AMOS OZ 2

Per integrare l’opera e per concludere bene l’anno. È molto lunga, ma le cose da dire sono oggettivamente molte.

Il 2 Luglio del 2008, ben 10 anni fa, scrissi una lettera aperta ad Amos Oz, pubblicata dal quotidiano Opinione delle Libertà Edizione 135 del 02-07-2008. in risposta a un articolo che Oz aveva scritto per il Corriere della Sera.
Come di prassi copia della lettera aperta fu da me recapitata alla redazione di Via Solferino 24 ore prima della pubblicazione. Non ho mai ricevuto risposta… oggi so che non la riceverò mai più.

Lo scenario ritrae Israele in periodo di guerra
I sondaggi rivelano pronti israeliani e palestinesi
LETTERA APERTA AD AMOS OZ
di Michael Sfaradi

Caro Amos, ho letto, con molto interesse, l’articolo che hai scritto e che è stato pubblicato sul “Corriere della Sera” del 27 giugno 2008. Articolo che hai letto al Teatro “Dal Verme” di Milano in occasione della “Milanesiana”. Sono consapevole che toccare una “sacra icona” come te ha i suoi rischi, ed è per questo che desidero mettere in chiaro che non sto criticando lo scrittore Amos Oz o qualcuna delle sue meravigliose opere, ma non condivido le tue idee politiche e sociali di cittadino del Medio Oriente e dello stato di Israele. Nella prima parte dell’articolo fai una poetica similitudine che descrive la vita nel mondo, triste e decadente, paragonandola a quella che si vivrebbe in un villaggio posto vicino ad un vulcano che minaccia un’eruzione. Una vita vissuta con una spada di Damocle che potrebbe cadere sulle nostre teste in ogni momento. La rappresentazione di una vita fatta di stenti e pessimismo, un continuo andare avanti senza speranza di felicità. Una descrizione che lascia senza fiato il lettore e che porta con se un retrogusto di incertezza per il futuro e restituisce un quadro di squallore in un presente incerto. Poi, parlando di Israele ci dici: “lo scenario ritrae Israele in periodo di guerra, in un periodo di territori palestinesi occupati, di minacce che Israele venga distrutto, di kamikaze, di colonie, di paura esistenziale”. Stai davvero descrivendo la vita in Israele?
A me non sembra che i nostri concittadini vivano così male, al contrario, ogni volta che ho voglia di andare a mangiare in qualche ristorante, di andare al cinema o al teatro, devo sempre prenotare con largo anticipo perché sperare di trovare un posto libero all’ultimo momento è una vera utopia. Scrivi di territori occupati, di kamikaze e di minacce; ma ti sei accorto che con il ritiro dalla striscia di Gaza e da parte della Cisgiordania i territori occupati sono diminuiti di oltre l’80% rispetto a quelli che Israele occupava venti anni fá mentre il terrorismo e le minacce sono aumentati? Hai fatto caso che i kamikaze sono drasticamente diminuiti e questo solo per merito di quel muro di protezione tanto odiato ma che a noi ha permesso di ritornare a vivere una vita normale? Racconti che la tua famiglia fu cacciata dall’Europa, ma non spieghi bene, chiaramente e fino in fondo, che tutto questo non sarebbe accaduto se allora fosse esistito lo stato di Israele. Anche se un mio maestro diceva che la storia “non si fa con i se e con i ma”, ho sempre avuto la sensazione che se Israele fosse stata presente nella storia come stato indipendente, le cose, nel corso dei secoli, sarebbero andate in maniera diversa. Non spieghi che se oggi il popolo ebraico può permettersi di vivere una vita allo stesso livello di dignità degli altri popoli occidentali senza più temere pogrom e persecuzioni, lo deve solo ed esclusivamente alla presenza del suo stato forte, libero e democratico. Mi chiedo quando i “pacifisti a tutti i costi” capiranno che la maggioranza del mondo arabo auspica e lavora, da sempre, per la distruzione dello stato ebraico e che noi siamo in guerra proprio per non permetterglielo. È vero, oggi siamo pesantemente minacciati, ma è anche vero che possiamo difenderci contando solo sulle nostre forze senza dover ricorrere alla benevolenza di nessuno.
Immerso come sei nelle battaglie cultural-pacifiste hai probabilmente perso il contatto con la gente, coloro che difendono la terra e la nazione giorno dopo giorno. Israele, lo stato che da sessanta anni ci permette di decidere il nostro futuro. Sono sessanta anni che, come scriveva il rimpianto Herbert Pagani su “Arringa per la mia terra”, non vogliamo più vivere in mezzo agli altri popoli come gli orfani affidati al brefotrofio e che non vogliamo più essere adottati. Sono sessanta anni che la nostra vita non dipende più dall’umore dei nostri padroni di casa e sono sessanta anni che non abbiamo più bisogno di affittare una cittadinanza. E, per finire, sono sessanta anni che non abbiamo più il bisogno di bussare alle porte della storia e di aspettare che ci dicano: “Avanti”. Dici giustamente che noi scrittori abbiamo la grande responsabilità di pesare la materia con la quale lavoriamo, cioè le parole. Sono d’accordo con te, la storia ci insegna che dalle parole dei cattivi maestri sono usciti pessimi allievi, che da parole brandite come un’accetta si materializza un’accetta vera e propria…io vado oltre, non solo le parole che usiamo possono essere pericolose come l’esplosivo al plastico, ma anche i nostri comportamenti. Mi chiedo come mai non sei venuto alla Fiera del Libro di Torino, eppure Israele era ospite d’onore e tu sei uno dei massimi esponenti della sua letteratura. Visto che l’anno scorso c’eri, e sono pronto a scommettere che ci sarai anche il prossimo anno, come mai proprio nel 2008 sei mancato? Come mai non sei riuscito a trovare neanche mezz’ora per fare visita ad una delle kermesse più importanti al mondo sia dal punto di vista editoriale sia letterario?
