MAXIMA DEBETUR PUERIS REVERENTIA

Un po’ in ritardo, arrivo anch’io a dire la mia sull’argomento, tramite questo articolo, che condivido totalmente.

Potrà sembrare fuori tempo questo richiamo alla massima latina, che, al singolare “puero”, si ritrova in Giovenale e in Quintiliano; eppure essa è quanto mai attuale, perché di “reverentia” – che in questo caso si potrebbe tradurre con “rispetto” – ne è stata offerta assai poca agli studenti dell’Istituto Tecnico Industriale Vittorio Emanuele III di Palermo. Perché non c’è rispetto quando un insegnante – anziché trasmettere conoscenza – interpreta il suo ruolo come trasmissione di opinioni. E questo è diventato il male che sta corrodendo la scuola italiana: sempre meno conoscenza, sempre più opinioni, più o meno condivisibili ma pur sempre opinioni. Quanto agli studenti che, come adolescenti, non si possono definire “pueri”, sono pur sempre persone in formazione, la cui personalità si sta trasformando proprio attraverso l’acquisizione di conoscenze sempre più vaste, e quindi il rispetto per questo loro processo evolutivo dovrebbe essere massimo.
Tre sono le ragioni per le quali è inaccettabile l’accostamento che gli studenti dell’Istituto tecnico di Palermo – ovviamente seguendo le indicazioni dell’insegnante (perché, se così non fosse, sarebbe anche peggio, perché allora non si capisce che ci sta a fare in classe) – hanno creduto di sostenere tra le leggi razziali del 1938 e il recente decreto sulla sicurezza voluto dal ministro dell’Interno Salvini. Ragioni di metodo innanzi tutto; ragioni di contenuto; e infine ragioni legate alla funzione della scuola e specificamente dell’insegnamento.
Le ragioni di metodo riguardano l’inaccettabile abitudine che si sta sempre più diffondendo di proporre come termine di paragone per qualsiasi evento di cui si dà un giudizio negativo le leggi del 1938 o addirittura la Shoah. Se in questo riferimento si può cogliere l’aspetto positivo dato dalla consapevolezza di quanto enorme sia stato il crimine commesso con le leggi razziali (per non parlare dello sterminio degli ebrei), tuttavia è soverchiante l’aspetto banalizzante di questi confronti. Le leggi razziali del 1938 possono sopportare il confronto solo con altre leggi dello stesso genere, come le leggi di Norimberga, non con altri atti che con l’antisemitismo niente hanno a che fare. Addirittura odioso è il confronto, che sempre più spesso viene proposto, di varie situazioni con la Shoah, di fronte alla quale sono possibili solo lo studio e la meditazione, o altrimenti il silenzio.
Dal punto di vista del contenuto l’accostamento del decreto sulla sicurezza alle leggi del 1938 può essere proposto solo da chi ha un’ignoranza totale delle une e dell’altro. Le leggi del 1938 esclusero un’intera categoria di uomini e di donne dal diritto stesso di cittadinanza, preparando con ciò il terreno per la loro eliminazione fisica, che si cercò di attuare dopo l’8 settembre 1943. Se il progetto non fu attuato integralmente ciò non dipese dalla volontà di chi l’aveva concepito, ma dalle circostanze e dalla resistenza che ad esso opposero non solo gli ebrei ma anche tanti cittadini di ogni categoria. Il decreto sulla sicurezza voluto dal ministro Salvini – che può essere contestato e rifiutato con mille argomenti – non sembra contenere alcuna norma che possa essere in alcun modo accostata a quelle del 1938.
Infine la funzione della scuola e specificamente quella dell’insegnamento. Che è fondamentalmente quella di trasmettere conoscenza, e di abituare a esprimere opinioni solo dopo l’acquisizione, appunto, di fondate conoscenze. Altrimenti si perde ogni distinzione tra la scuola e altri luoghi della socializzazione, come le cene tra amici, le chiacchiere al caffè, la partecipazione ai talk-shows ed altre forme della convivenza, tutte ben diverse da quella che si realizza in quello specifico luogo che si chiama scuola.
La scuola in generale, ma anche quella specifica scuola di Palermo, che farebbe il dovere suo se cominciasse intanto a cambiare nome, sostituendo quello del sovrano che appunto delle leggi del 1938 fu il firmatario. Ma forse questo aspetto non era a conoscenza di chi ha proposto il confronto con il decreto sulla sicurezza.

