ivry?)
barbara