La tua presenza avrebbe avuto un rilievo enorme ed avrebbe dato importanza alla tua nazione in un particolare momento di cultura, musica e incontro con la gente che, curiosa ed amichevole, affollava lo stand dove era raccolto tutto quanto di buono Israele realizza per il suo popolo e per il mondo intero. Un momento per certi versi irripetibile, e tu lo hai perso. Non sarà forse che non volevi inimicarti la cara “Sinistra” che aveva deciso lo stolto boicottaggio? Non sarà che se avessi partecipato avresti perso la “carica” di israeliano “buono”? Ricordo la fotografia che ti ritraeva intento a raccogliere le olive dagli alberi di una proprietà palestinese, foto che fece il giro del mondo. Era una protesta, una delle tante che si susseguono giorno dopo giorno, una protesta con la quale non ero d’accordo ma che rispettavo. Non ho mai visto però una tua foto a spasso per le vie di Sderot, se sei andato a far visita e a portare un pizzico di solidarietà alla popolazione di una cittadina israeliana che non dista neanche tanti chilometri da Arad, dove abiti, non si è saputo. Nessuna fotografia è stata pubblicata. Se sei stato a Sderot lo hai fatto mantenendo un basso profilo in modo che non se ne parlasse, perché l’israeliano “buono” non mette in evidenza le ragioni d’Israele, al contrario, le nasconde e si dissocia.
L’israeliano “buono” è critico con il suo governo, giustifica il nemico e quando non lo può giustificare ignora e minimizza quello che fa. Concludi il tuo pezzo improvvisandoti profeta e dando una bella notizia in anteprima: “Dato che tutti voi sentite brutte notizie dalla mattina alla sera, sono venuto qui oggi per portarvene una bella: la grande maggioranza di ebrei israeliani e di arabi palestinesi è già pronta per un compromesso pragmatico e per una soluzione a due Stati. Pronta – non felice. Sia in Israele che in Palestina, una settimana dopo l’altra, i sondaggi rivelano che il paziente – israeliano e palestinese – è pronto, senza particolare entusiasmo, all’operazione volta a creare due Stati confinanti. Il paziente si è già più o meno rassegnato alla necessità dell’intervento – invece sono i dottori a essere fifoni. Con «dottori» intendo i capi di entrambe le parti”. Ma sei sicuro? Dove li ha fatti questi sondaggi? Secondo me sei talmente innamorato della pace che hai dimenticato troppe cose. Per esempio che da anni, non solo sotto la dittatura di Hamas, ma anche sotto il regime della “buonanima” di Arafat, la televisione palestinese ha indottrinato e continua ad indottrinare i bambini con cartoni animati dove i soldati israeliani uccidono e torturano i loro personaggi preferiti, instaurando un odio che non si cancellerà mai, creando generazioni pronte alla guerra e al martirio.
Hai dimenticato che Ahmedinejad ci sta preparando un nuovo olocausto che, a differenza del primo dove ci gasavano e poi ci bruciavano, questa volta ci vogliono servire la bruciatura nucleare… tutto in uno. Hai dimenticato che Hetzbollah, la mano militare dell’Iran, non ci darà mai pace, non ci farà mai vivere un giorno tranquillo ai nostri confini del Nord, esattamente come farà Hamas sempre più forte e più armata con i nostri confini a Sud. Nella tua euforia pacifista dimentichi che il fine di tutta questa gente è la distruzione del nostro stato prima di cominciare a costruire il loro, altro che la pace che profetizzi e che vedi solo tu e pochi altri sognatori. Dici che la gente è pronta… a che cosa? A dividere Gerusalemme? Ne sei così sicuro? A scendere dalle alture del Golan e rimettere tutto il Nord est di Israele sotto il tiro delle artiglierie siriane? Hai dimenticato quello che succedeva prima della guerra del 1967 quando giorno dopo giorno i villaggi e i kibbutz di frontiera erano sotto tiro esattamente come lo sono attualmente Sderot, Askelon e i kibbutz del Neghev? A chi vuoi far credere che da parte palestinese la maggioranza della popolazione si sia rassegnata alla pace? Ed anche se fosse, è giusta una pace che nasce da una rassegnazione e senza entusiasmo?
Cosa accadrà quando al posto della rassegnazione si insinuerà nei cuori della gente la rivendicazione? Una nuova guerra? Con questa prospettiva che senso ha una pace con le sembianze di una cattedrale nel deserto dalle fondamenta di fango? No, caro Amos, non deve essere la rassegnazione la base di una pace, ma l’accettazione dell’altro, della sua storia, della sua religione e delle sue tradizioni come vicino di casa. Un vicino con il quale si riesca a vivere in armonia, in collaborazione e nel rispetto nonostante le diversità. Perché mai i “dottori”, cioè i capi, dovrebbero essere “fifoni”? Fino a prova contraria non sono loro che vanno a combattere, ma il popolo. Forse, la mia è solo un’ipotesi, non se la sentono non perché hanno paura, ma semplicemente perché capiscono che i presupposti per una pace non ci sono. Da dove si vede tutto questo? Semplice… non esiste un Amos Oz Palestinese, Iraniano o Siriano, ed anche se nascesse tutto mi fa credere che non vivrebbe a lungo a meno di non rifugiarsi in occidente. Shalom con amicizia.

