RESILIENZA

Vacchi-Resilienza
resilienza
Pescato su FB da mia cugina. A dire la verità non lo so se il termine sia stato coniato in riferimento a quello, ma l’accostamento mi sta bene.

Guarda penso a mia nonna che ha passato 2 guerre la fame perso 5 figli il marito patito la fame e vissuta fino a 90 anni prendendosi la sua felicità… E colei era resiliente o mio fratello con 3 interventi a cuore fermo con metri di cicatrici ecco lui è resiliente. Perciò chi lo dice a cazzo si becca un fanculo

risposta di tale Francesca: Ma pure due!

Del vaccoso signore mi ero già occupata qui.

Di mio aggiungo: resilienti sono le soldatesse curde che combattono l’ISIS

Resilienti sono le donne iraniane che sfidano il governo ballando per strada, sapendo di rischiare frustate e prigione

Resiliente è un uomo che, colpito prima da SLA e poi da un tumore al cervello, continua con fatica e sofferenza ma con indomito coraggio a regalarci la sua arte.

barbara

Una risposta

  1. Il termine resilienza l’ho trovato su manuali tecnici anche molto vecchi, uno risalente agli anni Venti del Novecento, e lì indica (tuttora) la resistenza a sforzi dinamici, come un urto (la voce di Wikipedia italiana è abbastanza corretta). La si misura in genere con uno strumento chiamato “pendolo di Charpy”.
    Penso non abbia avuto all’origine significati metaforici.

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    • Sì, il significato originario è quello tecnico di resistenza a urti e sollecitazioni, poi ad un certo momento si è aggiunto il significato metaforico di riuscire a reagire positivamente ad eventi traumatici, e questo non so quando sia avvenuto.

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  2. Ciascuno ha le sue esperienze lessicali, però mi sembra impossibile di avere incontrato il termine solo in senso tecnico fino a una decina di anni fa, e non essermi mai accorto dell’uso figurato.

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  3. leggevo il riquadro viola.
    prima di tutto si dice resilienza, con la i.
    e poi no, niente affatto, il termine non fu coniato per quello.

    il termine è un termine tecnico che qualsiasi geometra conosce dalla seconda superiore: “Capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.” – io non sono geometra, mio padre lo era, ed è nato prima che i campi di concentramento venissero anche solo concepiti. Anche vari miei amici che studiano “tecnica dei materiali” (istututi tecnici per geometri, anche loro) lo conoscono bene.

    POI è stato adattato dagli psicologi. Ma vale per i campi di concentramento come per altri. Oggi tutti pensano di appropriarsi di termini e del linguaggio come se questo fosse nato assieme a loro. Se un termine ha un significato, si può usare, con quel significato. Il secondo significato è in ambito psicologico “la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà”. Se usato a proposito, con il significato corretto, è una parola e stop, non ne convieni?

    Non troppo tempo fa una caratteristica molto diffusa nella comunicazione su internet, nei luoghi condivisi, quelle che sono le cosiddette “community” (cosa che Facebook è) , era la netiquette. Niente meno che imparare l’educazione, a comportarsi, anche in questo luogo così virtuale: una delle caratteristiche richieste in primo luogo era il cosiddetto periodo di “lurking”, cioè ascoltare senza parlare, leggere senza chiedere per la millesima volta ciò che era stato già detto. Un po’ come per tutti oggi dovrebbe essere: fare prima i compiti a casa (tipo: studiare, accertare di sapere, di aver capito, non perché si crede di aver capito) … e poi parlare.

    Questa pratica è scomparsa. Tutti arrivano e dicono. Sanno.

    Vedo qui di fianco le foto di Leone: ad un certo punto Leone farà così: anche lui ti tratterà come uno che “sa”, solo perché ha sentito una parola nuova. E tu forse sorriderai, ricorderai che tu esistevi quando lui non era nemmeno un pensiero.

    Credo che la calma per affrontare le puttanate arrivi quando ormai siamo tutti molto molto vecchi… e ci serve poco. Ma è così da sempre, no? 🙂

    buona giornata!