Valentino Baldacci (23 maggio 2019)

Aggiungo, di mio, che la sospensione dell’insegnante, per un comportamento che niente ha da spartire con la libertà di insegnamento, né con la libertà di espressione, e che ha gravemente nociuto agli alunni da ogni punto di vista, era sacrosanta, e pessimo segnale ha dato il provvedimento di revoca.

barbara

  1. Condivido anch’io, soprattutto la tua considerazione finale… I cessi la manderei a lavare, costei, E QUELLI/E come lei, sempre che i cessi non si offendano ad avere a che fare con tali vermiciattoli! E concludo subito senza però aver ribadito che sarebbe ora – anzi, è molto troppo tardi – che la si finisse, con buona pace dell’abissale imbecillità dei pende, dei zavattari, dei visco, dei businco, dei donaggio, dei franza, dei ricci, dei cipriani, dei landra, dei savorgnan e dei loro sciagurati paranoici seguaci tuttora presenti e infestanti, di parlare di una INESISTENTE RAZZA EBRAICA. L’umanità ci ha già “marciato” troppo su questo NON-concetto, SU QUESTA INVENZIONE DI COMODO: è ora di FINIAMOLAAAAAAA!!!

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  2. My 2c;
    la libertà di insegnamento ha due significati: il primo è che io sono libero di insegnare la “scienza” o l’ “arte” che voglio senza dover chiedere il permesso a chi che sia, ovviamente a spese mie non a spese dello stato.
    Il secondo è che io docente sono libero di utilizzare le strategie didattiche che ritengo più adatte per insegnare la mia materia. Molti invece la intendono come il diritto di fare il BIP! che pare a scuola; cosa assurda. Se io son stato assunto per insegnare matematica devo insegnare matematica, non le tecniche riproduttive delle oloturie, per quanto io ritenga tale argomento una parte essenziale della formazione dell’uomo. Posso insegnarlo nel mio tempo libero, al di fuori dell’orario scolastico, non a scuola nel “tempo” pagato dal ministero.

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    • Come il famigerato professor Damiani che, in nome della libertà di insegnamento insegnava (insegna?) che le camere a gas non sono mai esistite e che i tedeschi col loro culto dell’onore e del sangue sono infinitamente superiori ai giudei col loro culto del denaro.

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  3. cito: “Le leggi razziali del 1938 possono sopportare il confronto solo con altre leggi dello stesso genere, come le leggi di Norimberga, non con altri atti che con l’antisemitismo niente hanno a che fare. ”

    completamente d’accordo con quest’impostazione, mi sono sovente chiesto se si potessero paragonare alle leggi già in vigore prima del 1938, e in moltissimi casi rimaste in forza fino alla fine degli anni ’60 se non oltre, che regolavano diritti e doveri dei negri in America, e dei coloniali in Francia, Belgio, Olanda e UK, degli ebrei nei paesi maomettani ancora adesso…..
    roba assai più pesante delle leggi razziali italiane (senza che ciò ne tolga un millesimo di vergogna), ma curiosamente passata sotto silenzio dai moltissimi che berciano al fasci, al fascio!!! a ogni stormir di fronda.

    p.s.: vorrei mandarti la foto di un volantino davvero ma davvero delirante, come posso fare?

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    • Sì e no. Sì perché sono leggi che discriminano una parte della popolazione su base razziale, no perché quelle regolavano una situazione stabile mentre le nostre leggi razziali e quelle di Norimberga sono state il primo passo verso lo sterminio.
      Per il volantino, come per qualunque altra cosa, qui sulla destra c’è un indirizzo email, puoi mandare lì tutto quello che vuoi.

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    • No, le leggi degli stati razzisti degli Stati Uniti dovevano muoversi comunque nell’alveo della costituzione. È chiaro che la aggiravano, ma non potevano partire da statuizioni della superiorità razziale dei Bianchi. Come dice Barbara, non erano il preludio allo sterminio. Detta in altri termini, si trattava di leggi “difensive” e non “offensive”, cioè miravano a non espandere i diritti dei negri e a tenere le distanze.

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