Oggettivamente, parlandone come da vivo, o era un coglione in buonafede, o era un bastardo in malafede. In nessuno dei due casi ci fa una gran figura, e in entrambi è stato un pericolo pubblico per Israele.

barbara

AMOS OZ 1

(Anche se ne avevo già parlato qui), perché è giusto dire pane al pane

Amos Oz: Risveglio mancato.

Di Niram Ferretti

Postato il 29 dicembre 2018

Amos Oz è stato tra i più celebrati scrittori israeliani degli ultimi decenni e, insieme ai due colleghi David Grossman e Abraham Yehoshua, ha rappresentato il tipico esempio dell’artista-intellettuale progressista molto critico nei confronti dello Stato ebraico, seppure dichiaratamente sionista, che così tanto è piaciuto e piace all’Europa post-identitaria e filo palestinese di oggi, e soprattutto al milieu salottiero accademico, politico e letterario degli esecratori professionisti di Israele.
Amos Oz, come Yitzhak Rabin e Shimon Peres era già in vita una icona, quasi un santino, quello dell’uomo dello slancio e della speranza, della spem contra spem, o meglio, dello sprezzo della realtà. Non fu responsabile, come Rabin e Peres, di avere prelevato dal cono d’ombra in cui era finito, il lord of terror Yasser Arafat, per insediare lui e la sua organizzazione criminale nel cuore di Israele, ma fu responsabile di tanti bei gesti, pensieri e parole che hanno costantemente negato la verità dei fatti, cercando di piegare la loro proterva indocilità alle sue nobili astrazioni. In questo assomigliava un po’ a Judah Leib Magnes, rabbino e pacifista, fondatore e cancelliere dell’Università ebraica di Gerusalemme, il quale, nel 1926, fondò insieme a Martin Buber, il movimento Brit Shalom (alleanza per la pace) il cui obbiettivo era quello di creare in Palestina un ponte tra ebrei e arabi. Nel 1929, il movimento si stava già disintegrando sotto la pressione dei tumulti arabi e delle 130 vittime ebree che essi provocarono. Nel 1948, durante la guerra civile tra arabi e israeliani Magnes capì che i suoi ideali si erano infranti definitivamente. La realtà, nella sua incalzante brutalità, aveva smentito tutti i suoi assunti.
Il 21 giugno del 1982, Oz scrisse su Yediot Aharonot una lettera aperta a Menachem Begin, quando la guerra del Libano era iniziata da sedici giorni, lettera in cui lo scrittore faceva presente al primo ministro in carica che Hitler era morto da 37 anni e la morte di migliaia di arabi non avrebbe guarito la “ferita intatta” di non avere potuto uccidere con le proprie mani il dittatore nazista.
Già, gli arabi e la sofferenza a loro inflitta, sono sempre stati al centro dei pensieri di Amos Oz, del suo umanesimo incondizionato, e dunque sterile, autoreferente. È sempre lui che, in un’altra occasione, inviò in carcere al pluriomicida Marwan Baraghouti, a capo, durante la Seconda Intifada, delle sezioni più estremiste di Fatah, la Brigata Tanzim e quelle dei martiri di Aksa, responsabili dell’uccisione di più di cento persone soprattutto civili tra il 2001 e il 2006, una copia del suo libro più famoso Una storia di amore  e  di  tenebra. Il libro era accompagnato da una dedica sentita, “Questa storia è la nostra storia. Spero che la leggerai e ci capirai meglio come noi cerchiamo di capire te. Sperando di incontrarci presto in pace e libertà”. Pace e libertà con chi ha fondato la propria ragione d’essere sull’odio per Israele. Ma per Amos Oz la volontà omicida arabo-palestinese era convertibile in bene.