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    • Sì, lo sa che si scrive con la i, infatti poi nel testo l’ha messa: chiaramente si tratta di una svista. Mia cugina è tanto una cara ragazza ma un po’ pasticciona; qualche difetto lo abbiamo tutti, bisogna portare pazienza.
      Del significato originale in ambito tecnico è stato ampiamente parlato nei commenti, è ovvio che il post parla di quello metaforico, e si è anche discusso – da me per prima nel testo stesso del post – su quando e a proposito di che cosa sia stato inizialmente usato. Ci sono un’infinità di termini tecnici che hanno anche un significato metaforico, e non credo che qualcuno pensi che questi termini siano nati insieme a lui; che poi siano addirittura sette miliardi e mezzo di persone (“tutti”) a pensarlo, mi sembra francamente un’ipotesi azzardata. E che cosa farà Leone sinceramente non lo so: non lo conosco così bene come te. Naturalmente tutti conveniamo sul fatto che questi termini siano parole; non sono però del tutto sicura che le parole siano “parole e stop”: se così fosse non esisterebbe la poesia, e non esisterebbe il teatro, e non esisterebbero le varie funzioni del linguaggio, quella espressiva, quella cognitiva, quella fàtica, quella conativa, quella metalinguistica…
      Quanto alla cosiddetta netiquette sui social, da sempre ne sento parlare, ma per la verità non l’ho mai vista applicata. Tu, per esempio, prima di scrivere il commento hai letto quelli precedenti che puntualizzano esattamente le stesse cose che hai poi puntualizzato tu?

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      • hai perfettamente ragione sull’ultimo punto, mentre premevo “SEND”, proprio per quello, mi sono sentito in difetto e sono andato a leggere e hop… ho visto che qualcuno ne aveva parlato; ma non posso premere “cancella”, su FB avrei potuto, non per pudore, ma proprio per ridondanza.
        E si, certo, si, le parole sono PRIMA parole e basta. Tutti gli altri usi richiedono sovrastruttura. Mentre la funzione primaria delle parole è definire dei concetti elementari su cui noi tutti dobbiamo convenire. Verde è prima il colore verde. Poi per estensione sarà altro.
        Ma se uno usa a proposito il termine con il significato che una comunità (ad esempio uno Stato) conviene, il fanculo ci starà anche, ma sembrerebbe un abuso.
        E non conosco Leone, non so neanche se ormai ha 30 anni. Ho visto una foto.
        Ad ogni modo lascio subito, credo ci sia una tensione preesistente e poca voglia di ricevere commenti che non siano perfettamente aderenti al pensiero già scritto.
        Poco utile lasciare aperti i commenti in questo senso ma… per carità: peace & love a tutti.

        Io alla netiquette mi sono disabituato, ma l’ho usata per anni; su usenet era abitudine (ottima, assieme alla moderazione: la scrematura lasciava solo roba utile) … poi le cose sono un po’ peggiorate con i primi forum… e poi sempre peggio. I tempi cambiano, si vede.

        Se hai percepito fastidio: non era l’intenzione dell’intervento.

        Pazienza 🙂 bye!

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        • e poca voglia di ricevere commenti che non siano perfettamente aderenti al pensiero già scritto.
          Questo è processo alle intenzioni, e non è bello.
          Le parole no, non sono mai solo parole. “sao ko kelle terre” non sono quattro parole: sono la nascita di una nuova lingua. E tutti gli altri usi richiedono semplicemente comprensione e consenso: se di un brano musicale ti dico che è “andante” tu non mi chiedi dove va, perché sai benissimo che cosa significa. Non è una sovrastruttura, è semplicemente un altro significato della parola. Viola è un fiore (anzi due, per la precisione), un colore, uno strumento musicale: qualcuno di questi è una sovrastruttura? Il riferimento a una squadra di calcio forse (forse) lo è, gli altri tre no. Verde, sicuramente, prima di essere un partito politico e la qualifica di un tipo di benzina è un colore. Che a te evoca un prato, a me un fenomeno atmosferico tropicale, a un altro una mela, uno smeraldo, un mare in tempesta, e può essere verde chiaro, scuro, scurissimo, caldo, freddo, verde bandiera, bottiglia, erba, pisello, mela, smeraldo, lime, acqua, pino, felce, oliva, giada, veronese, persiano… Solo una parola? Non scherziamo! Ogni parola è un mondo intero!

