Lui: Giornale comunista! Vuole il giornale comunista?
Io: Due miliardi di schiavi e cento milioni di morti: ancora non vi bastano? Quanto altro sangue vi serve ancora per essere soddisfatti?
Lui: Parliamone.
Ho proseguito per la mia strada, perché se avessi aperto la bocca ancora una volta gli avrei sputato addosso, e non volevo sporcare la mia saliva. Per dare un piccolo esempio del mondo che i nostri progressisti sognano, riprendo questo post di Giovanni Ciri di due anni fa.
I PASSERI DI MAO
Nel Maggio del 1958 Mao Tze Tung lancia il “gran balzo in avanti”. La Cina deve diventare in tempi brevissimi una grande potenza industriale e, soprattutto, militare. Nel giro di pochi anni paesi come la Gran Bretagna e gli USA devono essere “superati”. E’ un programma molto ambizioso, come raggiungere simili risultati? La risposta di Mao è di disarmante semplicità: i cinesi devono lavorare, lavorare ed ancora lavorare. Ma non basta: occorre importare dai paesi “fratelli”, URSS in primis, impianti industriali e tecnologia, soprattutto militare. E per pagare queste importazioni la Cina ha un solo mezzo: esportare derrate alimentari, prodotti agricoli.
I contadini devono quindi essere privati della quasi totalità raccolto. Mao non prevede nessun investimento per incrementare la produttività agricola: si limita a costringere i contadini a lavorare come muli e a privarli di tutto ciò che producono. Il suo è sostanzialmente un gigantesco programma di lavoro forzato o semplicemente schiavistico. Stalin lo aveva già fatto, Mao lo rifà su scala ancora più ampia. E mostruosa.
Non è il caso di esporre qui le vicende terrificanti di quella esperienza. Rimando chi fosse interessato al libro: “Mao la storia sconosciuta” (Longanesi) della scrittrice cinese Jung Chang (autrice del bellissimo romanzo “i cigni selvatici”) e del marito di lei Jon Halliday. Un ottimo libro, una eccezione importante nel desolante panorama editoriale dell’occidente politicamente corretto.
Vorrei invece concentrare l’attenzione su un singolo, piccolo episodio. Un episodio secondario in fondo, che ha avuto conseguenze enormemente meno tragiche di tanti altri, ma nel suo piccolo molto, molto significativo.
“Per salvaguardare i cereali” scrive la Chang “a Mao venne l’idea di sbarazzarsi dei passeri, divoratori dei chicchi. Li indicò come uno dei quattro flagelli da eliminare insieme con topi, zanzare e mosche e mobilitò l’intera popolazione perché agitasse bastoni e scope e facesse un gran baccano per spaventarli ed impedir loro di posarsi sulle culture, dopodiché, caduti a terra per la stanchezza, sarebbero stati catturati ed uccisi” (1).
Non sono affetto da misticismo ecologico ed animalista e so che, a differenza di quanto pensano i mistici, l’agricoltura sopprime un numero consistente di animali: qualcuno preferisce ignorarlo ma le diete vegetariane e vegane si basano sulla soppressione di animali almeno quanto quelle onnivore. Questo premesso, non si può non restare colpiti dall’incredibile disprezzo per la natura di una simile direttiva: in tutta la storia a nessuno, credo, è mai venuto in mente di distruggere una intera specie di uccelli per salvaguardare i raccolti.
Ma è sugli esseri umani, non sui passeri, che intendo concentrare l’attenzione. Proviamo a pensarci: per giorni e giorni centinaia di milioni di cinesi fecero, tutti, la stessa cosa: un gran baccano per impedire ai passeri di posarsi al suolo. Nessuno di noi, credo, conosce due sole persone che facciano per un giorno intero la stessa cosa. La vita quotidiana di ogni persona è diversa da quella di qualsiasi altra. Anche i soldati in una caserma o i detenuti in una prigione non fanno tutti le stesse cose per tutto il giorno. Anche in stati decisamente autoritari la vita degli esseri umani è in qualche modo personalizzata. Nella Cina di Mao no. Centinaia di milioni di cinesi, tutti insieme, per giorni e giorni fecero tutti un gran baccano per far morire di stanchezza i passeri: il più numeroso popolo del mondo si era trasformato in una immensa squadra di esagitati intenti a fare un chiasso d’inferno. Difficile, penso, immaginare qualcosa di più mostruoso.