Nel 2010, in un intervento pubblicato sul New York Times definì Hamas “Non solo una organizzazione terroristica. Hamas è una idea disperata e fanatica nata dalla desolazione e dalla frustrazione di molti palestinesi”. L’Islamismo, la fedeltà assoluta a un idea di mondo fondata sulla sottomissione piena, politica, civile, religiosa, al volere di Allah, il profondo compatto antisemitismo nato da una fusione tra quello teologico coranico e quello di importazione nazista, tutto questo, per lo scrittore israeliano era “una idea disperata e fanatica nata dalla desolazione e dalla frustrazione”.
Nel 2016 fece sapere al Ministero degli Esteri israeliano che non avrebbe più partecipato ad eventi sponsorizzati dal governo in carica ritenuto, contro ogni evidenza, il principale responsabile della pace interrotta. A chi gli chiese se questa decisione non avrebbe rafforzato gli adepti del movimento di boicottaggio contro Israele, Oz rispose candidamente che lui non sosteneva il BDS, come se dissociarsi dalle iniziative promosse dal governo in carica non avrebbe portato acqua al mulino degli odiatori professionisti, di coloro che cercano costantemente di danneggiare Israele con parole e fatti.
In compenso è stato orgoglioso sostenitore di B’Tselem, la ONG israeliana di estrema sinistra finanziata con capitali stranieri che da anni ha come obbiettivo quello di presentare Israele come uno stato criminale, e il cui direttore, Hagai El-Ad, l’ottobre scorso all’ONU, seduto accanto a Riad Mansour, rappresentate del virtuale Stato palestinese attaccava il suo paese costringendo Benjamin Netanyahu a dichiarare:
“Mentre i nostri soldati si preparano a difendere Israele, il direttore di B’Tselem sceglie di dare all’ONU un discorso pieno di menzogne in un tentativo di aiutare i nemici di Israele. La condotta di B’Tselem è una disgrazia che verrà ricordata come un breve e temporaneo episodio nella storia della nostra nazione.”
Ripetendo il verbo di B’Tselem, nel 2016, Oz scriveva in una lettera, “L’occupazione quest’anno compie già 49 anni. Sono certo che debba finire al più presto per il futuro dello Stato di Israele, un futuro a cui dedico il mio impegno profondo. In considerazione delle politiche sempre più estreme del governo israeliano, chiaramente intenzionato a controllare i territori occupati espropriandoli alla popolazione locale palestinese, ho appena deciso di non partecipare più ad alcuna iniziativa in mio onore delle ambasciate israeliane del mondo”.
Testo grossolano, da travet della propaganda, perché si può essere scrittori di talento e al contempo mediocri portavoce delle parole altrui, in cui rifulgono falsità palesi. Oz, infatti non poteva non sapere che quell’”occupazione” di cui parlava, il feticcio persistente della propaganda palestinese e fatto proprio dalla sinistra occidentale è una menzogna ricorrente, venuta meno definitivamente con gli Accordi di Oslo del 1993-1995 e la ripartizione della Cisgiordania in tre aree separate, di cui l’Area A, sotto piena sovraintendenza palestinese, quella B sotto gestione mista e solo quella C, che in un futuro accordo verrebbe comunque ceduta a Israele, interamente sotto tutela israeliana. Così come non poteva non sapere che mai nessun accordo aveva destinato la Cisgiordania a un futuro Stato palestinese, ma semmai la Conferenza di San Remo del 1920 e il Mandato Britannico per la Palestina del 1922 l’avevano destinata al popolamento ebraico.
Diversamente da Judah Leib Magnes, che si riebbe dalle illusioni giovanili e tornò negli Stati Uniti per morirvi, con il timore che gli arabi avessero tutto il tempo a disposizione per distruggere Israele (e i fatti gli diedero terribilmente ragione, nel 1967 e poi ancora nel 1973, e poi di nuovo con le due intifade), Amos Oz non si è mai riavuto, passando dalla mobilità dell’utopia, alla rigidità dell’ideologia.