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        • Non scherzo. Prima di tutto questo c’è il suo significato primario, e poi gli altri. Quelli che servono a capirsi. Prima di qualsiasi altra cosa.
          Quello che ci ha differenziato da scimmie che grugniscono e che quando dicono “noce” intendono “quella cosa che prima indicavo col dito, questa cosa qui”.
          Che è poi quello che facciamo quando non conosciamo una lingua. Dobbiamo capire “tu questa cosa qui come la dici?”.
          E ti dicono la parola.
          Ed ecco.
          Sono livelli di linguaggio differente, registri e così via.
          Ma le parole hanno un significato. La prima cosa per viola è il colore.
          Questo non vuol dire che io (e io non sono nessuno, per carità, io e tanti altri) non gli riconosca le potenzialità… ma il guaio oggi è di tutta questa quantità di persone che “secondo me” o di “io intendevo”.
          Le cose significano quello che significano. le parole sono state coniate per esprimere un preciso concetto, primariamente. Poi viene il resto.
          Come resilienza.
          Il suo significato è quello della scienza dei materiali. L’uso psicologico (già codificato come convenzione comune e quindi condivisa nel suo secondo significato, ma quello, preciso) è venuto dopo, come figurato… come spesso accade per parole che significano qualcosa di preciso… e poi si trasportano. Ma anche li: se ognuno intendesse qualcosa di diverso…

          … ma infatti è strano: alla fine il tuo post, proprio su questo, dice che “ti becchi un fanculo” 🙂

          ad ogni modo credo che nonostante tutto ci siamo capiti.

          E questo grazie al fatto che condividiamo lo stesso significato di questi segnetti e questi suoni.

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        • vocabolo, significato, accezione …
          sono tutte cose che ci dicono molto, no?
          vocabolo : è quella cosa che sostituisce quello che devo fare con la voce per “chiamare” quel concetto, che sia astratto o concreto. Una volta fatto questo non devo indicarlo col dito per chiamarlo.
          Significato: “che è stato reso segno” : UN segno.
          E per un vocabolo con più accezioni, resta comunque la convenzione comune, non si scappa: sono elencati in un posto che ci dice cosa, per tutti, significhi quel vocabolo, persino nelle varie accezioni, indicato il contesto. Non si scappa: quella parola significa QUELLO in quel determinato contesto, e non significa altro, ma proprio quello. E quindi quando lo uso in una delle accezioni che sono frutto, tutte, di convenzione comune, posso farlo. Sono solo parole, non hanno la medaglia d’onore perché le hanno coniate in occasione della guerra. Se il significato (accezione, ok?) è quello, è quello.

          E per quanto possiamo farne poi poesia (evviva la poesia) mi sembra che …

          … che perdiamo tempo 😀
          Quindi mi fermo 🙂
          e tolgo il disturbo. Per il quale chiedo scusa.

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        • La prima cosa per viola è il colore.
          Sbagliato!
          Pienamente d’accordo sul fatto che la parola significa quello che significa e non puoi dirmi sì ma io lo intendo in quest’altro modo. Però… Leggendo persone che tentano di affrontare ragionamenti su temi per i quali non hanno né competenza né intelligenza sufficienti, o che si arrampicano sugli specchi tentando di dimostrare l’indimostrabile o di trovare una scappatoia alle cazzate che hanno detto, mi capita di dire “attento che ti grippa il cervello”. Grippare non si riferisce al cervello, si riferisce al motore a cui viene a mancare l’olio. Nessun dizionario codifica un significato metaforico del verbo grippare. Domanda: hai capito quello che ho detto al mio interlocutore? Se lo hai capito, significa che nonostante tutto, un margine di manovra, intorno alle parole, c’è.
          alla fine il tuo post, proprio su questo, dice che “ti becchi un fanculo”
          Al Vacchi? Sì, sicuramente, ma mica solo per questo.

