ROBERTO BURIONI, I VIRUS E ALTRE STORIE

“… Carlo Urbani è un medico marchigiano di 46 anni, specialista in malattie infettive e appassionato di medicina tropicale.
Carlo Urbani
Grazie alle sue conoscenze e alle sue numerose esperienze di volontariato svolte anche per conto di Medici senza Frontiere, nel 1993 diviene consulente dell’OMS. Il 28 febbraio 2003 Carlo si trova ad Hanoi come specialista di malattie infettive presso il locale ufficio dell’OMS. In questa veste riceve una telefonata dall’Ospedale francese: due giorni prima, il 26 febbraio, avevano ricoverato un paziente cino-americano, Johnny Cheng, che presentava i segni di una brutta forma di polmonite atipica. Il paziente peggiorava rapidamente e aveva raccontato ai medici del suo precedente soggiorno a Hong Kong.
Carlo visita il paziente e mette insieme i pezzi del puzzle. Chiama immediatamente Ginevra, il quartier generale dell’OMS. Da quando il paziente è arrivato nell’ospedale di Hanoi, nel giro di una settimana quattordici persone fra medici e infermieri si ammalano della stessa forma di polmonite. Immediatamente Ginevra allerta il centro di riferimento per i virus respiratori di Manila, nelle Filippine, e raccoglie tutte le informazioni utili da Hong Kong. Nel frattempo, il Canada evidenzia il focolaio di polmonite, partito nel grande Paese nordamericano subito dopo l’arrivo del paziente che aveva soggiornato nel famigerato corridoio del Metropole Hotel.
Insomma, grazie all’allarme lanciato da Carlo Urbani la comunità internazionale si allerta e parte la caccia al virus, nel tentativo di contenere l’epidemia. Contro l’epidemia vinceremo, ma purtroppo, il gesto di Carlo Urbani passerà alla storia come un atto eroico, perché lui stesso contrarrà il virus e morirà di SARS a Bangkok il 29 marzo 2003…”

Questo è un estratto del capitolo che parla della SARS, una malattia causata da un coronavirus, tratto dal mio nuovo libro “Virus: la grande sfida” che sarà in edicola e in libreria il prossimo 10 marzo. Come vi ho detto i proventi derivanti dalle vendite di questo libro verranno devoluti a favore della ricerca scientifica sui coronavirus. Questo pensiamo di farlo attraverso la Associazione Italiana Carlo Urbani, una ONLUS nata in memoria di questo mio eroico collega. Ho già sentito la sua vedova, Giuliana Urbani, che approva convinta.
Naturalmente non sarò solo a decidere come assegnare e a chi assegnare questi premi o borse di studio. Ci sarà un board scientifico che prenderà queste decisioni: questo board sarà presieduto da Guido Silvestri, professore ordinario di Patologia alla Emory University di Atlanta. Insieme a lui ci saranno certamente Massimo Clementi (ordinario di Microbiologia e Virologia del San Raffaele), Pierluigi Lopalco (Ordinario di Igiene dell’Università di Pisa) che mi hanno già dato la loro entusiasta disponibilità. Altri se ne aggiungeranno di eguale livello e li troverete qui.
Per cui speriamo che molte persone comprino il libro, così potremo fare qualcosa di importante e concreto per la salute di tutti, nel ricordo di un eroe che ha sacrificato la sua vita per difendere gli altri da una terribile minaccia. Minaccia che è stata poi vinta, perché la SARS è infine sparita. Speriamo accada lo stesso per questo nuovo coronavirus. (qui)
Virus
Naturalmente l’ho già ordinato. Poi, per smentire le immonde insinuazioni (“instant book”, sempre sul p(r)ezzo”, “una vergogna”, “quando si dice il tempismo”, “Burioni mi fa venire la voglia di diventare antivaccinista”, “ego”, “narcisismo”) delle oche signorine e dei loro cicisbei, aggiungo quest’altro pezzo, pubblicato precedentemente.

