Domanda N° 1
Perché ci sono fotografi che sentono il bisogno di scattare, e giornali di pubblicare, foto prese col teleobiettivo che trasforma persone sgranate in 150 metri in un’ammucchiata di pazzi incoscienti concentrati nel mio soggiorno?
(qui tutta la documentazione) Non staranno per caso prefabbricando un alibi per colui che regna colà dove si puote ciò che si vuole, che per ora ha magnanimamente concesso di aprire un filino il rubinetto ma avverte minaccioso che se non ci comporteremo bene tornerà a chiuderlo? Non gli staranno fornendo il pretesto per richiuderlo quando e come vorrà con la motivazione, “documentata” da quelle immagini, del pericolo rappresentato dal nostro incosciente, sconsiderato e criminale comportamento?
Domanda N° 2
Lo sapevate che si può guarire per decreto ministeriale? No, eh?
Posso solo aggiungere che mio marito, è uscito dall’ospedale dove era stato ricoverato per covid con la solita lettera di dimissioni dove oltre alle cure e all’anamnesi medica stava scritto: “guarito come da decreto ministeriale n 6658 del 26/02/2020”. (qui)
Domanda N° 3
Come mai non si trova un giornalista che sia uno capace di fare le pulci al governo? Semplice: perché sono impegnati a tempo pieno a tentare di farle all’opposizione, venendone peraltro asfaltati alla grande
E notiamo, per inciso, che l’opposizione risponde alle domande, risponde puntualmente, e risponde nel merito, a differenza di chi sta al governo
Domanda N° 4
E a proposito di governo, la protezione civile chi dovrebbe proteggere? Perché quando leggo che spende, pagando anticipatamente, 12 milioni di euro nostri per comprare dalla Cina del materiale che poi viene bloccato perché è difettoso e noi qui senza materiale e senza soldi, io qualche domanda me lo faccio (e colgo l’occasione per spiegare a Elena che questo è esattamente il motivo per cui mi sono ben guardata dal comprare il vostro libro: per il destinatario che avete scelto per la vostra opera di beneficenza. Soldi miei in mano a quella gentaglia, neanche morta).
Domanda N° 5
Perché questo è un reato da punire con una multa di 400 euro a testa
e questo
no?
Domanda N° 6
Che è una domanda con molte ramificazioni, ma metterò tutto insieme, e riguarda la vergognosa vicenda di Silvia Romano. Parto da un paio di considerazioni in parte anche personali.
Silvia Romano non era una “volontaria”. Volontario è il medico, l’infermiere, l’ingegnere, il geometra, che nel mese di ferie anziché andarsi a spaparanzare sulla spiaggia o fare qualche bel viaggio esotico prende un aereo (a spese proprie!) e se ne va in Africa, in Sud America, nel Sudest asiatico a fare gratuitamente il suo mestiere a favore delle popolazioni bisognose. Silvia Romano era andata con una ONG, profumatamente pagata. La sua qualifica era quella di “cooperante”; anche la mia qualifica in Somalia era quella di cooperante, ossia partecipante al programma di cooperazione allo sviluppo, e col mio lavoro, nel quale avevo dieci anni di esperienza, ho contribuito a mettere centinaia di studenti in condizione di poter frequentare l’università e diventare medici, veterinari, ingegneri, biologi eccetera. Il mio stipendio era quasi il quadruplo di quello che percepivo in Italia.
Quello che indossa Silvia Romano non è un tipico abito somalo, i tipici abiti somali sono questi
Poi sono arrivati gli Shabaab e hanno imposto tutt’altro. Qualche giornalista, pescando evidentemente parole colte nell’aria senza sapere di che cosa si sta parlando, ha chiamato “dirac” il telone copri-auto color verde terrorismo islamico che Silvia Romano porta addosso:
no, il dirac è l’abito che porta la bidella a destra appoggiata al muro: non assomiglia tantissimo, vero? E non è un dirac neanche l’abito che ha sotto il telone (che ha le maniche lunghe).
E passo alle domande vere e proprie: quale sarebbe la cosa da festeggiare? L’avere regalato 4 milioni di euro ai terroristi islamici? Quanti respiratori ci stanno dentro, in quella cifra? Quanti aiuti a commercianti e artigiani che stanno portando al monte di pietà catenine e fedi nuziali perché non hanno da mangiare? E quanta gente morirà con le armi ed esplosivi comprati con quei 4 milioni? O forse c’è da festeggiare il debito morale, che non mancherà di essere concretizzato, che abbiamo contratto con la Turchia?
E perché l’ex Silvia ha immediatamente voluto dichiarare “chiamatemi Aisha”? Ricordate le prime parole di Domenico Quirico? “Non siamo stati trattati bene”. Un prigioniero può dire e fare qualunque cosa per salvarsi la vita o alleviare i tormenti della prigionia, ma dopo il ritorno? Chi ci garantisce che tanto entusiasmo non sia sincero e non l’abbiano trasformata in una combattente al loro servizio? E, a proposito del suo essere stata trattata bene, chi è che le ha tirato un pugno in un occhio circa 10-12 giorni fa?