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        • Bene Barbara! Mentre mi dai torto, mi dai ragione 🙂 Il primo significato, quindi uno dei possibili significati stratificati col tempo, non per gioco, non perché “io intendo”, è una precisa accezione. E’ una parola, e significa qualcosa a seconda del suo uso comune, frequente, del contesto. Ma non altro, Ha quei significati, non per gioco, non per un esercizio di stile nella creazione di un neologismo, che pure ha le sue regole per sopravvivere oltre la stagione.
          Quello io dicevo.

          Sai cosa? Che secondo me in realtà siamo perfettamente d’accordo 😀

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        • Eh no, scusa, no, se le togli il gioco la lingua muore! Il che non significa che uno possa pretendere di inventare “solezza” con la scusa che solitudine non rende abbastanza la sua personale idea del “sentirsi solo”, ma da questo al mettere talebanamente fuori legge il gioco ce ne passa! Fermo restando, beninteso, che quello che dico deve essere immediatamente comprensibile da chi mi ascolta, così com’è, senza il supporto del “ma io lo intendo nel senso di”. Ma fintanto che resto comprensibile io rivendico il mio sacrosanto diritto di giocare con la lingua e con le parole. Non posso dire che Francesca è scema specificando poi che io scema lo intendo in senso affettuoso, ma se fuori ci sono venti gradi sottozero e rientrando dico che ho i piedi che mi impazziscono, mi aspetto che tu mi porti una bacinella di acqua tiepida, non che mi tenga una lezione di psichiatria per spiegarmi che la pazzia è una patologia del cervello e non dei piedi!
          PS: ma tu, quando fotografi, non giochi mai con le immagini, con la luce, con le inquadrature, con la messa a fuoco, con le distanze…
          PPS: in questo blog si sarebbe un tantino allergici alle faccine; magari se riuscissi a ridurre gradualmente, come fanno i fumatori che non vogliono affrontare cambiamenti troppo traumatici…

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        • Eh in questo nuovo mondo, quello in cui sono da diversi decenni pare che si giochi con la lingua 🙂 E con i suoi segni ^_^ Tanto che le faccine… Fanno parte del gioco almeno dal ’98.
          Comunque comprendo: casa tua regole tue.
          In ogni caso credo si stia parlando di diversi livelli e ambiti.
          Ma appunto, quando giochi, con le parole, giochi. E allora possono giocare tutti, come gli pare? O stabilisci tu?
          Le accezioni dei significati sono codificate, fissate, condivise. Le figure retoriche, nel loro funzionamento, anche. Usi creativi, artistici, figurati, eccetera, non sono nemmeno uno dei tre registri linguistici: sono altro.

          Il mezzo fotografico è, appunto, un mezzo. Come l’inchiostro della penna, non come le parole. Quando arriviamo al livello “parola” ci sono regole che sono quelle della comunicazione visiva fino al momento della storia dell’arte in cui si è abbandonata la raffigurazione del vero.
          Motivo per cui io posso dire aaaaaaaaarrrrrrwwwwwwwwwwwwwwwbrbrbrbrbrbrbbrbrbrrbrb oppure formare