Nel maggio dell’anno scorso avevo deciso insieme a Rizzoli di pubblicare finalmente un libro volto a spiegare la scienza, il suo fascino, il suo progresso e non a confutare i cretini.
L’argomento prescelto, ovviamente, riguardava i virus. Ero a buon punto nella scrittura quando a gennaio, esattamente l’otto gennaio, ho capito che in Cina stava succedendo qualcosa di molto grave (e l’ho scritto su Medical Facts). Per questo ho proposto a Rizzoli di velocizzare l’uscita del libro, ritenendo che il modo migliore per confrontarsi con una nuova minaccia fosse quello di fornire alla gente notizie accurate e comprensibili sui virus e sulle epidemie. Questa necessità negli ultimi giorni è diventata ancora più pressante, e l’urgenza di questo libro ai miei occhi maggiore.
La mia convinzione di sempre è che nella corretta informazione sia il segreto per vincere il pregiudizio e combattere il panico e la paura. Proprio per questo ho fatto di tutto, insieme a Rizzoli, perché questo libro potesse essere disponibile il prima possibile. Lo troverete in libreria, online (e in edicola insieme al Corriere della Sera) il 10 marzo. Tre cose devo precisare.
La prima è che ho avuto il piacere di scrivere questo libro a quattro mani con l’amico e collega Pier Luigi Lopalco, un amico e un grandissimo epidemiologo. Questo è stato non solo un onore e un piacere, ma anche l’occasione per imparare da lui cose che non sapevo e acquisire un punto di vista sulla diffusione delle malattie infettive tanto originale quanto importante per la mia formazione scientifica e culturale.
La seconda è che, grazie alla disponibilità di Rizzoli, il libro avrà un prezzo minore dei miei precedenti (15 euro invece di 18), l’ebook sarà disponibile a un prezzo ridotto e in un daily deal a 2,99 euro. L’abbiamo ritenuto doveroso considerando l’importanza dell’argomento.
La terza è che tutti i proventi che mi deriveranno dalla vendita di questo libro saranno da me devoluti a favore della ricerca scientifica sui coronavirus. A seconda dell’importo potrà essere un premio per un giovane ricercatore, una borsa di studio, dipenderà dalla cifra che sarà disponibile e vi terrò aggiornati su Medical Facts.
In giro c’è molta paura, e io penso che il miglior modo per tranquillizzare un bambino che pensa che in una stanza buia c’è un mostro è semplicemente accendere la luce. E’ quello che io e Pierluigi abbiamo cercato di fare scrivendo questo libro. Spero che vi piaccia. (qui)
Roberto Burioni
Come si può vedere, tutte le volgari insinuazioni di oche signorine e cicisbei sono altrettante pisciate – puzzolenti – fuori dal vaso. D’altra parte fra gli odiatori di Roberto Burioni abbiamo roba come Chef Rubio, Travaglio, Red Ronnie, Giulia Innocenzi, Tiziana Ferrario (“bullo e sessista”), tutti virologi ed epidemiologi di prim’ordine con al proprio attivo quattro Nobel a testa: tutti con le carte in regola, insomma, per demolirlo. Poi se vi resta ancora qualche minuto e un po’ di voglia di leggere, suggerirei di leggere questo, e poi, a proposito di epidemie e di regali che ci arrivano dalla Cina, direi che è assolutamente imprescindibile questo – per la verità è tutto il blog che merita di essere seguito, per l’interesse degli argomenti, per l’accuratezza delle indagini storiche per la (questa me la faccio approvare dall’Accademia della Crusca, che oltretutto è molto meglio di petaloso) brillanza della scrittura. Quanto al virus coronoso che è “più o meno come una comune influenza”, va guardato questo, stampato, ingrandito, appeso alla parete e tenuto costantemente sotto gli occhi.
infl vs cv
barbara

RESILIENZA, QUELLA VERA

Come ogni anno da quando il loro figlio è stato ucciso nell’attacco terroristico contro la sinagoga di Har Nof, questa mattina, Rosh Chodesh Adar [primo giorno del mese di Adar], i genitori sono andati in autobus da Kiryat Arba al luogo in cui il loro figlio stava ogni anno vestito da clown e distribuiva caramelle ai bambini in onore di Rosh Chodesh Adar, e hanno continuato questa commovente tradizione del loro figlio, nonostante l’età avanzata e il freddo di Gerusalemme. Da brividi. (qui, traduzione mia)
Har Nof genitori
Resilienza, anche se qualcuno lo ignora, non è imbrattare una mano con un tatuaggio.