Solo in una cosa dissento da Niram Ferretti: le doti letterarie. alcuni suoi libri non mi sono dispiaciuti, ma il “capolavoro della sua vita,” Storia di amore e di tenebra, non sono neppure riuscita a leggerlo. Ho resistito eroicamente finché ho potuto con quell’indigeribile mattone, ma alla fine non ce l’ho più fatta. La cosa curiosa è che ero convinta di essere arrivata a metà, e invece quando l’ho ripreso in mano, arresa all’evidenza che non sarei mai riuscita ad andare avanti, per metterlo sullo scaffale, ho trovato il segnalibro a pagina 150, ossia a un quarto: tanto mi era pesato, che ero convinta di essermene sorbita il doppio. e di quel quarto non ricordo assolutamente niente.

barbara

VOLETE FARVI DUE RISATE?

Quello che segue è un “dialogo” sviluppatosi su youtube sotto il video di Piero Angela al pianoforte che ho postato recentemente.
Mr.R

Sono l’unico infastidito dal fatto che tutti gli diano del “tu”? Fosse per me gli darei del “voi”.

[…]

In un commento poi cancellato NDS racconta che aveva salutato un personaggio televisivo che considerava intelligente dandogli del tu e lui è stato così maleducato da non rispondere al saluto e allora lei ha smesso di considerarlo intelligente, visto che le aveva così clamorosamente mancato di rispetto.

io
Sei stata tu per prima a mancargli di rispetto dandogli del tu. La sua è stata la reazione più logica alla tua maleducazione.

NDS
Ho cancellato tutti i commenti per colpa della tua cattiveria, identica alla maleducazione di quel cafone arrogante misogino di Marzullo. Nonostante l’ammirazione nei confronti di Piero Angela non sono disposta a farmi massacrare da gente presuntuosa e saccente come te e altri su you tube. Andate a scuola di sensibilità invece di discutere del tu e del voi per ore. Buona vita

io
E tu vai a scuola di educazione, ragazza, che ne hai tanto bisogno.

NDS
Io ero a Teatro e non al mercato. Anche Rosanna Lambertucci mi ha detto non se la prenda splendida ragazza. Lei è davvero stata una persona deliziosa.

NDS
Posso chiederti gentilmente cosa fai nella vita oltre attaccare le donne?

io
Mai attaccato donne in vita mia (neanche uomini, se è per quello), mi limito a criticare le persone maleducate, donne o uomini che siano. Se ti sei sentita attaccata, e oltretutto in quanto donna, stai dimostrando una gigantesca coda di paglia, come del resto già si era capito.