Ma questa mostruosità ebbe almeno risultati positivi? Fu davvero utile all’agricoltura? NO, ovviamente.
Una cosa è impedire con vari mezzi ai passeri di posarsi sui raccolti, determinandone in questo modo indirettamente la morte di un certo numero, cosa del tutto diversa la distruzione della specie dei passeri, e con questa di una quantità enorme di altri uccelli. Gli uccelli non si cibano solo di chicchi di cereali ma anche di parassiti, insetti e piccoli animali dannosi alle culture. L’eliminazione dei passeri, e non solo, portò alla moltiplicazione esponenziale di insetti ed animali dannosi, con esiti catastrofici per l’agricoltura.
Ricordano la Chang ed Halliday: “All’ambasciata sovietica di Pechino arrivò una richiesta da parte del governo cinese (…). In nome dell’internazionalismo socialista, si leggeva: per favore, inviateci appena possibile 200.000 passeri dall’estremo oriente russo” (2)
Centinaia di milioni di cinesi erano stati mobilitati per far gran baccano, una quantità enorme di passeri ed altri uccelli era stata distrutta, poi, in gran segreto, i passeri vennero reintrodotti in Cina in nome dell’internazionalismo proletario e della fraterna amicizia fra Cina e URSS, amicizia che, sia detto per inciso, era destinata a durare ancora per poco.
Quello dei passeri è solo un episodio, un piccolo ma emblematico episodio. Dimostra molto semplicemente che sotto Mao i cinesi erano degli schiavi di fatto. E nient’altro.
Schiavi spesso destinati a morte certa.
Il gran balzo in avanti distrusse praticamente l’agricoltura cinese e non dotò affatto la Cina di una struttura industriale neppure lontanamente paragonabile a quella dei paesi capitalisti che Mao intendeva “superare”. Solo nel dopo Mao, grazie alla apertura, non certo priva di ombre, alla economia di mercato la Cina è diventata davvero una grande potenza industriale.
In compenso la politica delle requisizioni selvagge causò quella che può essere definita la più grande carestia di ogni tempo.
“La carestia a livello nazionale iniziò nel 1958 e terminò nel 1961, raggiungendo l’apice nel 1960. (…). Durante la carestia alcuni furono costretti al cannibalismo. Uno studio condotto dopo la morte di Mao (e subito soppresso) sulla contea di Fengyang, nella provincia di Ahnui, registrò sessantatre casi di cannibalismo soltanto nella primavera del 1960, compreso quello di una coppia che strangolò e mangiò il proprio figlioletto di otto anni. (…). Nei quattro anni del gran balzo in avanti e della carestia morirono di fame e di lavoro circa 38 milioni di persone”. (3)
38 MILIONI. E non si tratta di una cifra tarocca, quelle le diffondeva il regime di Mao. E’ ricavata dalle statistiche relative al numero dei decessi negli anni del gran balzo in avanti paragonati a quelli degli anni immediatamente precedenti e successivi. In quei maledetti quattro anni il numero delle morti crebbe paurosamente, secondo le statistiche ufficiali. Ed il gran balzo è solo un episodio di quella grande, immane follia sanguinaria che è stata il comunismo maoista.
Ma agli occidentali progressisti il maoismo piaceva, ad alcuni piace ancora.