          u

          n ascrit

          tt

          aaaa e ok iiiiiiiiiiiiiiiinQUALcHemoDDDoooo tu mi comprenderai comunque.
          Ma spesso le opere sono incomprensibili se non si ha lo stesso background, non tanto culturale, quanto ARTISTICO, settoriale, specialistico, persino locale, persino “di moda”. Ecco che il principale gesto comunicativo per me fallisce. Devi sapere cose che sa SOLO quello che fa partire la comunicazione ed i suoi tre amici.
          Non è più uno sforzo di comprensione, non ti si richiede di pensare. Se non condividiamo il codice non puoi decodificare il messaggio. Ecco, io in questo mi pongo comunque nella posizione, vista l’aspettativa arrogante di chi emette un messaggio crittato per i più, di apprezzarne un valore estetico secondo il mio personale gusto.
          Posso, in questo modo, vedere bellezza in uno sputo. Sputo che tu hai dipinto, dipinto in un certo modo, per un certo motivo, a me incomprensibile senza la condivisione del background. E che bello non era. Ma a me invece è piaciuto. Mi rimane una interpretazione estetica e ne rivendico il diritto. Divago, ma visto che ne si parlava…
          Fotograficamente il segno può portare ad un codice: questo può essere maneggiato con più o meno creatività o maestria, ma sempre nell’ambito del comprensibile: raffiguro ancora la realtà.
          Ma il mezzo, in svariati momenti della sua produzione, consente altro. Come l’inchiostro della bic con cui scrivo “CIAO” mi consente di fare uno scarabocchio. Ma sono passato dalla parola scritta, traduzione di fonemi, a, come minimo, un ideogramma o simile: raffiguro una cosa precisa (casino) e poi le possibili interpretazioni, se decidiamo che quella è ancora lingua scritta, saranno terribili. Oppure meravigliose, se vuoi vederla così.
          Posso, cioè, scattare usando male il mezzo, dire “secondo me” di ogni cosa. E poi quello che vedrai farà schifo, oppure sarà incomprensibile.
          Quello che vedi tutti i giorni rispetta regole vecchie di un paio di millenni, in fotografia. Pressoché invariate. Questo non ci vieta di produrre opere pregevoli. Ma quantomeno, visto l’uso prevalente della fotografia: comprensibili.

          Ora due faccine per te :-* 😀

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        • Allora, parliamo delle faccine e del perché, per dirla chiara, mi sono assolutamente intollerabili (e per favore non venirmi a dire da quand’è che “fanno parte del gioco”: è l’ultima cosa al mondo a potermi interessare, esattamente come qualunque genere di moda). Perché le usi? Per completare il messaggio. Per avvertirmi che stai scherzando, che sei ironico, eccetera. Ora, per esprimere tutte queste cose c’è la lingua italiana, che ha strumenti sufficienti per esprimere qualunque sentimento, qualunque sensazione, qualunque intenzione. Se alla fine della frase hai bisogno di aggiungere la faccina che sorride, o che strizza l’occhio eccetera, i casi sono tre: a) non sai usare la lingua italiana e hai bisogno del surrogato del disegnino per completare il messaggio: in questo caso sei ignorante; b) sai esprimere perfettamente con gli strumenti della lingua italiana le tue intenzioni comunicative, ma hai paura che io non sia in grado di capirle e allora aggiungi il disegnino per informarmi che stai scherzando e non devo prendere alla lettera quella tale espressione: in questo caso mi stai trattando da deficiente, ossia mi stai insultando; c) sei perfettamente in grado di esprimere tutto quello che vuoi con le parole e stimi abbastanza la mia intelligenza da essere sicuro che io sia in grado di capire l’intenzione, ma spari un po’ di faccine qua e là a cazzo perché è di moda da ben vent’anni: e questa è, delle tre, l’ipotesi peggiore. Credo che prima o poi proporrò una revisione della legge che ha abolito la pena di morte, per usarla nei confronti di chi usa più di due emoticon ogni dieci anni.
          L’unica eccezione ammessa è l’emoticon da solo, come risposta, ossia non in aggiunta bensì in sostituzione delle parole. Anche in questo caso, comunque, non più di una volta all’anno.

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        • Aspetta, non è che aggiungendo un per favore cambi il gesto, che è un “non venirmi a dire”. E perché non dovrei? E da quando lo fanno è importante. Il dizionario fa parte dello stesso gioco. Anche il dizionario (separato) dei neologismi: cita da quando, in che contesto, il significato, l’uso, l’accezione, se attestato o meno… e piano piano persino la Crusca. Quindi se non vuoi che le usi e “non vuoi che ti si dica” eccetera, d’accordo: sono tutti dei “non voglio”. E ok, non vuoi. E’ casa tua 🙂