barbara

DUE PESI E DUE MISURE, COME SEMPRE

La strage di Hanau e il solito doppio standard della stampa mainstream

Mercoledì 19 sera, un uomo di 43 anni, di nome Tobias Rathjen, entra in tre locali nella città tedesca occidentale di Hanau e spara all’impazzata sugli avventori. Nelle tre sparatorie riesce ad uccidere 9 persone, scelte a caso. Poi fugge in casa sua, ammazza sua madre e infine si toglie la vita. I locali erano frequentati soprattutto da immigrati curdi e turchi e le vittime sono per lo più straniere. Si indaga subito sulla pista dell’estrema destra ed emerge che lo stragista, Rathjen, era un razzista convinto. E la stampa, anche in Italia, si scatena. Contrariamente alla prudenza che avvolge sempre ogni attentato di matrice islamica, dove le parole “terrorismo” e “islam” raramente vengono accostate, quella di Hanau diventa, da subito, una “strage neonazista” o semplicemente “strage di estrema destra”.

Dalla nostra stampa più autorevole, abbiamo appreso che in Germania esiste una rete nera, analoga e forse ancor più pericolosa di quella “verde” islamica. Abbiamo visto che l’attentato è stato provocato dal clima di odio provocato dall’AfD. Abbiamo letto su fonti autorevoli che in Germania c’è un crescente problema di terrorismo xenofobo. Ovviamente c’è chi, come il giornalista Gad Lerner, non si lascia sfuggire l’occasione per fare paralleli con Luca Traini, il mancato stragista di Macerata e per proprietà transitiva anche con la Lega, a cui Traini era iscritto. Matteo Salvini ha condannato la strage, ma il suo tweet è stato ritenuto ipocrita e incompleto dai recensori del Foglio. Nel focus di La Repubblica sull’estremismo di destra in Germania, il vicedirettore Carlo Bonini e l’inviata in Germania Tonia Mastrobuoni dipingono un quadro a tinte molto fosche della situazione: estremisti neonazisti che creano comunità chiuse nella Germania orientale, infiltrazioni brune nella polizia e nei servizi segreti, reti neonaziste consolidate e addestrate. Addirittura l’inviata azzarda, pur con tutti i dovuti distinguo, un parallelo con la situazione dei primi anni Venti, quelli del caos post-bellico, in cui le milizie nazionaliste, i Corpi Franchi, dilagavano e facevano il bello e il cattivo tempo.

Ma la Germania odierna merita tutto ciò? A giudicare dall’attentato subito dai tre locali di Hanau: assolutamente no. Prima di tutto: non è stato affatto dimostrato che il killer, Tobias Rathjen, facesse parte di una qualsivoglia organizzazione. Non era membro di alcun partito. Non risulta essere parte di una rete terroristica clandestina. Non risultano, stando a quanto si sa ora, addestramenti o contatti con terroristi che lo abbiano iniziato alla via della violenza politica. Non stiamo parlando di un soggetto radicalizzato, o nel mirino di polizia e servizi segreti, perché era un bancario senza precedenti penali. Tobias Rathjen era un nazionalsocialista? Nella sua confusa memoria lasciata come testamento e nei suoi video si trovano delirii di vario genere, fra cui istigazioni puramente razziste a sterminare i popoli di Africa, Medio Oriente e Asia Centrale. Ci sono messaggi rivolti agli americani affinché si ribellino contro una società segreta di adoratori del diavolo (di cui solo lui, a quanto pare, conosceva l’esistenza) che si nasconderebbe in basi segrete. Ci sono messaggi rivolti ai tedeschi in cui afferma che la Germania è controllata da servizi segreti che manipolano la mente. In questo guazzabuglio di teorie cospirative, più che il Mein Kampf, vediamo tanto materiale che potrebbe dar lavoro a psicologi e psichiatri. Dunque, se un uomo apparentemente tranquillo dà sfogo alla sua violenza repressa in un giorno di ordinaria follia, ha senso lanciare l’allarme sull’estrema destra, le sue presunti reti e organizzazioni clandestine? Secondo ogni criterio: no.