Ricordo che, tanti anni fa, ero ancora un ragazzo, mi capitò di vedere un documentario sulla Cina. Mi pare fosse di Sergio Zavoli, ma posso sbagliare. Si parlava fra le altre cose dello sterminio dei passeri. Con voce dolce il giornalista raccontava delle centinaia di milioni di cinesi che, tutti insieme, fecero per giorni un gran chiasso ed uccisero passeri ed altri uccelli in quantità industriale. “Certo”, diceva più o meno il giornalista, “a noi una cosa simile appare lesiva della libertà personale, però… alla fine i passeri furono distrutti”. Dimenticava di aggiungere: “con gran danno per l’agricoltura”.
A NOI lo spettacolo di centinaia di milioni di esseri umani trasformati in cagnolini addestrati che obbediscono tutti insieme ad ogni ordine del capo appare leggermente mostruoso, ma una cosa simile va benissimo per i cinesi. Il fine giustifica i mezzi perbacco, specie se i mezzi riguardano esseri umani giallastri e con gli occhi a mandorla. Come al solito, gratta un po’ il democratico progressista, dolce e relativista, e vien fuori il razzista.
Ed oggi gli stessi che ieri esaltavano Mao sono esaltati dai media come i campioni di una Italia e di un occidente aperto, democratico. La signora Luciana Castellina, ex dirigente del gruppo del “Manifesto”, grande ammiratrice di Mao e della rivoluzione culturale, tuona in TV contro chi difende la legittima difesa. E in occasione della sua recente scomparsa, Dario Fo, a suo tempo entusiasta ammiratore di Mao Tze Tung e di Giuseppe Stalin, è stato presentato come un campione della libertà e della democrazia.
Dei contadini cinesi costretti al cannibalismo, e dei passeri, non parla nessuno.
E poi ci chiediamo perché l’occidente è in crisi.
NOTE
1) Jung Chang Jon Halliday: Mao la storia sconosciuta. Longanesi 2006 pag 506.
2) Ibidem pag. 507.
3) Ididem pag. 515 (qui)
Del paradiso comunista si è già parlato in questo blog qui, qui e qui.
barbara
ma ci sono ancora in giro i tipi che vendono il giornale comunista?
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Per strada e porta a porta. Sorridenti e amichevoli come i testimoni di Geova. L’unica differenza è che i testimoni girano in due come i coglioni mentre questi girano da soli come le teste di cazzo.
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no grazie troppo ruvido come carta igienica….
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E in più sporca con l’inchiostro.
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Come ha dimostrato la nuova psicologia progressista umanitaria, le polemiche riguardo a Mao sono faziose e dovute all’invidia del pene da parte degli europei.
Infatti è noto, dagli anni ’70 del secolo scorso, che Mao era estremamente virile, aveva la punta del pene in cina e i coXXXXni, tanti, in italia.
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Solo in Italia? Guarda il Venezuela!
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Per amore della Storia, la grande carestia della Cina degli anni ’50 non fu dovuta all’esportazione di derrate alimentari, ma al nefasto risultato di una assurda idea di Mao: per ragioni più di immagine che di sostanza (il primato fra le nazioni comuniste) si era messo in testa di superare, da un giorno all’altro, la produzione di acciaio dell’Unione sovietica, che ovviamente era, dopo la guerra, enorme.
Per far ciò obbligò ogni città, ogni paese, ogni villaggio di contadini a dotarsi di altoforno (rudimentale, ovviamente) e di raggiungere la quota assegnata, pena cazzi. Fu così che furono gettati nelle fornaci biciclette, posate, attrezzi agricoli, carriole, perfino i manici dei secchi. Risultato: la Cina tornò in un anno all’età della pietra, con tutto ciò che consegue alla produzione agricola (e non solo).
Incidentalmente, il giudice Misiani, allora una giovane toga rossa, raccontò poi in un libro l’entusiasmo con cui lui e i sodali di Magistratura Democratica andarono in trasferta ad ammirare gli agghiaccianti processi del popolo (quando scrisse il libro ormai era pentito) con gli innumerevoli linciaggi susseguenti alla “rivoluzione culturale, questo un paio di decenni dopo).