E davvero quella di essere rapita è stata una imprevedibile disgrazia? Davvero lei non ha fatto niente perché ciò accadesse? Leggiamo un po’ qua:
Eccola qua dunque, l’ochetta viziata e velleitaria, che invece di cercarsi un lavoro e fare del volontariato nel tempo libero – come tante brave persone che conosco – sceglie di fare la “volontaria” di professione, ben pagata, senza regole, che si sa che le regole sono di un fastidioso signora mia, ma di un fastidioso guardi, uscendo la sera, alzandosi quando voleva, e che per poter vivere senza quelle fastidiose regole sceglie di andare in un posto che le viene sconsigliato in quanto più pericoloso del precedente. E poi le faccio dire due parole da Silvana De Mari:
E concludo con quest’ottima analisi di Federico Punzi.
Silvia Romano consegnata ai servizi turchi. Non una brillante operazione di cui andare fieri, ma una resa ai terroristi
Una ragazza partita in canottiera per far del bene in Africa, torna ricoperta dalla testa ai piedi con un lenzuolo verde, una tunica indossata dalle donne somale islamizzate nei territori ancora controllati dagli al Shabaab. Si è convertita all’islam durante la sua prigionia. Costretta, secondo le prime cronache. Per libera scelta, dirà lei agli inquirenti una volta rimessi i piedi in Italia. “Ho chiesto io di avere il corano, ho anche imparato qualche parola di arabo”. Secondo qualcuno costretta anche al matrimonio islamico con uno dei suoi carcerieri, ma lei smentisce. Altri l’hanno notata, nelle riprese televisive di ieri a Ciampino, mentre si accarezzava teneramente il ventre.
Lo diciamo subito a scanso di equivoci: non si lascia una connazionale nelle mani dei tagliagole islamici. C’è un però. Ed è un però che riguarda lo status del nostro Paese, un dato che ci deve interrogare come comunità. La consapevolezza che il denaro consegnato a quei tagliagole metterà in pericolo molte altre vite, italiane ma principalmente africane. Italiani che si sono messi in gioco, per lavoro o per volontariato, in zone del mondo a rischio. E africani che rischiano tutti i giorni di essere trucidati da jihadisti da noi rinforzati nelle loro casse e nella loro immagine. Questo è purtroppo un argomento che, per quanto si possa gioire per il ritorno sana e salva di una ragazza di 25 anni, non può essere eluso nel dibattito pubblico.
Il ritorno di Silvia è una festa per la sua famiglia e non potrebbe essere altrimenti, ma è una resa per la Repubblica italiana e il mondo civile.
Trattare con i terroristi islamici di al Shabaab, affiliati ad al Qaeda e tra i più sanguinari, che in Africa – forse non tutti lo sanno – si sono macchiati di stragi orrende di uomini, donne e bambini, ed eventualmente pagare un riscatto, è forse una via obbligata, ma non un qualcosa che possa essere ostentato e celebrato all’aeroporto come una brillante operazione di cui andare fieri e da sbandierare al mondo intero. Anche perché, come spiega bene Romana Mercadante nella sua nota, [articolo che raccomando di leggere] non è il riscatto in sé, è la passerella mediatica del presidente del Consiglio e del ministro degli esteri a mandare un messaggio devastante. Il messaggio di un governo pronto non solo a pagare i terroristi, ma anche a prestarsi alla propaganda jihadista (tale è stata riabbracciare festanti un ostaggio convertito all’islam, non si sa bene come, dopo 18 mesi di prigionia, sceso dall’aereo con indosso una tunica islamica), pur di trarre un qualche vantaggio in termini di consenso da un lieto fine dal punto di vista umano e famigliare, ma non certo politico. Certe cose, se si fanno, si fanno in silenzio e poi non si sbandierano ai quattro venti.
La foto che vedete di Silvia Romano
è stata scattata molto probabilmente in Somalia, subito dopo la sua consegna da parte di chi l’ha tenuta in ostaggio per 18 lunghi mesi. La ragazza è ripresa sul sedile posteriore di un pick-up e indossa un giubbetto antiproiettile turco.
Pubblicata dall’agenzia di stampa Anadolu, ieri sera ha fatto il giro di tutti i media turchi, ma sui social italiani l’ha rilanciata Mariano Giustino, il corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia.
Questa foto suggerisce un ruolo ben più centrale dei servizi segreti turchi nella conclusione della vicenda, non un semplice “aiuto”. E cioè, che siano stati proprio i turchi a prelevarla e poi consegnarla alle autorità italiane. I nostri servizi non c’entrerebbero quasi nulla, se non per la richiesta d’aiuto avanzata nel dicembre 2019 all’intelligence turca (Mit) per rilevare e portare in salvo l’ostaggio. Insomma, l’operazione conclusa con successo sarebbe turca, solo i soldi italiani.
E questo dovrebbe suonare come un campanello d’allarme: in Somalia, così come in Libia, per combinare qualcosa dobbiamo telefonare ad Ankara. Il che la dice lunga sulla nostra irrilevanza persino nelle nostre (ormai ex) aree di influenza.
Federico Punzi, 11 Mag 2020, qui.
Parafrasando quel vecchio film, mio Dio come siamo caduti in basso.
barbara