Si potrebbe dire la stessa cosa dei lupi solitari del jihad che agiscono da terroristi pur non avendo mai visto di persona un veterano dell’Isis o un campo di addestramento di Al Qaeda? Si potrebbe, ma sarebbe comunque scorretto. I lupi solitari del jihad sono l’ultimo anello di una lunga catena, che parte dalle grandi organizzazioni transnazionali del terrorismo, come l’Isis, che lanciano appelli in tutto il mondo per reclutare musulmani radicali autoctoni alla guerra santa contro l’Occidente. A volte lo fanno solo online, ma nella maggior parte dei casi, si avvalgono di predicatori di odio e intere moschee radicali, per spingere i “solitari” ad agire nel nome della collettività jihadista. Nel caso di Rathjen, stando a quel che si sa finora, non c’è nulla di tutto questo. Gli unici elementi di cui disponiamo suggeriscono che il suo sia veramente un caso psichiatrico e basta. Un elemento instabile (ma in regolare possesso di una pistola e bravo a usarla) che a un certo momento della sua vita ha deciso di fare una fine violenta tirandosi dietro più “nemici” possibili. Eppure, come sempre, vediamo che la stampa mainstream, al seguito di una politica altrettanto mainstream, ha sviluppato una capacità incredibile: privatizza le colpe della sinistra e del jihadismo e collettivizza quelle della destra. Quando a uccidere erano i brigatisti rossi, si trattava di “compagni che sbagliano”, e non di un’organizzazione abbastanza strutturata da consentire loro addestramenti all’estero e armi straniere. Quando a uccidere sono terroristi che inneggiano ad Allah e prestano giuramento allo Stato Islamico, sono “lupi solitari” e “squilibrati”. Ma quando ad uccidere è un folle che fa discorsi deliranti dai toni complottisti e razzisti, allora è subito “strage neonazista”, la colpa è della destra tedesca tutta (e per proprietà transitiva anche della Lega) e del “clima di odio” che crea.

 Stefano Magni, 22 Feb 2020, qui

Evidentemente anche ammazzare la madre è roba da suprematisti bianchi, è noto che tutti i nazisti lo facevano regolarmente.

(PS: sarò via un paio di giorni, ma come al solito vi programmo un paio di coccole che vi faranno compagnia)

barbara

QUANDO LA POLITICA DICHIARA GUERRA A SCIENZA E SALUTE

e scienza e salute vengono sonoramente sconfitte

Coronavirus, lo strano protocollo Toscana-Cina e l’incognita che allarma ma vietato parlarne: l’Africa

Emblematica dell’uso strumentale degli scienziati e della “competenza” da parte della politica è la parabola del virologo Roberto Burioni: da idolo dei “competenti” al governo nella battaglia contro gli antivax, fino all’ultimo bambino non vaccinato, a predicatore nel deserto oggi che il professore sostiene l’isolamento come misura più efficace per impedire la diffusione del coronavirus nel nostro Paese.
Ospite in questi giorni di programmi radiofonici e noti talk show televisivi, non trova più le sponde governative del passato. Burioni è stato uno dei primi e dei pochissimi (in Italia) a dubitare, confortato da autorevoli studi, dell’affidabilità dei numeri ufficiali delle autorità cinesi e dell’Oms. Ieri ha osato denunciare come un “azzardo” sulla pelle dei cittadini la decisione della Regione Toscana di non sottoporre a quarantena i circa 2.500 cinesi che in queste ore stanno rientrando a Firenze e a Prato dalla Cina, in ordine sparso e con voli indiretti, limitandosi a mettere a disposizione un ambulatorio al quale queste persone potranno rivolgersi in caso sopravvengano dei sintomi sospetti (quindi forse quando sarà troppo tardi).
L’ambulatorio è entrato in funzione questa settimana, in uno spazio messo a disposizione dal consolato cinese grazie a un protocollo di collaborazione firmato a Firenze dal presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, e dal console Wang Wengang. La struttura, di proprietà di un cittadino cinese e già attiva come centro medico e diagnostico, sarà ora dedicata “anche” alla valutazione di casi di persone rientrate dalla Cina: alla prima manifestazione dei sintomi, i pazienti potranno rivolgersi al Cup e poi accedere alla struttura, dove saranno visitati ed eventualmente sottoposti al tampone faringeo per il test diagnostico di laboratorio.
Come ricorda Burioni su Medical Facts, in Cina “è in atto una gravissima epidemia, della quale è molto difficile interpretare i numeri. Quelli ufficiali sono molto poco attendibili e istituti molto autorevoli, come l’Imperial College di Londra, stimano che solo una minima parte delle infezioni (il 10 per cento, ndr) venga correttamente diagnosticato”, quindi la Regione Toscana, osserva il virologo, “decide di far correre ai suoi cittadini un rischio evitabile con un minimo disagio per pochissimi di loro”, cioè restando a casa per due settimane.
Sul suo profilo Twitter, Burioni è ancora più polemico in un botta e risposta con il presidente Rossi:

“Il presidente della Regione Toscana, che secondo me sottovaluta il rischio coronavirus, afferma che chi lo critica o è male informato o è fascioleghista. Lo stesso presidente che nella sua regione offre l’omeopatia all’interno del Sistema sanitario nazionale. Complimenti davvero”.

“Dall’omeopatia al coronavirus che è meno pericoloso dell’influenza. Con il presidente della Regione Toscana alla fine tutto torna. Sto rivalutando gli antivax, almeno non avevano responsabilità di governo”.

Il governo ha decretato l’emergenza sanitaria nazionale per il coronavirus, e nominato un commissario ad hoc, quindi appare quanto meno bizzarro che la procedura per gestire i rientri dalla Cina venga lasciata alle valutazioni delle autonomie regionali. Quanto il protocollo toscano si discosta dalle linee guida nazionali? E se non se ne discosta, che bisogno c’era di siglare un protocollo ad hoc tra la Regione e il consolato cinese?
Forse una spiegazione c’è. La “soluzione alla toscana” per questi 2.500 cinesi fa sorgere infatti un inquietante sospetto: che vi fosse un quid pro quo con il ritorno da Wuhan del 17enne italiano Niccolò, bloccato dalle autorità cinesi per alcuni giorni. Può benissimo trattarsi di una coincidenza, ma poche ore dopo il suo atterraggio a Roma, sabato scorso, il presidente Rossi e il console cinese siglavano il protocollo di collaborazione per far tornare senza obbligo di quarantena i 2.500 cinesi. Uno strumento – diciamo inconsueto – e una tempistica piuttosto sospetti.
Ma ora che le misure nei confronti di chi arriva dalla Cina sono state adottate e sembrano funzionare, il vero allarme, di cui naturalmente sembra vietato parlare, si chiama Africa. Com’è noto, il continente è ampiamente impreparato, per stessa ammissione dell’Oms, a diagnosticare ed affrontare il coronavirus. Al momento è buio pesto sulla situazione reale, ma appare davvero improbabile che non vi siano dei casi. L’Africa infatti ospita quasi un milione di cittadini cinesi impegnati nei lavori connessi alle infrastrutture e allo sfruttamento delle risorse minerarie, ed è trascorso almeno un mese e mezzo dall’esplosione dell’epidemia.
Si calcola che circa 1.500 passeggeri in arrivo dalla Cina sbarchino ogni giorno all’aeroporto Bole di Addis Abeba e da qui raggiungano altre destinazioni in Africa, come mostrano alcuni grafici del Brookings Institute.
Ad oggi, le misure adottate negli scali africani sono quelle standard, ovvero la misurazione della temperatura per i passeggeri in transito dalla Cina, ma come sappiamo non si può escludere che i sintomi comincino a manifestarsi anche diversi giorni dopo lo sbarco.
Secondo un reportage della Associated Press dallo Zambia, una delle società che opera nel Paese ha sede proprio a Wuhan e centinaia di persone hanno viaggiato avanti e indietro su quella tratta anche nelle ultime settimane, quando l’emergenza globale non era ancora stata dichiarata (fino al 30 gennaio) e la Cina minimizzava i numeri.
Il timore è che l’assenza fino ad oggi di casi positivi in Africa sia dovuta alla mancanza di test. Martedì scorso, il direttore generale dell’Oms ha annunciato che “entro la fine della settimana”, questo venerdì quindi, 40 Paesi africani avranno la possibilità di testare e diagnosticare il coronavirus. Ottima notizia, la quale però implica che fino ad oggi o a pochi giorni fa (in piena epidemia) quei 40 Paesi non fossero in grado di eseguire test.
Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, Egitto, Algeria e Sud Africa sono i Paesi africani più soggetti ad importare casi di coronavirus, ma hanno anche i sistemi sanitari più preparati e meno vulnerabili, mentre Nigeria, Etiopia, Sudan, Angola, Tanzania, Ghana e Kenya corrono minori rischi ma sono meno preparati e più vulnerabili.
“Ho qualche perplessità che i servizi sanitari dei Paesi africani riescano a contenere il contagio”, ha detto all’Ansa la virologa Ilaria Capua. Lo scorso 14 febbraio, al meeting annuale della American Association for the Advancement of Science, Bill Gates ha avvertito che “l’emergenza sanitaria potrebbe rivelarsi estrema, se dovesse diffondersi in aree come l’Africa sub-sahariana o alcune zone dell’Asia. A quel punto, la situazione diverrebbe drammatica. Se questa malattia arrivasse in Africa, creerebbe molti più danni di quanti non ne faccia in Cina”.
La minaccia per l’Italia (e per l’Europa) è costituita anche dai flussi migratori nel Mediterraneo centrale. Se ovviamente il maggior numero di ingressi nel nostro Paese dall’Africa avviene per la via meglio controllata, quella dei voli civili, non sono tuttavia trascurabili i numeri degli sbarchi autonomi o via ong. Cosa succede se tra le centinaia di migranti trasportati ogni settimana, e spesso in un solo giorno, dalle navi delle ong anche uno solo ha contratto il coronavirus e quando sbarca non presenta sintomi?
Non bisogna dimenticare che non si tratta di Ebola, i cui sintomi non permetterebbero ad una persona infetta di avventurarsi in un viaggio come quello dei migranti che si imbarcano in Libia verso l’Italia, ma di un virus con sintomi iniziali anche molto lievi, simili a quelli dell’influenza e del raffreddore. Dato il periodo di incubazione fino a due settimane, uno o più migranti che sbarcano potrebbero essere contagiati ma presentarsi in perfetta salute ai controlli per poi ammalarsi diversi giorni dopo, chissà dove, infettando altre persone e innescando una catena di contagi a cui sarebbe difficilissimo risalire. Alcuni studi pubblicati recentemente su autorevoli riviste scientifiche indicano anche la possibilità di trasmissione del virus durante il periodo di incubazione, da persone asintomatiche o che presentano sintomi minimi, difficilmente rilevabili dai normali controlli.
Dunque, non è esagerato chiedere quali siano le valutazioni fatte in merito dal Ministero della salute e dal commissario straordinario, se e quali più stringenti misure siano state o verranno adottate, mentre il governo sta pensando, al contrario, con infelice tempismo, di smantellare i decreti sicurezza.