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Ho cercato in google perché non sono molto informata. Ho trovato le due cose insieme: il “grande balzo in avanti” e, quando la produzione di grano è risultata molto lontana da quella sbandierata, hanno accusato i contadini di nascondere il grano, così hanno perquisito le case e trovato quel poco che avevano tenuto per mangiare e per seminare, e lo hanno requisito. Probabilmente la storia vera nei dettagli non sarà facile conoscerla, visto il grande lavoro di insabbiamento fatto.
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PS, e del tutto a sproposito, ti faccio dono di una frase che è nelle ultime pagine di un libro che ho appena posato (A small place in Italy, di Eric Newby):
“It took twelve jews to make a Genovese, twelve Genovesi to make a Biellese, and twelve Biellesi to make one Lucchese”.
Ovviamente si parla di “parsimonia”.
Conosci qualcuno di Lucca?
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https://barneypanofsky.wordpress.com/
che tra l’altro è stato proprio lui a scrivere una volta che anche i lucchesi hanno fama di tirchieria.
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Ah, dimenticavo: non oso immaginare cosa debba essere quell’ebreo di Lucca che ho conosciuto nell’ultimo viaggio in Israele.
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Pingback: QUELLE FAMOSE ANTICHISSIME TRADIZIONI CINESI – PARTE SECONDA | ilblogdibarbara
Conosco quella storia, e mi era venuta una domanda sull’argomento. I miei genitori venivano da una zona poverissima e terremotata della terronia, e ne hanno subito le conseguenze per tutta la vita. Mio padre, ad esempio, pur dopo 30 anni di prosperita’ non riusciva a buttare via il cibo. Anche un cibo che gli faceva schifo e non gli era costato niente era impossibile da buttare, andava mangiato per forza. Dovevo buttare via il cibo andato a male di nascosto, altrimenti impazziva letteralmente di rabbia. Ora mi domando, che razza di conseguenze ne avranno avuto quei cinesi usciti da una carestia ancora peggiore? Lo chiederei a uno psico, ma tutti quelli che conosco sono delle zecche rosse e non e’ il caso di affrontare certi argomenti con loro.
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Giusto l’altro ieri ho trovato in frigo una ciotola coperta, completamente dimenticata: c’erano dentro due uova. Ho guardato sul guscio la data di scadenza: 14/11/2019. Naturalmente le ho mangiate. La prosperità economica non l’ho mai conosciuta, ma credo che le avrei mangiate anche se fossi miliardaria, buttare il cibo è per me qualcosa di inconcepibile, e c’entrerà probabilmente il fatto di essere nata poverissima. La fame lascia sempre il segno, penso a quei sopravvissuti ai campi che impazziscono se non hanno il frigo pieno, per avere l’assoluta certezza che avranno da mangiare anche domani e anche dopodomani, a quelli che per molto tempo hanno continuato ad arraffare e nascondere le croste del formaggio perché non si sa mai. Quella che hanno patito i cinesi e i russi, e in particolar modo gli ucraini, avrà sicuramente lasciato anche conseguenze psichiche.
Ti correggo l’ultima frase: gli psicoeccetera non sono zecche rosse, sono zecche e basta, psicopatici all’ultimo stadio, irreversibili, pericolosi a sé e soprattutto agli altri. Ne parlerò presto su questi schermi.
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Concordo sugli psico, anche se non sono tenera come te. Ho delle mie teorie sugli psico, ma vorrei prima sentire il tuo parere. Scrivi, scrivi.
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Non dovrai aspettare molto.
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Nel frattempo ti suggerisco una lettura interessante: “Magdalena peccatrice” di Lilian Faschinger, Mondadori. La protagonista una domenica mattina durante la messa piomba davanti alla chiesa in moto con sidecar, rapisce il prete e se lo porta via per confessargli come e perché ha ucciso sette uomini e farsi dare l’assoluzione. E ce l’ha a morte con psicologi psichiatri psicanalisti psicoterapeuti, sequenza che snocciola di frequente come una sorta di mantra, in ordine variabile ma, come si sa, cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
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