NDS
io ho salutato, marzullo no. È troppo difficile capire chi è il maleducato in questa situazione? Tu non stai bene…ma davvero eh?

NDS
Dammi il tuo nome e cognome immediatamente

NDS
Adesso mi incazzo.

NDS
Vigliacca, non hai neppure il coraggio di postare nome e foto. Muori bastarda

NDS
Forza Barbarella, di cosa hai paura?

NDS
OH… Veloce… Che adesso scendo al tuo livello…

NDS
Marzullo è gay. Questo ti dà fastidio. Non lo avrei detto se tu non avessi iniziato ad insultare

NDS
Comunque non c’è nulla di male nell’essere omosessuali. E i miei migliori amici lo sono col la differenza che sono brave persone e non come la materia oscura

io
Curati ragazza, che ne hai molto bisogno. Passo e chiudo, che trattare con ragazzine isteriche non è davvero il mio hobby preferito.

Sì insomma, risate si fa per dire. Notare che gli ultimi commenti, che ho visto tutti insieme, si sono susseguiti in una manciatina di minuti, come se uno dovesse essere lì pronto a rispondere in tre secondi, non avendo nient’altro da fare nella vita, fosse pure una pisciata. Certo che ce n’è di gente messa male in circolazione (e meno male che i suoi migliori amici non sono ebrei).
PS: ho visto che ha eliminato tutti i suoi commenti, così per rimediare ho postato tutto lo scambio. Se lo segnala e lo fa eliminare d’ufficio glielo rimetto, e vediamo chi si stanca prima.

barbara

PER CHIARIRE UN PO’ DI COSE

a proposito della moda del “Gesù migrante” e altre analoghe genialate.

IL “CRISTO MIGRANTE”, TEORIZZATO DALLA CHIESA BERGOGLIANA, NON C’ENTRA NIENTE COL VERO GESU’ DEI VANGELI. ECCO LA VERA STORIA.

antoniosocci.com/il-cristo-migrante-teorizzato-dalla-chiesa-bergogliana-non-centra-niente-col-vero-gesu-dei-vangeli-ecco-la-vera-storia/

Naturalmente “vera storia” vale per chi crede alla lettera a quanto scritto nei Vangeli e nelle altre Scritture. Ma dato che i paladini dell’accoglienza a 360° in nome di Gesù migrante sono ovviamente dei buoni cristiani, è scontato che per loro non c’è una sola parola delle suddette Scritture che non sia verità divina, cioè assoluta e indubitabile. E che mistificarla e stravolgerla in nome di un’ideologia è peccato grave.

Dal 2013, anno di arrivo di papa Bergoglio, ad ogni Natale, immancabilmente, si rilancia l’idea della Sacra Famiglia come una famiglia di migranti. Con un evidente sottinteso politico.
Quest’anno papa Bergoglio ha perfino fatto inviare una lettera, della “sezione migranti” del Vaticano, a don Biancalani, che si conclude con la formula: “In Cristo Migrante”.
In diversi luoghi si allestiscono presepi bergogliani sul tema migratorio. Ad Acquaviva delle fonti, in provincia di Bari, hanno realizzato un presepio (vedi foto) dove Giuseppe e Maria sono due migranti che stanno affogando in un mare di bottiglie e Gesù bambino (di colore) sta dentro un salvagente.
presepe migranti
[Per inciso, se mettete la barba a san Giuseppe, non diventa Che Guevara preciso sputato?]

Ma è fondata questa idea del “Cristo Migrante”? La risposta è semplice: no. Il Vangelo racconta una storia del tutto diversa.