          Ma la moda è moda quando è passeggera. Le emoticon nascono molto prima della loro invalsa nell’uso comune, come hanno fatto svariate altre parti della comunicazione. Certo, non credo che vedremo prestissimo i diplomatici mettere una faccina in un trattato internazionale, ma i trattati internazionali non sono nemmeno scritti secondo le linee guida della comunicazione nazionale: quella per farsi capire.
          Ringrazio per la spiegazione del perché esistano, come si usino e a cosa servano le faccine, concordo, servono principalmente a quello. Cioé assolvono allo stesso compito delle espressioni facciali, principalmente. E quando ti sperticavi nel parlare delle estensioni della comunicazione come il TEATRO, però, ci scordiamo per caso che si fa uso di tutto il corpo, del rumore, della scena, oltre che, ovviamente, delle espressioni facciali? Non lo avrei citato, se fosse sufficiente la parola scritta, non pronunciata, ad esempio (il tono, tanto per dirne una, non è in nessun modo replicabile e varia ogni cosa; di sicuro te ne sono stati fatti svariati esempi). Forse che qualcuno ha bisogno del punto esclamativo od interrogativo rovesciato? E tutti questi segnetti tra le parole? Da quando è lecito che si sporchi in questo modo la carta? Prima che questa scellerata moda del punto interrogativo entrasse in scena non ne facevamo forse a meno! I bei tempi! Vedi non è che si gioca solo quando vuoi tu 🙂 Oppure si, certo. Ma QUI e solo perché esprimi la volontà e che questa venga rispettata. Persino la grafica nella scrittura può cambiare le cose. Grassetto, corsivo, corpo del carattere.
          Le faccine le ho, naturalmente, usate per sfotterti un po’, in simpatia. Spero che sia chiaro che non ho come scopo nella vita il triturarti la minchia. C’è gente la cui minchia triturata mi preme di più: li conosco e ho fondati motivo per desiderarne il male. Figurati se mi interessa così tanto di usarle. Ti dirò – per la cronaca – tra l’altro che mi risulta che tra i 20enni l’uso smodato delle faccine sia bandito: sono i “vecchi” che si appropriano con lentezza dei mezzi a farne largo uso.

          Leggo inoltre le 3 ipotesi che consideri le uniche possibili, senza contare che esiste la d) , la e) e chissà quante altre, le cui motivazioni sono identiche a quelle per cui ti sperticavi ad elencare quanto si possa giocare con le parole o la lingua stessa e anche l’invenzione di una lingua (ricordo, non l’ho citata io). Ecco, si può giocare anche così. E si fa perché ci va. Un po’ come qualsiasi altro cambiamento nella lingua scritta, parlata.
          Ma considero tutto questo molto marginale.
          Anzi.
          Considero tutto questo molto marginale 🙂

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        • Se non la conosci già: credo che troverai spassosa, su YouTube, ma anche nel suo blog, Arianna Porcelli Safonov.
          Vale sicuramente la pena di vederla, oltre che ascoltarla, nei video.

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        • Massiccio spreco* di paroole** (ndr., la doppia vocale non è un refuso).

          *qualcun altro avrebbe scritto “inutile spreco” e poi messo una faccina

          ** parere di chi ha letto a campione per mancanza di tempo*** (ma come non far cadere l’occhio sulle notifiche di nuovi commenti?)

          ***: principalmente per tale ragione, richieste di chiarimenti non verranno soddisfatte, e le eventuali repliche sopra alle cinque righe saranno totalmente ignorate.

          P.S.: Arianna Porcelli Safonov: una volta, vista su YouTube mentre diceva cose tutto sommato condivisibili (per quel che ricordo), ma con uno stile che ha rischiato di rendere vano il grande lavoro fatto negli anni per correggere alcuni aspetti poco simpatici del mio carattere; per intenderci, quelli posizionati solo un paio di tacche sotto la capacità di uccidere a sangue freddo donne inermi e bambini in fasce (“dirà sul serio? scherza? è un’iperbole o cos’altro? Ma perché non mette una faccina?!?).
          In compenso, gambe interessanti. Imbavagliata avrebbe il suo perché (non è un commento sessista: è la stessa cosa che dico di Maradona).

          P.S. 2: la chiave di lettura di questo commento si trova al primo asterisco.

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  4. Pingback: RESILIENZA, QUELLA VERA | ilblogdibarbara

  5. Ciao Barbara sono d’ accordo che questo termine spesso viene usato alla cavolo ma non é un termine coniato per i sopravvissuti del campo di concentramento, ha origini piú antica.
    Dopo questa breve parentesi il tuo pensiero mi piace molto… brava

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