Federico Punzi, 20 Feb 2020, qui.

E dunque se chiedi la messa in quarantena delle persone a rischio per evitare che si inneschi una catena incontrollata e incontrollabile di contagi, sei fascioleghista. E questa è la gente pagata per governarci: il governo insediato dal nostro ineffabile signor Presidente della Repubblica per scongiurare la dittatura fascista di Salvini, che per non rischiare di essere fascioleghista attenta alla salute e alla vita dei suoi cittadini. E uno si chiede: se impedire di sbarcare (ma non di andarsene) a persone prive di documenti (più o meno come quando io non permetto di entrare in casa mia a testimoni di Geova, distributori di Giornale Comunista e paccottiglia varia) è sequestro di persona, da punire con trent’anni di galera, come si configura l’operato del signor Enrico Rossi, di professione antifascioleghista?

PS: un medico con cui ho parlato ieri mi ha detto: “Mi sono confrontato con diversi colleghi che come me hanno seguito da vicino tutta la vicenda, e siamo giunti tutti alla stessa conclusione: quello che hanno costruito in Cina non è un ospedale, bensì un’immensa camera mortuaria, dove sistemare gli ammalati più gravi e lasciarli morire isolati, perché lì non c’è niente per curare, né ossigeno per chi ha difficoltà respiratorie, né nient’altro.” Non ci avevo pensato, ma potrebbe non avere torto.

PPS: nel frattempo un paio di decine di contagiati e due morti in Iran.

barbara