LA VERA STORIA

Intanto va detto che il popolo d’Israele, duemila anni fa, soffriva la dominazione romana ed era così forte l’anelito alla libertà e all’indipendenza che immaginava il Messia come liberatore politico del suo popolo dall’oppressione dello straniero.
I Romani imposero un censimento dei loro sudditi. Così anche Giuseppe e Maria partono da Nazaret (dove abitava Maria e dove, probabilmente, viveva anche Giuseppe) verso Betlemme, non come migranti verso una terra straniera, ma, come tutti gli ebrei del tempo, per espletare le pratiche del censimento.
Siccome Giuseppe – che era il capofamiglia e quindi il “rappresentante legale” – apparteneva alla tribù di Giuda, per la precisione al casato di re Davide – dovettero andare a Betlemme che era la città d’origine della sua famiglia.
Ciò significa che andando a Betlemme non emigrarono in una terra straniera, anzi, il contrario: Giuseppe tornò nella sua patria, nella quale egli era addirittura conosciuto come uomo di stirpe regale.
Anche se la discendenza davidica, nel corso dei secoli, era decaduta e Giuseppe faceva l’artigiano (diciamo che apparteneva al ceto medio di allora), formalmente poteva essere considerato un principe nella sua terra.
Probabilmente, a Betlemme, Giuseppe aveva ancora delle proprietà, un po’ di terra, perché in seguito Egesippo, al tempo di Domiziano, testimonia che i parenti di Gesù sono ancora vivi e conosciuti e hanno dei campi che lavorano personalmente e che, secondo gli storici, dovevano trovarsi proprio nell’“ager Bethlemiticus”.

L’ALBERGO

Il viaggio verso Betlemme, in carovana con altri, durò qualche giorno e fu molto faticoso perché Maria era al nono mese di gravidanza e all’arrivo a Betlemme già stavano cominciando i segni del parto imminente.
Il Vangelo di Luca ci dice che “non c’era posto per loro nell’albergo” (2,7). Ma cosa significa in questo caso la parola “albergo”? E perché “per loro”?
Non si tratta degli alberghi di oggi. Siccome Betlemme era un punto di passaggio delle carovane che scendevano in Egitto, lì si trovava, da tanto tempo, un luogo di sosta per tali carovane (appunto un caravanserraglio, in ebraico “geruth”, foresteria) che era stato costruito da Chamaan, forse figlio di un amico di Davide.
Giuseppe Ricciotti, nella sua “Vita di Gesù Cristo” spiega che, all’arrivo di Maria e Giuseppe, “il piccolo villaggio rigurgitava di gente, che si era alloggiata un po’ dappertutto a cominciare dal caravanserraglio”.
Il quale era “un mediocre spazio a cielo scoperto, recinto da un muro piuttosto alto” con “un portico di riparo” e con “le bestie che erano radunate in mezzo al cortile”.
In quel frastuono di gente ammassata “si questionava d’affari e si pregava Dio, si cantava e si dormiva, si mangiava e si defecava”.
Perciò quando l’evangelista dice che “non c’era posto per loro”, bisogna intendere – spiega Ricciotti – che per le particolari condizioni di Maria, in procinto di partorire, non era un luogo adatto. Non c’era la riservatezza che era necessaria a una giovane partoriente.
Non si sa se Giuseppe poté cercare nelle case di amici e parenti (anch’esse piene di gente) o se – vista l’assoluta urgenza – decise velocemente di riparare nella solitudine di quel ricovero per animali che forse poteva trovarsi proprio nella terra di sua proprietà.
Anche quello era ovviamente un luogo sporco, ma se non altro era solitario, tranquillo e garantiva la riservatezza.

STABILITI A BETLEMME

Dopo il parto, fatto in condizioni di emergenza, Giuseppe poté trovare subito un alloggio e infatti la famiglia di Gesù si stabilì col bambino a Betlemme, che era appunto la città di Giuseppe e di Gesù, il quale, non a caso, da adulto verrà definito dalla gente “figlio di David”, discendente di Re David (come le profezie dicevano del Messia). Gesù in effetti era anche lui di stirpe regale, era un principe del suo popolo.
Proprio questo scatenò Erode. Avendo saputo, nei mesi successivi alla sua nascita, dai Magi, che era venuto alla luce un potenziale pretendente al regno d’Israele e che era nato a Betlemme, Erode (idumeo per parte di padre e arabo per parte di madre) cercò di eliminarlo.
I Magi, che arrivarono a rintracciare Gesù alcuni mesi dopo la sua nascita (quindi in una abitazione di Betlemme, non più nella grotta), avevano lasciato al bambino oro incenso e mirra.
Quell’oro fu molto importante per la Sacra Famiglia che dovette sfuggire a Erode. Perché permise loro di andare in Egitto (che era sempre sotto i Romani) e lì stabilirsi finché non fosse morto Erode.

FUGA E RITORNO A CASA

Dunque: la fuga della Sacra Famiglia non era dovuta a volontà di emigrazione, ma alla prima persecuzione anticristiana.

[Giusto per amore di verità storica, ritengo doveroso precisare che Gesù, nato in Giudea da genitori ebrei, circonciso al Tempio nell’ottavo giorno dalla sua nascita come tutti i bambini ebrei, e che in seguito fece, sempre al Tempio, il Bar Mitzvah all’età di dodici anni come tutti i ragazzi ebrei, era ebreo sotto ogni punto di vista. Il cristianesimo era molto di là da venire (“Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per adempiere. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.”, Matteo 5, 17-19. Come religione nuova, separata dall’ebraismo, ha avuto inizio diversi decenni dopo la sua morte); quella da cui stavano fuggendo non era una inesistente e impossibile persecuzione anticristiana, bensì una banale persecuzione personale per ragioni dinastiche]

Quindi, se proprio vogliamo ricordarli come profughi, bisognerebbe parlare degli odierni cristiani perseguitati più che degli attuali migranti, i quali, come si sa, sono mossi perlopiù da ragioni economiche e di lavoro. Eppure nessuno parla delle vicende della Sacra Famiglia rammentando i cristiani perseguitati di oggi come invece si dovrebbe.
In secondo luogo non era in corso una migrazione di massa verso una terra straniera. Né in Egitto c’erano campi profughi sovvenzionati e pagati dalle casse pubbliche dove si poteva stare a lungo.
In Egitto Giuseppe mantenne la famiglia svolgendo il proprio lavoro per alcuni mesi. Ma già l’anno successivo seppero della morte di Erode e così la famiglia di Gesù ritornò a casa, scegliendo stavolta Nazaret, il villaggio di Maria (dove probabilmente aveva abitato anche Giuseppe).
Lì vissero stabilmente e Gesù stesso esercitò il mestiere del padre fino all’inizio della sua vita pubblica. Dunque non si vede come si possa accostare la loro vicenda agli odierni flussi migratori di massa.

ULTIMO EQUIVOCO

C’è un ultimo equivoco da chiarire. Il prologo del Vangelo di san Giovanni dice: “il mondo fu fatto per mezzo di lui,/ eppure il mondo non lo riconobbe./ Venne fra la sua gente/ ma i suoi non l’hanno accolto”.
Queste parole non si riferiscono a una mancata accoglienza di un inesistente “Gesù Migrante”, ma alla mancata accoglienza del suo annuncio. Infatti Gesù morì crocifisso. Si riferisce cioè alla fede cristiana.
Gesù non venne nel mondo per sponsorizzare la caotica politica migratoria oggi auspicata dai globalisti, ma venne per annunciare che Dio si è fatto uomo ed è presente in mezzo a noi per sconfiggere il male e la morte.

Antonio Socci

Da “Libero”, 10 dicembre 2018

Se invece succedesse oggi…
Maria Giuseppe Betlemme
barbara

BARBARA

barbara 1
Il nome l’ho scritto io, tutte le altre cose le hanno messe, una per ciascuno, i compagni del gruppo di teatro alla cena dell’altra domenica a casa della nostra maestra. Ingrandisco due dettagli affinché si possa leggere, perché ne vale la pena.
barbara 2
barbara 3
Le pieghe sul cartoncino sono venute fuori perché quando siamo usciti diluviava e io non avevo l’ombrello e ho dovuto tenerlo sotto la giacca. Però è bellissimo lo stesso.

barbara

SARÒ MALIGNA IO

ma di fronte al coro unanime di esultanza per la splendida velocità e serietà ed efficienza della giustizia marocchina, senza i ridicoli orpelli di avvocati e affini che deturpano la nostra, e le invocazioni ad assumere il re del Marocco come nostro ministro della giustizia, a me invece una sentenza pronunciata in cinque minuti – una sentenza di morte, in particolare, e con esecuzione immediata – suscita sempre il sospetto che si voglia chiudere il più velocemente possibile la bocca a qualcuno che potrebbe dire cose scomode. Insieme a qualche consistente sospetto sulla reale identità dei giustiziati e sul loro reale rapporto coi fatti per i quali sono stati condannati. Quanto a quelli che reclamano di vedere il video della decapitazione, augurandosi che la lama sia arrugginita e poco affilata e che il boia abbia la mano malferma, mi fanno quasi altrettanto orrore degli assassini. E il quasi è puramente decorativo.

barbara